Chapter 12

2890 Parole
IV - Una signora di poca fede Mentre assisteva alla scena del colloquio con le donne del popolo e alla benedizione, la ricca signora forestiera si scioglieva in lacrime silenziose che asciugava con il suo fazzolettino. Era una signora sentimentale dell’alta società, dall’indole, per molti versi, sinceramente buona. Quando finalmente lo starec si accostò a lei, ella lo accolse con entusiasmo: «Quanto, quanto ho sofferto nell’assistere a questa scena così commovente...», non terminò la frase dall’agitazione. «Oh, adesso capisco che il popolo vi ami tanto, anche io amo il popolo, desidero amarlo, e poi, come non amare il popolo, il nostro meraviglioso popolo russo così semplice nella sua grandezza?» «Come va la salute della vostra figliola? Volevate avere un altro colloquio con me?» «Oh, ho chiesto con insistenza, ho supplicato, ero pronta a mettermi in ginocchio e rimanere anche tre giorni davanti alle vostre finestre, finché non mi aveste ricevuto. Siamo venute da voi, sublime guaritore, per esprimervi tutta la nostra fervida gratitudine. Infatti voi avete guarito la mia Liza, l’avete guarita completamente, è stato quando avete pregato accanto a lei giovedì, imponendole le mani. Siamo corse a baciare queste mani, a esprimere i nostri sentimenti e la nostra gratitudine!» «Come, l’ho guarita? Ma se è ancora sulla sua sedia!». «Ma le febbri notturne sono cessate del tutto, sono già due giorni, esattamente da giovedì», si affrettò a dire la signora nervosamente. «E poi le gambe sono più forti. Quando si è alzata stamattina si sentiva bene, ha dormito tutta la notte, guardate che bel colorito che ha, guardate che occhietti splendenti. Prima non faceva che piangere, mentre ora ride, è allegra, felice. Oggi ha voluto assolutamente che la lasciassi stare un po’ in piedi ed è restata così un minuto intero senza alcun sostegno. Scommette con me che tra due settimane ballerà la quadriglia. Ho chiamato il dottore del posto, Gercenštube, egli ha stretto le spalle e ha detto: “Sono stupito, non mi capacito”. E voi volevate che non vi disturbassimo, che non corressimo qui a ringraziarvi? Lise, su, ringrazia, ringrazia!» Il grazioso visetto sorridente di Lise ad un tratto si fece serio, ella si alzò dalla sedia, per quanto le fu possibile, e, guardando lo starec, giunse le manine davanti a lui, ma non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere... «È per lui, per lui!», disse indicando Alëša, irritata con se stessa come una bambina per non essere riuscita a trattenersi dal ridere. Chi in quel momento avesse guardato Alëša che stava in piedi, a un passo dallo starec, avrebbe notato un subitaneo rossore imporporargli le guance. I suoi occhi scintillarono per un attimo e poi si abbassarono. «Ha un messaggio per voi, Aleksej Fëdoroviè... Come state?», proseguì la mamma porgendo ad Alëša la sua manina graziosamente inguantata. Lo starec si voltò e osservò attentamente Alëša. Questi si avvicinò a Liza e le tese la mano con un sorriso strano e imbarazzato. Lise assunse un’espressione grave. «Katerina Ivanovna mi ha incaricato di darvi questo», e gli porse una letterina. «Vi prega caldamente di andare a trovarla, ma al più presto possibile, vuole che non la prendiate in giro, ma che andiate assolutamente da lei». «Vuole che io vada a trovarla? Che io vada da lei... E come mai?», mormorò Alëša stupefatto. Il suo viso assunse all’improvviso un’espressione preoccupata. «Oh, è sempre per via di Dmitrij Fëdoroviè e... di tutti gli avvenimenti di questi ultimi tempi», si affrettò a spiegare la mamma. «Katerina Ivanovna ha preso una certa decisione... ma per questo deve assolutamente vedervi... perché? Naturalmente lo ignoro, ma lei vuole vedervi al più presto possibile. E