Capitolo 8

2781 Parole
capitolo 7 Il punto di vista di Jay-la Fu accompagnata nella casa del branco, un tempo a lei familiare. L'odore era lo stesso, di cedro e di caffè, oltre ad altri deliziosi odori di cibo che le giungevano dalla cucina e dalla sala da pranzo del branco; probabilmente era l'ora di cena, il sole era basso nel cielo ma fuori non era ancora buio. La maggior parte dei lupi si recava nella sala da pranzo della casa del branco per mangiare e stare in compagnia alla fine della giornata. Jay-la non alzò lo sguardo, non le interessava vedere gli sguardi che avrebbe ricevuto mentre la giudicavano per il suo aspetto insanguinato e spettinato. Né voleva vedere gli sguardi di chi sapeva chi lei fosse, o sapeva che era la traditrice che aveva attaccato la loro Luna anni prima. Fu accompagnata nell'ufficio dell'Alfa e i battiti del suo cuore si fecero più rapidi e affannosi, mentre sentiva degli occhi puntati su di lei; sapeva di chi erano. Lei riusciva sempre a sentire quando lui la stava guardando. Ora non era diverso da prima. Lui non disse una sola parola, si limitò a fissarla, e lei poté sentire la sua rabbia, così tanta rabbia alla sola vista di lei. Era chiaro che la odiava ancora, e nulla avrebbe mai cambiato questo fatto, a quanto pareva. Di nuovo quel familiare senso di dolore si diffuse nel suo petto, solo che, avendo le mani ammanettate dietro di sé, non poteva sfregarsi il petto per alleviarlo, come faceva di solito. Jackson la accompagnò per tutta la stanza e la spinse delicatamente sulla sedia di fronte alla sua scrivania, dietro la quale stava seduto o in piedi. Lei non si curò di guardarlo. "Guardami!", le chiese. Sentiva come lui cercasse di controllare la rabbia nella sua voce, ma non ci riusciva: la sua rabbia, per il suo unico errore di tanti anni prima, non poteva essere contenuta. Non poteva ignorare l'ordine che le aveva dato. Jay-la non voleva guardare quell'uomo, non voleva sentirsi quasi annegare nella profondità dei suoi occhi blu scuro, di un blu talmente intenso da ricordare l'oceano. Alzò gli occhi pieni di lacrime, lui indossava un completo grigio antracite, sbottonato, con sotto una camicia bianca e pulita, con i primi tre bottoni anch'essi sbottonatii, rivelando la pelle liscia e abbronzata al di sotto. Le sue labbra erano strette in una linea sottile, e sembrava che si fosse passato le mani sui capelli biondi, pettinati proprio come una volta, corti ai lati e lunghi sulla testa. No." si disse, probabilmente la sua Luna era stata con lui di recente. I suoi occhi incontrarono quelli profondi e blu scuro di lui, così pieni di rabbia per il solo fatto di doverla guardare, che non riuscì a trattenere le lacrime che fuoriuscivano dai suoi occhi verdi. Non l'avrebbe mai più guardata come faceva prima. Non riuscì a reggere il suo sguardo arrabbiato per più di qualche secondo, le faceva troppo male, gli occhi le caddero sul pavimento. Quest'uomo, il padre dei suoi figli, la odiava così tanto che la sua rabbia era a malapena contenuta. Sentì la porta del suo ufficio aprirsi rumorosamente e rimbalzare contro il muro per la forza con cui era stata aperta, e guardò in quella direzione. Alpha Blaine entrò nella stanza e il suo sguardo si posò su di lei. Un'espressione di totale shock gli attraversò il volto mentre la scrutava dalla testa ai piedi. "C'è un problema, figliolo!", affermò con fermezza, anche se i suoi occhi rimasero fissi su di lei, "tua madre ha appena registrato questo". Sia l'Alfa Nathan che il suo Beta Jackson spostarono l'attenzione da lei all'Alfa Blaine, Jay-la ne approfittò per alzarsi di corsa dal suo posto e correre da lui. L'ex Alfa non l'aveva bandita, non l'aveva separata dal branco, doveva provare qualcosa, una qualche compassione per lei. Doveva implorarlo di aiutarla, non era indegno di lei implorare, non a questo punto; nulla era indegno di lei quando si trattava dei suoi figli, e lo avrebbe implorato di aiutarla a tornare da loro. I suoi figli, i suoi nipoti, anche se che lui non lo sapeva. Ma doveva comunque provarci, doveva implorare e supplicare; probabilmente era l'unico che in quel momento che poteva aiutarla. Cadde