Marina Fae calciò un sassolino lungo il sentiero e lo guardò rimbalzare fino a fermarsi contro le pareti coperte di rampicanti del palazzo. Mentre si metteva l’arco in spalla, un sorrisetto malizioso le illuminò il viso. Si guardò attorno prima di sollevare le braccia e agitare le dita. I rampicanti che penzolavano dall’albero dall’altra parte del muro calarono a spirale e si avvolsero attorno ai suoi polsi. Un attimo dopo, Marina venne calata a terra dall’altra parte del muro.
Voltandosi verso l’albero, fece una breve riverenza. “Grazie, signor Albero,” disse ridendo.
Si voltò e cominciò a correre attraverso il grande giardino che circondava il palazzo. Tecnicamente, sarebbe dovuta passare dall’ingresso principale, ma non lo faceva mai. Era uno dei vantaggi dell’essere la sorella minore del Capitano delle Guardie: la conoscevano tutti.
Canticchiando sottovoce, Marina afferrò l’arco e partì a passo di corsa leggera lungo il sentiero tortuoso che attraversava l’enorme labirinto del giardino. Era elettrizzata. Isha sarebbe tornato al villaggio, quel giorno. Lei gli avrebbe fatto una sorpresa venendo a palazzo – e si sarebbe assicurata che suo fratello non avesse dimenticato di aver promesso di tornare a casa.
L’annuale Festa delle Luci, prevista per quel fine settimana, era un momento molto speciale per il loro villaggio. Il villaggio si trovava più nell’entroterra rispetto al palazzo, che era più vicino al mare, e una volta all’anno le montagne si ravvivavano con lo sbocciare dei fiori nictoastri. I boccioli si aprivano e i semi brillanti al loro interno galleggiavano fra gli alberi, illuminando la foresta di colore. Le voci dei paesani si levavano in canzoni e diffondevano la loro magia nella brezza, a mescolarsi con i semi fluttuanti. Era davvero una notte magica, alla quale lei adorava assistere.
Marina rallentò il passo nell'udire delle grida e un urlo soffocato. Barcollò quando il terreno tremò sotto i suoi piedi, a causa di una forte esplosione che lacerò l’aria. Per mantenere l’equilibrio, si allungò e avvolse la mano sinistra attorno allo spesso ramo di uno degli alti cespugli che formavano il bordo del labirinto. Aveva quasi raggiunto l’uscita, vicino ai giardini principali sulla destra dell’ingresso del palazzo.
Dopo aver mollato la presa sul ramo, bisbigliò al suo arco. Sentì la corda tendersi mentre ne risvegliava la magia all’interno. Avanzò preoccupata e udì la voce della regina levarsi al di sopra delle grida, delle urla e degli strepiti.
Fu travolta dalla preoccupazione. Non riuscì a non pensare, in maniera stranamente distaccata, che non aveva mai udito la regina alzare la voce in preda alla rabbia. Aveva fatto appena qualche passo quando rimase col fiato sospeso per lo stupore. Spesse bande di magia vorticavano attorno a lei come un fiume turbolento, precipitandosi verso la direzione da cui aveva udito provenire la voce della regina. La pura bellezza e il potere dei colori fluidi le mozzarono il fiato.
Avendo intravisto l’uscita del labirinto, Marina accelerò. Si fermò di colpo una volta superata l’ultima siepe. Le sue labbra si schiusero per una meraviglia colma di orrore. Sui gradini del palazzo stava una donna snella. Tutto attorno a lei si contorceva e ribolliva una nebbia scura. La donna sembrava fatta dell’essenza nera.
“La Strega del Mare!” bisbigliò Marina, lo sguardo incollato su Magna.
“Ti ordino di fermarti, Magna! Come Regina dell’Isola della Magia, ti condanno a morte per i tuoi inganni e i tuoi atti di tradimento,” dichiarò Magika, sollevando le mani.
“Non puoi fermarmi. Ora ho il controllo dell’Isola della Magia e di tutti i poteri di questo regno,” rispose Magna, in tono stranamente spassionato.