voi ci andrete, ci andrete di sicuro, è persino un sentimento cristiano che ve lo ordina». «Ma se l’ho vista soltanto una volta», obiettò Alëša con la stessa perplessità di prima. «Oh, ella è una creatura così nobile, così incomparabile!... Solo per le sue sofferenze... Immaginate un po’ che cosa ha dovuto sopportare, che cosa deve sopportare adesso, immaginate che cosa l’aspetta... tutto questo è terribile, terribile!» «Va bene, ci andrò», decise Alëša, dopo aver dato una scorsa al messaggio breve e misterioso, che, oltre all’insistente richiesta di una sua visita, non conteneva alcun genere di spiegazione. «Ah, quanto è buono e generoso questo da parte vostra!», esclamò Lise tutt’a un tratto animata. «E io che avevo detto alla mamma: “non ci andrà in nessun caso, quello pensa a santificare la sua anima”. Che persona meravigliosa siete! Ho sempre pensato che foste una persona meravigliosa, e adesso mi fa proprio piacere dirvelo!» «Lise! », disse la mamma in tono severo, ma subito dopo sorrise. «Voi avete dimenticato anche noi, Aleksej Fëdoroviè, non volete più venire a trovarci; e intanto Lise mi ha già detto due volte che sta bene solo con voi». Alëša sollevò gli occhi, arrossì un’altra volta e sorrise di nuovo senza sapere neanche lui perché. Del resto, lo starec non lo stava più guardando. Si era messo a parlare con il monaco forestiero che lo stava aspettando, come abbiamo già detto, accanto alla poltrona di Lise. Dall’aspetto si sarebbe detto un monaco dei più umili, cioè di umile origine, con una mentalità ristretta e rigida, ma fermamente credente e, a suo modo, tenace. Egli disse di provenire dall’estremo nord, da Obdorsk, da San Silvestro, e di far parte di un povero monastero che ospitava in tutto nove monaci. Lo starec gli dette la benedizione e lo invitò a fargli visita nella sua cella quando avesse voluto. «Come potete avere l’ardire di fare simili cose?», domandò ad un tratto il monaco indicando Lise con aria grave e significativa. Egli alludeva alla “guarigione” della ragazza. «È ancora presto per dirlo. Un miglioramento non significa ancora la completa guarigione e può anche essere causato da altri fattori. Ma se qualcosa c’è stato, non si tratta di nessun potere particolare, ma solo della volontà di Dio. Deriva tutto da Dio. Venite a trovarmi, padre», disse ancora una volta al monaco, «non capita spesso che possa ricevere dei visitatori: sono malato e so di avere i giorni contati». «Oh no, no, Dio non ci priverà di voi, voi vivrete ancora a lungo, a lungo», gridò la signora. «E poi di che malattia si tratta? Sembrate così pieno di salute, lieto, felice». «Oggi mi sento straordinariamente bene, ma so già che si tratta di una cosa momentanea. Adesso comprendo pienamente la mia malattia. Dite che vi sembro lieto, non avreste potuto dirmi niente che mi facesse più piacere. Giacché gli uomini sono stati creati per essere felici, e colui che è perfettamente felice è veramente degno di dire: “Ho compiuto il volere di Dio su questa terra”. Tutti i giusti, tutti i santi, tutti i santi martiri erano felici». «Oh, come parlate! Quali parole ardite ed elevate!», esclamò la signora. «Quando parlate è come se trafiggeste l’anima! Ma la felicità, la felicità, dov’è? Chi può dire di essere felice? Oh, dal momento che siete stato così buono oggi da permetterci di vedervi un’altra volta, allora ascoltate quello che la scorsa volta non sono riuscita a dirvi, non ho avuto il coraggio di dirvi, quello per cui soffro da così tanto tempo! Io soffro, perdonatemi, ma io soffro...» E in un impeto di fervore ella congiunse le mani davanti a lui. «Per quale motivo in particolare?» «Io soffro... per mancanza di fede». «Mancanza di fede in Dio?» «Oh no, no, non oso nemmeno pensare a