Capitolo 5-1

2021 Parole
Capitolo 5 Il pranzo di fidanzamento Il giorno dopo fu un bel giorno, il sole si alzò puro e rilucente, e i suoi primi raggi di un rosso purpureo screziavano le cime dei flutti di un bel color rubino. Il pranzo era stato preparato al primo piano di quella stessa riserva col pergolato, di cui noi facemmo già conoscenza. Era una gran sala illuminata da cinque o sei finestre, e al di sopra di ciascuna, senza sapere il perché, stava scritto il nome di una delle grandi città della Francia; una terrazza in legno univa le finestre. Quantunque il pranzo non fosse fissato che per mezzogiorno, fino dalle undici del mattino questa terrazza sovrabbondava di persone che vi passeggiavano con impazienza. Erano i marinai privilegiati del Pharaon e qualche amico di Dantès. Tutti, in onore del fidanzato, erano vestiti con i loro migliori abiti. Correva voce fra i convitati del promesso sposo, che gli armatori del Pharaon avrebbero onorato il fidanzamento del loro secondo. Ma questo, a loro dire, era un onore così grande per Dantès, che nessuno osava crederci. Però Danglars, che giungeva in compagnia di Caderousse, confermò la notizia. La mattina aveva visto lo stesso signor Morrel, e questi lo aveva assicurato che sarebbe venuto a pranzo alla riserva. Difatti, poco dopo il signor Morrel fece il suo ingresso nella sala e fu salutato dai marinai del Pharaon con un "evviva" e unanimi applausi. La presenza dell'armatore era una conferma della voce che già correva che Dantès sarebbe stato nominato capitano; e siccome Dantès era molto amato a bordo, questa brava gente faceva capire in tal modo all'armatore che una volta tanto la nomina del capitano era in armonia coi desideri dei subordinati. Appena il signor Morrel fu entrato, Danglars e Caderousse furono da tutti incaricati di andare incontro ai fidanzati. Dovevano avvertirli dell'arrivo del personaggio importante, la cui venuta aveva prodotto una così forte impressione, e dir loro che si affrettassero. Danglars e Caderousse partirono di corsa; ma non ebbero fatto cento passi che scorsero la piccola compagnia che veniva verso di loro. Questa piccola compagnia si componeva di quattro ragazze amiche di Mercedes, catalane come lei, che accompagnavano la fidanzata alla quale Edmond dava il braccio. Vicino alla futura sposa camminava il vecchio Dantès, e dietro loro veniva con sinistro sogghigno Fernand; i poveri giovani erano così felici, che non vedevano che sé stessi e il bel cielo che li benediceva. Danglars e Caderousse portarono a termine la loro missione di ambasciatori; quindi dopo aver scambiato con Edmond una stretta di mano vigorosa ed amichevole, andarono, il primo a prender posto vicino a Fernand, l'altro a mettersi a fianco del padre di Dantès, centro dell'attenzione generale. Il vecchio era vestito del suo bell'abito di taffetà misto, guarnito con larghi bottoni di acciaio tagliati a faccette. Le sue gambe sottili, ma nerborute, erano ricoperte da un magnifico paio di calze di cotone operato, di contrabbando inglese. Dal suo cappello a tre pizzi pendeva una fettuccia bianca e turchina. Si appoggiava sopra un bastone di legno tornito e ricurvo in alto come il " pedum" degli antichi. Si sarebbe detto uno di quegli zerbinotti che facevano la loro parata nel 1796 nei giardini nuovamente riaperti del Lussemburgo e delle Tuileries. Vicino a lui, come già detto, si era seduto Caderousse, che la speranza di un buon pranzo aveva riconciliato con Dantès; Caderousse al quale restava nella mente una vaga memoria di ciò che era accaduto il giorno innanzi, come quando nello svegliarsi la mattina si ritrova l'ombra del sogno che si è fatto nella notte. Danglars nell'avvicinarsi a Fernand aveva gettato sul catalano imbarazzato uno sguardo profondo. Fernand camminava dietro ai fidanzati, completamente trascurato da Mercedes, che, con quell'egoismo giovanile caro all'amore, non aveva occhi per altri che per Edmond; Fernand era pallido, con improvvisi rossori che lasciavano il posto a un pallore sempre più crescente. Ogni tanto guardava verso Marsiglia, ed allora un tremito nervoso ed involontario