Capitolo Tre
“Boner, fermati, ti dico!”
Quella scuola per cani mi deve un serio rimborso: questo scenario avrebbe dovuto far parte del loro percorso formativo.
Ignaro del mondo, il mio chihuahua spinge il suo minuscolo culetto verso il gigantesco didietro dell’orsa. Da lontano, Boner sembra un uccellino che fa un giro su un ippopotamo.
Dannazione! Stupido cane. Perché mai dovresti tentare di fare sesso con qualcuno cento volte più grande di te?
Le spinte accelerano.
I polmoni mi bruciano, mentre corro più veloce, nonostante l’impedimento della gonna stretta. Per lo meno, indosso le mie nuove sneakers carine, anziché i soliti stivali col tacco alto, che renderebbero impossibile questa sessione improvvisata in pista.
“Boner, smettila!” gli ordino, ansimando.
Lui fa l’esatto contrario. La sua ingroppata diventa frenetica, dando l’impressione che stia avendo una sincope sessuale.
Affretto ulteriormente il passo e il perizoma mi si sposta, procurandomi uno sgradevole spiffero sulle parti intime.
Come mai l’orsa non se lo mangia? Non che mi stia lamentando. Forse, il minuscolo pistolino di Boner non entra nemmeno in quella v****a cavernosa. Non ho dubbi che, se una bestia così grande si sentisse aggredita, Boner sarebbe un cane morto.
Merda! Si tratta di un’aggressione? Il mio amico animale è uno stupratore?
Ma no! La coda soffice dell’orsa è alzata, per fornire a Boner un ingresso più facile. Dev’essere il suo modo di acconsentire (oltre al fatto che non lo sta schiacciando sotto le sue mascelle enormi). Per quanto ne so, avranno raggiunto un’intesa, quando si sono annusati a vicenda.
Lui deve averla sedotta con i suoi potentissimi feromoni da chihuahua.
Naturalmente, niente di tutto ciò salverà Boner da quello stronzo fastidiosamente sexy del proprietario dell’orsa. Quando lui si accorgerà di cosa sta succedendo, manifesterà indubbiamente un istinto omicida. Per fortuna, la sua attenzione è rivolta al tizio con cui sta parlando o (più precisamente) gesticolando e gridando. Quest’ultimo ha in mano una macchina fotografica, che spero non userà per scattare una foto del misfatto di Boner.
I muscoli delle gambe mi bruciano, mentre corro più veloce. Ora, sono a soli sei metri di distanza.
Il tizio con la macchina fotografica perde qualsiasi disputa stessero avendo, e se la svigna.
Ci siamo.
Lo sconosciuto si gira e sgrana i suoi splendidi occhi, quando si rende conto della situazione dell’orsa.
Lanciandomi verso la rampa, afferro finalmente il guinzaglio di Boner. Prima che io possa trascinarlo via, lui si stacca di sua spontanea volontà e mi guarda, scodinzolando con soddisfazione maschile.
Come previsto, la mascella dello sconosciuto diventa di pietra e le sue narici regali si dilatano.
A fatica, mi trattengo dall’urlare “Cane cattivo!” a Boner. Non voglio far venire al mio piccolo amico dei complessi di natura sessuale, come quello che mi ha procurato mia madre, quando mi ha beccata a masturbarmi nell’adolescenza.
I cani meritano di essere creature sessuali, proprio come gli umani.
Lo sguardo inflessibile del proprietario dell’orsa si sposta da Boner a me. “Il tuo ratto ha appena…”
“Il mio cane è dispiaciuto per quello che ha fatto.” Mi ci vuole uno sforzo tremendo per sembrare accomodante. “E anch’io. Mi sono distratta e lui mi è scappato.”
Boner mi guarda in modo perplesso. “Perché ti scusi, ma chérie? Questo è le grand amour.”
Lo sconosciuto mi lancia uno sguardo raggelante. “Fammi indovinare. Ti sei persa via guardando il cellulare?” Sottovoce, borbotta qualcosa sugli americani con i loro post e i loro tweet incessanti.
Mi vengono ufficialmente i nervi, e devo sforzarmi per non stritolare le palle: le sue, oltre a quelle dentro di me. “Lascia indovinare me. Ti piace giudicare le persone senza uno straccio di prova? Si dà il caso che io non porti il cellulare durante le passeggiate con il cane. Né tantomeno sono americana, nel senso stretto della parola. Né uso i social media, se è per questo.”
La curiosità sostituisce parte della rabbia sul suo volto. “Allora, come hai fatto a lasciartelo scappare?”
Gli lancio il mio caratteristico sguardo glaciale. “Non sono tenuta a darti spiegazioni.”
Forse, sono stata troppo brusca. L’orsa abbassa le orecchie e si nasconde dietro lo sconosciuto.
Lui stringe di nuovo gli occhi. “Il tuo cane ha violato la mia. Il minimo che tu possa fare è essere civile.”
Come me, anche Boner non gradisce il suo tono. Piazzandosi in mezzo a noi, ringhia allo sconosciuto.
“Tranquillo, piccolo” gli mormoro, poi traggo un respiro profondo per calmarmi. A volte, per vincere bisogna mostrarsi superiori. “Voglio davvero scusarmi.”