una cosa del genere, ma la vita futura, è un tale enigma! E nessuno, proprio nessuno può risolverlo! Ascoltate, voi che siete un guaritore, un esperto dell’anima umana; io certo non oso nemmeno pretendere che voi mi crediate in tutto e per tutto, ma vi do la mia parola d’onore che non sto parlando superficialmente adesso, che il pensiero di una vita futura d’oltretomba mi turba sino a farmi soffrire, a spaventarmi, a terrorizzarmi... Non so a chi rivolgermi, non ho osato per tutta la vita... Ed ecco che in questo momento oso rivolgermi a voi... Oh Dio, che opinione avrete di me adesso?» Ella batté le mani. «Non vi preoccupate della mia opinione», rispose lo starec. «Io credo pienamente alla sincerità della vostra sofferenza». «Ah, come vi sono grata! Vedete, io chiudo gli occhi e penso: se tutti hanno fede, da dove mai sarà nata quella fede? E mi sono convinta che tutto questo abbia avuto origine dalla paura dinanzi ai terribili fenomeni naturali, ma che non ci sia nulla di vero. Ecco che cosa penso, che cosa ho creduto per tutta la vita: morirò e non ci sarà nulla, ma “crescerà la lappa sulla mia tomba”, come ho letto in un romanzo. È orribile! In che modo, che cosa potrà restituirmi la mia fede? Del resto, io ho creduto solo da bambina, meccanicamente, senza pensare a niente... Ma in che modo, in che modo dimostrarlo? E adesso sono venuta a prostrarmi dinanzi a voi e a domandarvi questo. Infatti, se perdo questa occasione, nessuno mai nella vita mi darà una risposta. In che modo posso dimostrarlo? In che modo posso convincermi? Oh, come sono infelice! Io mi guardo attorno e vedo che gli altri sono indifferenti a questo, che quasi nessuno se ne preoccupa, mentre io sono l’unica che non riesce a sopportarlo. È micidiale, micidiale!» «Senza dubbio è micidiale. Ma non c’è niente da dimostrare, sebbene ci si possa convincere». «Come? In che modo?» «Con l’esperienza dell’amore attivo. Cercate di amare il vostro prossimo attivamente e infaticabilmente. Nella misura in cui progredirete nell’amore, vi convincerete sia dell’esistenza di Dio sia dell’immortalità della vostra anima. Se raggiungerete la perfetta abnegazione nell’amore verso il prossimo, allora crederete senza ombra di dubbio e nessun dubbio sorgerà allora nella vostra anima. Questo è provato, è certo». «L’amore attivo? Ecco un’altra questione, e che questione, che questione! Vedete: io amo l’umanità a tal punto che a volte – ci credereste? – sogno di rinunciare a tutto, a tutto ciò che possiedo, di abbandonare Lise e di andare a fare la suora di carità. Chiudo gli occhi, penso e sogno, e in quei momenti avverto una forza irresistibile dentro di me. Nessuna ferita, nessuna piaga purulenta mi spaventerebbe. Fascerei e laverei quelle ferite con le mie stesse mani, curerei giorno e notte questi malati, sarei pronta a baciare le loro piaghe...» «Ed è già molto, è già una buona cosa che la vostra mente concepisca questi sogni e non altri. Un giorno, senza tanto pensarci, potreste compiere qualche buona impresa nella realtà». «Sì, ma quanto tempo potrei resistere a una simile vita?», proseguì la signora con fervore, quasi con frenesia. «Ecco la domanda più importante! È la domanda che mi tormenta più di tutte le altre. Chiudo gli occhi e mi domando: resisterei a lungo su quella strada? E se il malato, del quale stai lavando le ferite, non ti ricompensasse subito con gratitudine ma al contrario cominciasse a darti il tormento con i capricci, senza apprezzare né notare i tuoi caritatevoli servizi, se cominciasse a gridarti contro, a impartirti ordini con villania, persino a lamentarsi di te presso qualche superiore (come spesso accade con i pazienti che soffrono molto), che cosa succederebbe allora? Persevererai nel tuo amore