gli scorreva per tutto il corpo. Fernand sembrava attendere o per lo meno prevedere un qualche avvenimento. Dantès era vestito con semplicità. Appartenendo alla marina mercantile, aveva un abito fra l'uniforme militare ed il costume borghese, e sotto questo abito il suo portamento, eccitato anche dalla gioia e dalla bellezza della sua fidanzata, era superbo. Mercedes era bella come una di quelle divinità greche di Cipro o di Ceos, dagli occhi d'ebano e dalle labbra di corallo. Camminava con il passo franco e libero delle andaluse. Una ragazza di città avrebbe forse cercato di nascondere la sua gioia sotto un velo o almeno sotto la carne tenera delle palpebre; ma Mercedes sorrideva e guardava tutto ciò che la circondava, e il suo sorriso ed il suo sguardo dicevano francamente quanto avrebbero potuto dire le sue parole: «Se voi mi siete amici rallegratevi, poiché in verità io sono molto felice». Dal momento che i fidanzati e coloro che li accompagnavano furono in vista della riserva, Morrel discese, e avanzò verso di loro, seguito dai marinai e dai soldati coi quali era rimasto ed a cui aveva rinnovato la promessa, già fatta a Dantès, che questi sarebbe succeduto al capitano Leclère. Edmond, vedendolo venire, lasciò il braccio della fidanzata e lo cedette a Morrel. L'armatore e la ragazza dettero allora l'esempio e salirono per primi la scala di legno che dava verso la stanza ove era preparato il pranzo. La scala scricchiolò per cinque minuti sotto i pesanti passi dei convitati. «Padre mio» disse Mercedes, fermandosi a metà della tavola, «voi starete alla mia destra, alla sinistra porrò colui che fin qui mi ha fatto da fratello» e lo disse con una dolcezza che penetrò nel più profondo del cuore di Fernand come un colpo di pugnale. Le sue labbra s'incresparono e, sotto la tinta livida del suo viso maschile, si poté vedere il sangue ritirarsi a poco a poco, per affluire al cuore. Durante questo tempo Dantès aveva eseguita la stessa manovra: alla sua destra aveva posto Morrel, alla sinistra Danglars; quindi aveva fatto segno con la mano che ciascuno prendesse posto a suo piacere. Già circolavano intorno alla tavola i salami di Arles con le carni brune e affumicate, le aragoste ricoperte della loro rosea corazza, i ricci di mare che sembravano castagne circondate dalla loro scorza spinosa, le cappe che presso i ghiottoni del mezzogiorno sono valutate più delle ostriche del nord; e tutti quei crostacei, che i flutti gettano sulla riva sabbiosa e che i pescatori riconoscenti designano col nome generico di frutti di mare. «Bel silenzio!» Disse il vecchio, assaggiando un bicchiere di vino giallo topazio, che papà Panfilo in persona aveva portato a Mercedes. «Si direbbe che qui ci sono trenta persone che non desiderano altro che ridere...» «Eh, un marito non è sempre allegro» disse Caderousse. «Il fatto è» disse Dantès, «che sono troppo felice in questo momento. Se è così che voi la intendete, caro vicino, avete ragione: la gioia qualche volta fa un effetto strano: essa opprime come il dolore.» Danglars osservò Fernand la cui natura impressionabile riceveva e rifletteva ciascuna emozione. «Andiamo dunque» disse, «avreste forse paura di qualche cosa? Mi sembra al contrario che vada tutto secondo i vostri desideri.» «Ed è precisamente questo che mi spaventa» disse Dantès, «mi sembra che l'uomo non sia fatto per essere così semplicemente felice. La felicità è come quei palazzi delle isole incantate le cui porte sono guardate dai draghi: bisogna combattere per conquistarli; ed io per dir la verità non so qual merito mi abbia valso la felicità di diventare il marito di Mercedes.» «Marito, marito!» Disse Caderousse ridendo, «non ancora, caro capitano. Prova un poco a fare da marito e vedrai come sarai ricevuto.» Mercedes arrossì, Fernand si agitava sulla sedia, rabbrividiva al più piccolo rumore, e di tanto in tanto si asciugava grosse gocce di sudore sulla fronte, come le prime gocce di un uragano. «In fede mia» disse Dantès estraendo l'orologio, «vicino Caderousse, non val la pena di darmi una smentita per così poco. Mercedes non è ancora mia moglie, è