in ginocchio ai suoi piedi, sopportando il dolore che le attanagliava le ginocchia già ferite: "Alfa Blaine, ti prego, ti supplico. Aiutami", le lacrime le sgorgarono dagli occhi mentre lo guardava e singhiozzava la sua supplica. Lui la guardò e lei credette di scorgere una sincera preoccupazione o pietà per lei, ma i suoi occhi erano annebbiati dalle lacrime. Non poteva essere certa che lui l'avrebbe aiutata. Lui conosceva entrambi i suoi genitori e lei aveva commesso un solo errore nella sua vita. Se solo potesse concederle il perdono, "ti prego", singhiozzò di nuovo quando lui non le rispose. "Ho tre figli, una famiglia". A questo punto non le importava chi sapesse dei suoi figli, non doveva per forza dire chi fosse il loro padre, aveva solo bisogno che lui le credesse. Spalancò gli occhi per lo shock; non aveva affatto frainteso. Sentì un sussulto e un ringhio riempire la stanza, Alpha Blaine si inginocchiò e toccò la fronte di lei. "Fammi vedere, bambina". Jay-la sapeva che lui aveva la capacità unica di vedere nella mente di qualcuno se l'altro era consenziente, e lei doveva permetterlo? Sì, a questo punto non le importava, doveva far sì che lui le credesse. Chiuse gli occhi e portò nella sua mente l'immagine dei suoi figli, che giocavano in salotto come tutti i giorni. Sentì che la mente di lui la raggiungeva e la afferrava, tirandola verso di sé per vedere con i propri occhi. Ci vollero meno di pochi secondi, poi lui lasciò andare l'immagine e si alzò in piedi. "Ti prego", lo implorò di nuovo, chinando il capo così tanto che la testa toccò il pavimento davanti ai suoi piedi. "Non lasciare che rimangano senza madre". "Tiratela su". Sentì l'alfa Nathan ruggire rabbiosamente perché si era rivolta all'alfa precedente per chiedere aiuto. Sentì delle mani posarsi sulle sue braccia, sollevarla dal pavimento e portarla in posizione eretta. Il tocco del beta Jackson era stato delicato quando l'aveva fatta alzare. Il televisore a muro si accese mentre Jackson le scostava dal viso i capelli intrisi di sangue; lei guardò implorante gli occhi grigi di lui e gli mormorò "per favore". Era inutile... A meno che Nathan non gli dicesse di liberarla, non sarebbe andata da nessuna parte, a quanto pare. Sarebbe rimasta sua prigioniera, nonostante avesse appena dimostrato di avere dei figli, fino a quando lui l'avesse ritenuto opportuno. La sua attenzione fu attirata dalla televisione. Vide Eric Stanton in piedi davanti al podio della conferenza stampa della società. Sembrava molto arrabbiato e infelice. Un brivido le attraversò il corpo, perché anche lui diventava spaventoso quando era arrabbiato. Era una forza umana con cui fare i conti, non molti nel mondo umano si sarebbero messi contro di lui. Quello che disse dopo la sconvolse: stava parlando di lei, diceva che era stata rapita, poi apparve un filmato sgranato di lei che veniva afferrata da due uomini fuori dal suo palazzo. Un panno le copriva il viso e qualcosa le veniva iniettato nel collo con una grossa siringa, prima di essere trascinata in un furgone scuro senza targa. Era chiaramente lei: riconobbe i vestiti che indossava, anche se ora la sua camicetta bianca di chiffon era sporca, strappata e macchiata di sangue, così come la sua gonna a tubino rosa chiaro, e le calze che indossava erano smagliate e bucate, e i suoi capelli, un tempo ordinati e pettinati alla francese, ora erano scarmigliati e insanguinati. Sullo schermo riapparve Eric, la cui espressione era ancora più arrabbiata. "Credo di sapere chi ha rapito la signorina Freeman, ho fornito i dettagli alla Polizia Federale e un'indagine è in corso proprio in questo momento". Eric alzò la mano e lì dentro c'era la busta nera che le era stata inviata da Alfa Nathan. Eric continuò a leggere il contenuto della lettera alla stampa e poi indicò il nome dell'autore. La girò e la mostrò alla telecamera che la ingrandì in modo che chiunque guardasse la trasmissione potesse leggerla da sé. Continuò: "Signor Nathan Browning della Browning Corporation, credo che questa lettera sia una minaccia diretta alla mia dipendente Jay-la, la informo che ho usato la mia capacità e la mia