oppure no? E, sapete, io sono pervenuta con orrore a una conclusione: se c’è qualcosa che farebbe raggelare immediatamente il mio amore “attivo” per l’umanità, quella sarebbe l’ingratitudine. Insomma, sono un’operaia per la paga, esigo subito la paga, cioè le lodi e la ricompensa dell’amore per l’amore. Altrimenti non sono capace di amare nessuno!» Era in un vero parossismo di autoflagellazione e, in conclusione, guardò lo starec con risolutezza provocatoria. «È esattamente la stessa storia che mi raccontò una volta, molto tempo fa, un dottore», osservò lo starec. «Era un uomo di età già avanzata e senza dubbio intelligente. Egli parlava con la stessa vostra franchezza, anche se in tono un po’ scherzoso, ma amaramente scherzoso. Mi diceva: “Io amo l’umanità, però mi meraviglio di me stesso: tanto più amo l’umanità in generale, tanto meno amo i singoli uomini, presi separatamente, come persone distinte. Non di rado nelle mie fantasticherie ho formulato piani appassionati per servire l’umanità e forse mi sarei davvero fatto crocifiggere per gli uomini, se ce ne fosse stato improvvisamente bisogno, ma intanto non sono capace di vivere due giorni nella stessa stanza con qualcuno, e lo so per esperienza. Non appena qualcuno mi sta vicino, subito la sua personalità soffoca il mio amor proprio e limita la mia libertà. In sole ventiquattr’ore arrivo ad odiare le persone migliori del mondo: uno perché è troppo lento a pranzo, l’altro perché ha il raffreddore e si soffia il naso di continuo. Divento nemico degli uomini non appena qualcuno mi sfiora. In compenso avviene sempre che più odio gli uomini presi singolarmente, più ardente diventa il mio amore per l’umanità in generale”». «Ma che cosa farci? Che cosa si può fare in questo caso? Allora c’è solo da disperarsi?» «No, è già sufficiente che vi affliggiate per questo. Fate quello che potete e ve ne sarà reso merito. Avete fatto già molta strada se siete in grado di conoscere voi stessa in modo così profondo e sincero! Se invece anche con me avete parlato con tanta franchezza al solo scopo di ottenere approvazione per la vostra sincerità, come è avvenuto or ora, allora sicuramente non combinerete nulla nelle vostre imprese di amore operoso; i vostri rimarranno soltanto sogni e la vostra vita scivolerà via come un fantasma. In questo caso, cesserete pure di pensare alla vita futura e alla fine troverete pace in qualche modo». «Mi avete schiacciata! Solo adesso, nel momento stesso in cui voi parlavate, ho capito che io mi aspettavo davvero soltanto la vostra approvazione per la mia sincerità quando vi ho raccontato che non sopporto l’ingratitudine. Voi mi avete rivelato il mio vero io, mi avete letto dentro e mi avete chiarita a me stessa!» «State dicendo la verità? Ecco, adesso, dopo questa vostra ammissione, io credo che siate sincera e che il vostro cuore sia buono. Se non raggiungerete la felicità, rammentate sempre che siete sulla buona strada e cercate di non abbandonarla mai. Soprattutto, evitate la menzogna, ogni tipo di menzogna, specialmente la menzogna a voi stessa. Esaminate la vostra menzogna e sorvegliatela attentamente ogni ora, ogni minuto. Evitate di provare ribrezzo sia per gli altri sia per voi stessa: quello che vi sembra cattivo in voi stessa viene purificato dal fatto stesso che voi l’abbiate notato. Evitate anche la paura, sebbene la paura sia solo una conseguenza di ogni sorta di menzogna. Non fatevi intimorire dalla vostra viltà nel perseguire l’amore, non fatevi intimorire troppo nemmeno dalle vostre cattive azioni. Mi dispiace non potervi dire nulla di più consolatorio, giacché l’amore attivo è crudele e terrificante se paragonato all’amore dei sogni. L’amore dei sogni anela all’azione rapida, dai risultati