vero, ma fra un'ora e mezzo lo sarà.» Ciascuno fece un grido di sorpresa, eccetto il padre di Dantès il cui largo riso mostrava dei denti sempre belli. Mercedes sorrise e non arrossì più. Fernand afferrò convulsamente il manico del suo coltello. «Fra un'ora» disse Danglars impallidendo anch'egli, «e come?» «Sì, amici miei» rispose Dantès, «grazie al credito del signor Morrel, l'uomo al quale dopo mio padre io debbo più a questo mondo, tutte le difficoltà furono appianate; noi abbiamo pagato le pubblicazioni, e alle due e mezzo il Sindaco di Marsiglia ci aspetta al Palazzo di città. Essendo l'una e un quarto, credo di non essermi sbagliato dicendo che tra un'ora e trenta minuti Mercedes si chiamerà signora Dantès.» Fernand chiuse gli occhi; una nube di fuoco consumò le sue palpebre, si appoggiò alla tavola per non cadere in deliquio, e malgrado tutti i suoi sforzi non poté ritenere un sordo gemito che si perdette fra il rumore delle risa e le felicitazioni dell'assemblea. «È un bel fare, eh?» Disse il padre di Dantès. «Vi sembra che questo si chiami perder tempo? Arrivato ieri mattina, maritato oggi! Parlatemi di marinai per alludere a coloro che vanno dritti alla meta.» «Ma le altre formalità?» Obiettò timidamente Danglars. «Il contratto» disse Dantès ridendo, «il contratto è fatto. Mercedes non ha niente ed io lo stesso, noi ci maritiamo sotto il regime della comunione; vedete che questo non è lungo a scrivere e non sarà costoso a pagarsi.» Questa facezia eccitò una nuova esplosione di gioia e di evviva. «Per tal modo quello che noi crediamo un pranzo di fidanzamento» disse Danglars, «è invece un pranzo di nozze?» «No» disse Dantès, «state tranquillo, non perdete niente. Domani mattina parto per Parigi: cinque giorni per andare, cinque giorni per tornare, un giorno per eseguire coscienziosamente la commissione di cui sono incaricato, e il dodici marzo sono di ritorno. Per il dodici di marzo dunque vi aspetto al vero pranzo di nozze.» La prospettiva di un nuovo festino raddoppiò l'ilarità al punto che Dantès padre, che al principio del pranzo si lamentava del silenzio, faceva ora, in mezzo alla conversazione generale, vani sforzi per contenere i suoi auspici di prosperità in favore dei promessi sposi. Dantès indovinò il pensiero del padre e rispose con un sorriso pieno d'amore. Mercedes cominciò a guardare l'orologio della sala e fece un piccolo segno a Edmond. Regnava intorno alla tavola quella gioia fragorosa, propria della fine dei pranzi della gente povera. Quelli che erano malcontenti del loro posto si erano alzati da tavola, ed erano andati a cercare altri vicini. Tutti cominciavano a parlare in una volta e nessuno si occupava di rispondere a ciò che gli domandava il suo interlocutore. Il pallore di Fernand era passato quasi eguale sulle guance di Danglars; in quanto a Fernand stesso, non viveva più e sembrava un dannato in un lago di fuoco. Egli si era alzato tra i primi e passeggiava in lungo e in largo nella sala, cercando d'isolare il suo orecchio dal rumore delle canzoni e dall'accostarsi dei bicchieri. Caderousse si avvicinò a lui nel momento in cui Danglars, che egli sembrava fuggire, lo stava raggiungendo in un angolo della sala. «In verità» disse Caderousse, a cui il vino di papà Panfilo aveva tolto tutti i resti di quell'odio di cui l'inattesa fortuna di Dantès aveva gettato i germi nella sua anima, «in verità, Dantès è un gentiluomo, e quando lo guardo seduto presso la sua fidanzata, mi vado dicendo che sarebbe stato veramente male fargli quella cattiva burla che tramavate ieri.» «Tu hai veduto» disse Danglars, «che la cosa non ha avuto nessuna conseguenza. Questo povero Fernand era così sconvolto che mi aveva sulle prime fatto pena; dal momento che ha preso il partito di essere il primo testimone alle nozze del suo rivale, non vi è più niente da ridire.» Caderousse guardò Fernand; era livido. «Il sacrificio è tanto più grande» continuava Danglars, «in quanto la ragazza è molto bella. Che furbo felice è il mio futuro capitano! Io vorrei chiamarmi Dantès, solo per dodici ore.»
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