autorità di procuratore per far sapere che credo che lei sia il sospettato numero uno del suo rapimento. "Che l'avete rapita contro la sua volontà e che quando scoprirò la verità, e lo farò, la mia squadra al completo verrà a cercare lei e la sua società. La signorina Freeman non deve subire alcun danno e lei la libererà immediatamente. Non rendete orfani i suoi tre figli". Grazie alla Dea, per Eric Stanton e la sua dannata testardaggine, quell'uomo pensava di essere intoccabile e quindi di poter dire quello che gli pareva quando gli pareva. Per una volta, era contenta che non fosse solo il suo capo, ma anche una persona a lei familiare. Apprezzava molto il suo bisogno di controllare tutto e tutti intorno a lui, e il suo atteggiamento di comando. Quando e se fosse tornata al lavoro, lo avrebbe abbracciato. Jay-la inviò anche una preghiera silenziosa alla Dea per non aver raccolto quella lettera prima di andarsene dall'ufficio. Non l'aveva lasciata lì di proposito, aveva semplicemente lasciato il suo ufficio in uno stato di paura e angoscia, e non aveva pensato di raccoglierla. Ora Eric stava usando quella lettera come prova e aveva colto nel segno: lei era esattamente dove pensava che fosse e con chi sosteneva che l'avesse rapita. Tuttavia, non aveva idea di come la polizia federale umana avrebbe potuto sottrarla alla società dei lupi. Nella stanza cadde il silenzio, la televisione era stata spenta, e lei sentì Alfa Nathan imprecare ad alta voce. Un attimo dopo Jackson sbuffò, stavano tutti parlando attraverso il loro collegamento mentale, ma di cosa? Non lo sapeva. Probabilmente di cosa dovevano fare riguardo alla conferenza stampa. Jay-la era curiosa, ma doveva solo stare in piedi e aspettare. Le sue lacrime avevano smesso di cadere quando lei ebbe la speranza che Eric potesse salvarla. Aveva lavorato per lui per tutta la sua carriera. Aveva fatto il tirocinio nel suo studio legale durante gli ultimi due anni del corso di laurea, senza mai permettere che la gravidanza o la nascita dei suoi tre gemelli interferissero con il suo lavoro. Lui era rimasto più che scioccato quando aveva scoperto che era incinta e per le lunghe ore di lavoro a cui non si sottraeva in alcun modo, lavorando fino a tarda notte, decisa a dimostrarsi una stagista scrupolosa e professionale. Determinata a non perdere il suo lavoro, di cui aveva bisogno per mantenere i suoi figli. La sua caparbia determinazione lo aveva incuriosito, lei aveva ottenuto la laurea con il massimo dei voti e, anche dopo aver dato alla luce i tre gemelli, aveva continuato a studiare duramente. Era rimasto più che sorpreso di sapere che parlava correntemente mandarino, francese e coreano. Era appassionata di lingue e nel tempo libero stava imparando il tedesco. Eric ora sapeva che Tony e Lauren erano intervenuti per aiutarla, visto che non sembrava avere una famiglia, e l'avevano in un certo senso accolta come se fosse figlia loro. Jay-la aveva superato l'esame di abilitazione, anzi l'aveva superato a pieni voti, e lui le aveva offerto un lavoro non appena erano arrivati i risultati. Ora stava cercando di aiutarla di nuovo. "Toglile le manette", sentì l'ordine perentorio di Alpha Nathan che lo riportò al presente. Jackson tirò fuori una piccola chiave e la usò per toglierle le manette. Appena le furono tolte, la pelle smise di bruciarle e si strofinò i polsi per alleviare il dolore. L'unica parte di lei che non era ferita erano le mani, perché erano state legate dietro di lei per tutto il tempo. Jackson le girò il viso verso di lui e Jay-la osservò i suoi occhi grigi che si velavano di nuovo. Lanciò un'occhiata ai due Alfa nella stanza e notò che erano tutti in conversazione con la mente, lei non era collegata e nessuno la stava guardando. Ora o mai più, pensò tra sé e sé. E desiderio di morte sia. Jay-la fece un lungo e lento respiro e si preparò alla lotta della sua vita. Sbatté il ginocchio sull'inguine di Jackson più forte che poté, provocando dolore anche a se stessa a causa delle ferite riportate, e poi si voltò e corse il più velocemente possibile fuori dall'ufficio. La porta era ancora aperta, da quando Alpha Blaine