“Non mi servono le tue scuse. Mi serve sapere se il tuo cane ha qualche malattia venerea.”
In qualche modo, mantengo la calma. “Questa è la prima volta che fa del sesso reale, quindi ne dubito fortemente.”
Subito, vorrei prendermi a schiaffi per aver enfatizzato la parola “reale”; l’ultima conversazione che voglio affrontare è come io abbia realizzato un s*x toy per il mio cane.
Lo sconosciuto sembra un po’ più calmo, ora, così come l’orsa alle sue spalle. “Questo è un bene. Tuttavia, lo sperma può ospitare una vasta gamma di virus. Come facciamo a sapere che il tuo cane non è infetto da qualcosa?”
Faccio spallucce. “Perché non è stato malato? Inoltre, non sappiamo se l’abbia effettivamente penetrata, o se ci sia stato dello sperma.”
Sperma di cane. Questo è un argomento che non pensavo sarebbe saltato fuori, quando ho iniziato la mia giornata.
“Non è sufficiente” replica il tizio. “Vorrei che lo portassi da un veterinario e gli facessi fare un controllo approfondito.” Si fruga nelle tasche e tira fuori un portafoglio. “Pago io.”
Come riesce a farmi innervosire così facilmente? “Posso pagarmi il veterinario da sola. Grazie.”
“Se insisti.” Il portafoglio scompare.
Raddrizzo la schiena. “Insisto.”
Mi lancia un’occhiata più approfondita, soffermandosi ancora una volta sulle mie gambe. “E mi farai sapere i risultati del test veterinario?” La sua voce è un tantino più roca, quando i suoi occhi nocciola tornano sul mio viso.
Quel traditore del mio cuore salta un battito. “Dovrò inserire il mio numero nel tuo cellulare. Come dicevo, io non ho con me il mio.”
È un accenno di sorriso quello che si affaccia sulle sue labbra sexy?
“Andrebbe benissimo, se non fosse che nemmeno io mi porto dietro il telefono, durante le passeggiate con il cane” afferma. Aggiunge ironicamente: “Né uso i social media. Né sono americano.”
Avrei potuto immaginare l’ultima parte, ma niente social media? Pensavo che io e i miei fratelli paranoici fossimo gli unici ad astenerci, di questi tempi. E niente cellulare durante le passeggiate? Persino i suddetti fratelli mi prendono in giro per questo.
“Hai un biglietto da visita?” gli chiedo, ignorando la tentazione di contare le nostre somiglianze. Solo perché stiamo avendo una conversazione civile non significa che lui non sia ancora uno stronzo.
Gli offrirei il mio biglietto da visita, ma, per qualche ragione, non voglio che sappia che possiedo un’azienda di s*x toys. C’è qualcosa in lui (forse il taglio sobrio ma palesemente costoso dei vestiti, o l’angolo imperioso della mascella) che mi fa pensare a consigli d’amministrazione di Fortune 500 e a cene da dieci portate sotto lampadari di cristallo. Uomini come lui tendono a guardare dall’alto in basso gli imprenditori non tradizionali come me… perché mi interessi quello che pensa, tuttavia, è un mistero.
In genere, sono apertamente orgogliosa di quello che faccio.
Lui fruga in tasca e tira fuori una penna. “Non ho un biglietto da visita.” Si guarda intorno e individua un paio di tazze da caffè, che qualcuno deve aver lasciato su una panchina vicina. Afferra quella dall’aspetto più pulito, ci scrive qualcosa sopra e me la porge.
Un netto scarabocchio maschile recita Dragomir, accanto a un numero di telefono con il prefisso di Manhattan.
Dragomir? Il diminutivo sarebbe Drago? Sembra un cattivo di Harry Potter.
“Io mi chiamo Bella.” Posando la tazza, tendo educatamente la mano.
I suoi occhi brillano, mentre accetta il saluto, e il suo palmo molto più grande inghiotte il mio… mozzandomi il fiato, al calore elettrizzante della sua pelle.
È un miracolo che non attivi le sfere dentro di me!
“Dragomir.” Pronuncia il nome con un accento simile al russo.
Stacco la mano con riluttanza. “Di dove sei, originariamente?”
“Ruskovia” risponde, sempre con la stessa pronuncia.
Mmm. Ho sentito parlare di quel posto. Se ricordo bene, è più piccolo di qualunque quartiere di New York e un tantino arretrato, almeno per il fatto che hanno ancora una monarchia al potere. Non ho idea di dove sia sulla mappa, né di quali siano le usanze locali, né se sia stato l’ispirazione per Sokovia negli Avengers.
Quello che so è che, se questo ragazzo è un esemplare tipico, la Ruskovia potrebbe essere la nazione con gli uomini più belli del mondo.
Devo avere un’espressione un po’ vacua, perché lui mi spiega con un lieve roteare degli occhi: “La Ruskovia è un paese dell’Europa dell’Est, nel caso in cui la tua conoscenza della geografia sia quella di un americano medio.”
I miei fratelli mi ripetono sempre che la mia geografia andrebbe migliorata, ma chi è questo Dragomir per criticare me o il sistema educativo americano?