“Ti sbagli, Magna. Qualunque magia malefica tu abbia evocato non appartiene a questo mondo. Pensa ai danni che stai provocando,” rispose Magika con voce fredda.
“Magna!”
Marina si voltò e vide Kell e Seline, i genitori di Magna, apparire: la regina doveva averli convocati. La speranza attraversò Marina. Di certo, le preghiere dei genitori della Strega del Mare sarebbero riuscite a commuovere la figlia.
“Pensa alla tua famiglia, Magna,” disse la regina.
Lo sguardo di Marina si voltò con ansia verso la regina. Un sibilo sommesso le sfuggì dalle labbra quando si rese conto di ciò che stava facendo la sovrana. La regina Magika stava intrecciando un incantesimo alle sue parole e sfruttava i genitori di Magna per distrarre la Strega del Mare.
Marina non aveva mai visto una magia così pura e bella intessuta in maniera così netta – così precisa. La capacità di vedere la magia era uno dei suoi talenti. Aveva ereditato quel dono da sua nonna, che le aveva consigliato di tenerlo per sé.
“Nessun altro possiede il dono che possediamo tu e io, Marina,” le aveva detto la nonna quando lei non aveva ancora compiuto dieci anni. “Tranne forse il re e la regina. L’abilità di vedere la magia non serve a molto – tranne quando ne hai bisogno. Tieni per te questo piccolo segreto. Non puoi mai sapere quando ti servirà,” aveva aggiunto ammiccando la nonna.
Ora, Marina guardò i fili di magia protendersi verso Magna. La magia era sottile, intrecciata alle parole della regina. Marina si voltò e tornò a concentrarsi su Magna. Magna era in grado di vedere la magia? Come avrebbe reagito nei confronti dei propri genitori?
Marina rimase a bocca aperta quando l’essenza nera che circondava Magna si protese avidamente verso le ciocche di magia nascosta. La regina lanciò un grido di dolore quando le bande divorarono i fili magici. Marina vide la nebbia malevola assorbire avidamente la magia della regina – e diventare più forte!
“Magna, no!” gridò Kell, facendo un passo avanti frapponendosi fra la regina e sua figlia. “Lascia che ti aiutiamo. Per favore, ti imploro. Consegnati e noi ti aiuteremo.”
L’espressione sul volto di Magna si intenerì, le sue labbra si schiusero, e per un attimo Marina pensò che la Strega del Mare avrebbe ceduto. Nonostante la distanza di diversi metri, Marina distinse il conflitto sul volto dell’altra donna. L’indecisione durò solo qualche istante prima che l’espressione della strega si indurisse.
“Attento!” gridò Marina, sollevando una mano in un cenno di avvertimento.
Vide il cambiamento nella nebbia. Con orrore, osservò impotente due lunghi tentacoli protendersi di scatto. Le bande si avvolsero attorno a Kell. La madre di Magna, Seline, sollevò le mani brillanti mentre le sue labbra si muovevano, intessendo un incantesimo mortale per bloccare l’attacco della figlia. Un’ondata di nebbia la travolse, trasformandola in pietra e bloccandole sulle labbra l’incantesimo incompleto.
Una magia completamente diversa da qualunque cosa Marina avesse mai visto si levò attorno a coloro che si trovavano in cortile. Tutto attorno a lei, i volti delle guardie della regina e dei pochi servitori che erano fuggiti all’aperto cominciarono a immobilizzarsi e a indurirsi. Persino la regina Magika non era immune a quell’orribile nebbia che trasformava la sua gente in pietra.
Marina passò disperatamente lo sguardo sul mare di volti, alla ricerca di suo fratello. Doveva trovarlo. Di certo, Isha era in grado di percepire il pericolo in cui versava la regina e sarebbe venuto in suo soccorso – a meno che, pensò Marina con panico sempre più crescente, non fosse impegnato a proteggere il re.
“Signor Arco, ho bisogno di frecce,” ordinò Marina, sollevando l’arco e tendendo la corda.
“Isha!” gridò la regina, lottando per evitare che la nebbia nera la volgesse.