immediati, alla vista di tutti. Gli uomini darebbero persino la vita purché l’esecuzione non duri a lungo, ma si consumi in fretta come su un palcoscenico, con un pubblico attento e plaudente. L’amore attivo invece è fatica e disciplina, e per alcuni addirittura una vera scienza. Ma vi predico questo: nel momento stesso in cui vi accorgerete con orrore che, a dispetto di tutti i vostri sforzi, non solo non vi sarete avvicinata allo scopo, ma ve ne sarete quasi allontanata, in quello stesso istante, vi predico, voi avrete raggiunto lo scopo all’improvviso e vedrete chiaramente sopra di voi la potenza miracolosa del Signore che per tutto il tempo vi ha amato e misteriosamente guidato. Perdonatemi, ma non posso trattenermi più a lungo qui con voi, mi aspettano. Arrivederci». La signora piangeva. «Lise, la mia Lise, beneditela, beneditela!», ella gridò trasalendo di colpo. «Non vale neanche la pena di volerle bene. Ho visto come ha fatto la birichina per tutto il tempo», disse scherzando lo starec. «Perché prendevate in giro Aleksej?» Lise infatti era stata intenta a quella birichinata per tutto il tempo. Ella si era accorta da tempo, sin dalla volta precedente, che Alëša si sentiva a disagio e cercava di non guardarla, e la cosa la divertiva un mondo. Ella aspettava attentamente di catturare il suo sguardo: non riuscendo a resistere a quello sguardo fisso su di lui, Alëša di tanto in tanto, involontariamente, spinto da una forza irresistibile, la sbirciava a sua volta e lei si metteva subito a ridacchiare con un sorriso di trionfo, proprio davanti a lui. Alëša si confondeva e si irritava ancora di più. Alla fine si era completamente girato dall’altra parte e si era nascosto alle spalle dello starec. Dopo qualche minuto, attratto dalla stessa forza irresistibile di prima, si voltò per vedere se lei lo stesse ancora guardando e vide che Lise, sporgendosi quasi completamente dalla sua poltrona, lo sbirciava da un lato e aspettava avidamente che lui si girasse a guardarla; dopo aver colto il suo sguardo, si mise a ridere così forte che persino lo starec non poté fare a meno di dire: «Perché, birichina, lo mettete così in imbarazzo?» Lise, ad un tratto, e del tutto inaspettatamente, arrossì, gli occhi le scintillavano, il viso aveva assunto un’espressione molto seria; ella si mise a parlare in fretta, nervosamente, con un tono di lamento risentito e indignato: «E lui allora perché ha dimenticato tutto? Mi portava in braccio quand’ero piccola, giocavamo insieme. Veniva ad insegnarmi a leggere, lo sapete questo? Due anni fa, quando ci salutammo, disse che non avrebbe mai dimenticato, che saremmo stati amici per sempre, per sempre, per sempre! Ed ecco che all’improvviso ha paura di me: che, lo mangio forse? Perché non vuole avvicinarsi, perché non parla? Perché non vuole più venire da noi? Forse siete voi che non lo lasciate venire: eppure noi sappiamo che egli va dove vuole. Non sta bene che lo inviti io, avrebbe dovuto essere lui a pensarci, se è vero che non ha dimenticato. No, adesso pensa alla salvezza della sua anima! Perché gli avete fatto mettere quella tonaca dalle lunghe falde?... Se si mette a correre, cade...» E ad un tratto, non riuscì a trattenersi, si coprì il volto con una mano e scoppiò in una risata incontenibile, prolungata, nervosa, convulsa e impercettibile. Lo starec l’aveva ascoltata con un sorriso e ora la benedisse con tenerezza; mentre gli baciava la mano, ella ad un tratto se la premette agli occhi e scoppiò a piangere: «Non vi adirate con me, sono una sciocca, non valgo niente... e forse Alëša ha ragione a non voler venire da una ragazza ridicola come me». «Lo manderò senz’altro da voi», decise lo starec.
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