“So dov’è la Ruskovia” replico, mentendo solo leggermente. “Io sono nata in Russia. Anche quella è nell’Europa dell’Est, nel caso in cui la tua conoscenza della geografia sia mediocre.”
Alla parola Russia, i suoi occhi si stringono, e mi ricordo tardivamente che molti paesi dell’Europa orientale non amano la mia madrepatria, grazie agli sforzi dei sovietici di portare loro il comunismo, generalmente sotto la minaccia delle armi.
“Ero piccola, quando mi sono trasferita qui” aggiungo, prima di poter domandare a me stessa come mai io stia cercando di entrare nelle sue grazie.
Inclina la testa. “Questo spiegherebbe il tuo inglese perfetto.”
Era un complimento? Sembra proprio di sì.
“E tu?” gli chiedo, decidendo di prenderlo per buono. “Come mai non hai un accento?”
“Ho avuto ottimi insegnanti” risponde, e guarda in basso con espressione accigliata.
Seguo il suo sguardo e reprimo uno sbuffo. Mentre parlavamo, Boner e la sua orsa si sono riuniti, e lei gli ha appena dato una leccata (una grossa leccata bavosa).
Boner sembra il cane più felice del mondo.
Dragomir dice qualcosa all’orsa in quello che dev’essere ruskoviano. Le uniche parole che riesco a distinguere sono Winnie e qualcosa di simile a Pooh.
O era “poo” (cacca) con la minuscola?
Timidamente, l’orsa si allontana da Boner.
Il mio buon umore evapora. “Hai appena insultato di nuovo il mio cane?”
“No. Ho detto a Winnifred di non leccarlo. I russi non usano anche loro il comando ‘fu’?”
Fu. Non poo. Sì, i miei genitori urlano sempre “fu” a Boner, quando lo vedono fare cose che non gradiscono. A me sembra sempre che stiano cercando di insegnargli le arti marziali, alla Kung Fu Panda.
Poi, mi viene in mente una cosa. “Il tuo cane si chiama Winnifred? Abbreviato in Winnie?”
Lui annuisce.
“Ti rendi conto che è il nome di un orso, vero? Come in Winnie the P…”
“Non sono stato io a scegliere il nome. Come si chiama il tuo?”
Chi è che non dà il nome al proprio cane? “Bonaparte.”
Inarca le sopracciglia. “Non pensi che sia un po’ troppo ambizioso, per un cane con un cervello grande come un pisello?”
Incrocio le braccia sul petto. “I chihuahua hanno la proporzione cervello/corpo più grande di qualsiasi altra razza.”
“Tuttavia…” Guarda Boner con scetticismo. “Il cervello di Winnie potrebbe essere grande quanto tutto il suo corpo.”
“Oppure, potrebbe essere piccolissimo, se ha un cranio molto spesso” ribatto, aggiungendo sottovoce: “come te”.
Mi lancia il suo sguardo imperioso. “Winnie è di razza misha. Hanno liberato la Ruskovia dai lupi e dagli orsi, e sono i cani più intelligenti del mondo.”
“Questa razza si chiama davvero misha?” Reprimo l’impulso di chiedergli come, esattamente, Winnie saprebbe scacciare i lupi, dato che si era spaventata per l’abbaiare di un cane qualunque.
Lui sospira. “Si chiamano così. E allora?”
“Misha è un termine associato agli orsi, in Russia. Come il Misha Olimpico… hai presente?”
“Beh, in Ruskovia, il termine misha è associato solo a cani maestosi e molto intelligenti.”
“Scommetto che Boner è più intelligente di Winnie.” Non appena lo dico, mi immagino una ramanzina di mia madre. Quand’ero piccola, cercava di convincermi che agli uomini non piace essere sfidati, e che non avrebbero voluto avvicinarsi a una ragazza competitiva come me.
Non che Dragomir voglia avvicinarsi a me, in ogni caso. Considerato il modo in cui questo incontro è andato finora, è improbabile che la mia competitività sia in cima alla sua lista dei miei difetti (ammesso che abbia una lista che annoveri anche qualche pregio).
Lui guarda Boner e poi me. “Sei seria?”
Decido di rincarare la dose. “Serissima. Conosco un valido test d’intelligenza per cani, e sono sicura che Boner lo supererà prima di Winnie.”
Il bagliore della battaglia brilla nei suoi occhi. “Anch’io conosco un test. E Winnie ci pulirà il pavimento, con il tuo aspirante Napoleone.”
“Allora, è ufficiale.” Mi sfrego le mani. “Facciamo una gara.”
È un sorriso presuntuoso quello sulle sue labbra? “Che cosa ottiene il vincitore?”
Il Grinch sarebbe invidioso del mio ghigno, mentre penso alla risposta perfetta. “Se vinco io, voglio che tu ti metta in ginocchio e…”
Mi interrompo, quando lui sgrana gli occhi. Guarda l’orlo della mia gonna, e sul suo volto appare un’espressione vorace.
Wow!
So a cosa sta pensando, ma non è quello che avevo in mente… fino a questo momento, cioè.