“È perduto per te, mia regina, proprio come lo sarà chiunque si opponga a me,” la informò la Strega del Mare, scendendo lentamente i gradini.
“Che magia è mai questa?” domandò Magika, la voce che tremava mentre il cerchio si stringeva sempre di più attorno a lei.
“Non è magia. È qualcosa di molto più potente, più letale, più orribile di qualunque cosa la magia possa creare,” rispose Magna con una voce che il vento trasportò a stento.
Le dita di Marina tremavano e lei abbassò l’arco. Spalancò gli occhi, attraversata da dolore e angoscia. Alle spalle di Magna, Marina vide comparire un uomo. Camminava con movimenti rigidi e meccanici. Il suo volto, che brillava sotto la luce a causa di una pellicola di ghiaccio, era privo di qualunque emozione, come se solo il suo corpo fosse presente. Alle spalle del re, la statua di pietra perfettamente intagliata di suo fratello Isha, con la spada magica ancora stretta in mano, oltrepassò galleggiando il re su un’onda di nebbia nera. Marina lanciò un grido spezzato di rifiuto.
Il grido di angoscia della regina si mescolò a quello di Marina. La rabbia trafisse la bolla di orrore che la circondava e la sua mascella si serrò per la determinazione. Sollevato l’arco, questa volta Marina non esitò. Scoccò la freccia magica. Il fuoco che le bruciava nelle vene crebbe di intensità quando vide le bande nere che vorticavano attorno a Magna sollevarsi a divorare la sua freccia.
Marina strinse gli occhi e sibilò in preda alla furia. Allungata una mano, estrasse una freccia dalla faretra. Se quella creatura si nutriva di magia, chissà come avrebbe trovato gli elementi non magici. Incoccata la freccia, Marina tese la corda e bisbigliò all’arco.
“Fa’ che la mia mira sia precisa, signor Arco,” mormorò.
Le sue dita si schiusero, liberando la corda. La freccia volò nell’aria. Le bande nere si allungarono avide verso l’asta di legno, ma la freccia curvò, schivando i tentacoli che cercavano di fermarla. Magna si voltò all’ultimo istante e la punta della freccia produsse un taglio sottile e profondo lungo il bicipite del suo braccio sinistro.
La regina Magika si voltò e la vide. “Marina, devi mettere in guardia il regno…” gridò qualche istante prima che la nebbia oscura la coprisse e il suo corpo si irrigidisse.
“Fermatela!” ruggì Magna, afferrandosi il braccio ferito con l’altra mano.
Marina indietreggiò di diversi passi quando la massa oscura cominciò a prendere forma. Enormi creature crebbero e si solidificarono a partire dalle bande. Nei loro occhi brillava una sinistra luce rossa, mentre lunghe e scintillanti zanne nere si protendevano dalle loro mandibole. Le fiere nere avevano lunghi musi con una serie di creste che si fermavano in mezzo agli occhi. Rigidi aculei si ergevano dalla sommità dei loro crani e correvano lungo la schiena e fino alle lunghe code simili a fruste. Le loro quattro zampe, ciascuna delle quali aveva un piede enorme e artigli affilati, affondavano nella morbida erba del giardino, che era punteggiato dei corpi pietrificati dei soldati del palazzo, della servitù e della regina.
Marina indietreggiò barcollando verso l’ingresso del labirinto, estraendo un’altra freccia dalla faretra. La sua presa rimase salda, nonostante il suo respiro fosse irregolare. Quelle creature non erano state generate da alcuna magia che lei avesse mai visto. La sua mente tornò a quello che la regina aveva detto a Magna: “… Non appartiene a questo mondo. Pensa ai danni…” Sollevato il mento, Marina tese la corda e respirò profondamente quando la belva più vicina a lei ruggì e fece un passo avanti.
“Vediamo se esisti davvero,” disse lei.
Bisbigliò un incantesimo. Una pellicola blu scuro coprì la punta della sua freccia. Aprendo le dita, liberò la corda quando la belva spiccò un balzo in avanti. Marina non attese per vedere se la sua freccia avesse funzionato o meno. Si voltò e fuggì nuovamente nel labirinto.