aveva fatto irruzione nella stanza, e per esperienza sapeva che anche la porta d'ingresso della casa del branco era probabilmente aperta, restava chiusa solo per la notte. Corse il più velocemente possibile verso i cancelli d'ingresso, pregando che fossero ancora aperti. Nella sua mente, mentre correva per salvarsi, gridava a Kora di svegliarsi. Poteva finalmente sentirla ai margini della sua mente, in fondo, sepolta nell'oscurità. Aveva bisogno del suo lupo più che mai, della sua velocità, della sua forza e resistenza, della sua ferocia e determinazione per proteggerla e portarla fuori di lì e tornare dai loro cuccioli. "KORA" urlò in continuazione, cercando disperatamente di risvegliare la sua bestia interiore, finché finalmente sentì il suo lupo svegliarsi "AIUTAMI" urlò Jay-la nella sua mente, al suo lupo, in modo che sentisse l'urgenza. Kora si precipitò in avanti per fare il punto della situazione e di ciò che la circondava; guardando alle sue spalle, vide Jackson e Stephen che le correvano dietro e guadagnavano rapidamente terreno, con i loro lupi, Apollo e Rafe, che correvano più veloci che potevano. Un ringhio le sfuggì di bocca, poi si slanciò in avanti, mettendo tutta la sua velocità, il suo potere e la sua forza nel loro corpo comune. Avanzarono velocemente. Kora era sempre veloce, non molti riuscivano a starle dietro sul terreno aperto. Una parte di Kora si sentiva eccitata ed esaltata all'idea di usare tutto ciò che aveva, un'altra parte si sentiva felice di essere inseguita da due persone che sapeva non l'avrebbero mai presa. Anzi, si rallegrò di essere libera di correre il più velocemente possibile. Una cosa che non riusciva a fare da anni, correre a tutta forza ed essere in prima linea e soprattutto avere il controllo, la rendeva davvero eccitata e felice. Essere inseguita da lupi del suo stesso branco, invece, non la impressionava: "Come è successo?", si chiese mentre correva lungo la strada. "Drogata, con l'aconito e l'argento, rapita". Jay-la la informò. Un ringhio enorme emerse da dentro di lei, mentre la rabbia riempiva il suo lupo: "I uccioli?" "Sono a casa, volevano solo noi. Sembrava che non sapessero nulla di loro, fino ad ora". Fino ad ora?" "Ho dovuto implorare Alpha Blaine, dirgli che avevamo dei figli, ha insistito per vederli con il suo dono". Kora era silenziosa, ma spronata dal bisogno di sapere che i suoi cuccioli erano al sicuro, aumentò ancora di più la velocità. Era diventata più veloce nel corso degli anni, anche se usciva solo ogni tre o quattro mesi, era cresciuta con Jay-la. S iniziò infine a intravedere il cancello del branco che, con sua grande sorpresa, era aperto e c'era un'auto della polizia federale umana parcheggiata proprio lì sul vialetto. Guardò un uomo che scendeva vestito con un semplice abito nero. La stava fissando, completamente scioccato di vederla, probabilmente non aveva mai pensato che lei potesse essere qui, o era stato informato dalle guardie del cancello. Lei gridò aiuto. Lo vide estrarre la pistola e alzarla stringendola tra le mani. Non era puntata su di lei, ma alle sue spalle. Con suo grande sollievo, sentì i passi di Jackson e Stephen rallentare e fermarsi del tutto; non l'avrebbero inseguita finché i FED umani fossero stati in vista. Non dopo la conferenza stampa che Eric aveva tenuto, che la Dea ti benedica Eric. "Kora non ci guarisce quando ci fermiamo". Prove. Kora era d'accordo. Erano entrambe intelligenti, quello che aveva studiato Jay-la, lo aveva studiato anche Kora. I loro interessi si allineavano. Corse dritta tra le braccia dell'altro umano che era sceso dall'auto e si accasciò sul suo petto, singhiozzando come una brava ragazza terrorizzata, che scappava per salvarsi dai suoi rapitori, mentre cadeva tra le braccia di un soccorritore. Mentre saliva in macchina, volse lo sguardo verso la strada dei pacchi. Jackson e Stephen erano entrambi lì in piedi a guardarla. Non esitò a salire sul sedile posteriore dell'auto. Sperava solo che non cacciassero e non uccidessero gli umani che erano con lei per riprendersela, non appena si fossero allontanati.
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