I TRE REGALI DEL SIGNOR D'ARTAGNAN PADRE.-3

1260 Parole
Noi sappiamo che undici scudi formavano precisamente la somma che restava nella borsa di d'Artagnan. L'oste aveva contato sopra undici giorni di malattia ad uno scudo il giorno; ma egli aveva contato senza il viaggiatore; l'indomani, alle cinque del mattino, d'Artagnan si alzò, discese egli stesso in cucina, domandò, fra gli altri ingredienti la di cui nota non è giunta fino a noi, del vino, dell'olio, del ramerino, e, con la ricetta di sua madre alla mano, si compose un balsamo col quale si unse le sue numerose ferite rinnovellando le sue compresse da se, e non volendo ammettere l'intervento di alcun medico. Mercè senza dubbio all'efficacia di questo balsamo della zingara, e forse anche mercè all'assenza di ogni medico, d'Artagnan si ritrovò in piedi fin dalla stessa sera, e quasi guarito l'indomani. Ma al momento di pagare questo ramerino, questo olio e questo vino, sole spese del giovane che aveva osservata la dieta la più assoluta; nel mentre che al contrario il cavallo giallastro, al dire almeno dell'oste, aveva mangiato tre volte più che non si sarebbe potuto supporre ragionevolmente dalla sua struttura, d'Artagnan non ritrovò più nella sua saccoccia che la piccola borsa di velluto rapato, unitamente agli undici scudi che conteneva; ma in quanto alla lettera diretta al sig. de Tréville, ella era sparita. Il giovane cominciò dal cercare questa lettera con una gran pazienza, girò e rigirò venti volte le sue saccocce, e i suoi saccoccini, frugò e rifrugò nel suo sacco, aprendo e richiudendo la sua borsa; ma allorquando egli fu convinto che la lettera non potevasi ritrovare montò in un terzo accesso di rabbia, che poco mancò non gli facesse aver bisogno di un nuovo consumo di vino e dell'olio aromatizzati, poichè, vedendo questa giovane testa riscaldarsi e minacciare di romper tutto nello stabilimento se non si ritrovava quella lettera, l'oste si era già provveduto di uno spiedo, sua moglie di un manico di scopa, e il servitore di uno di quei bastoni che avevano servito così bene l'antivigilia. - La mia lettera di raccomandazione, o per bacco, io v'infilo tutti come tanti ortolani. Disgraziatamente una circostanza sola si opponeva a ciò che il giovane potesse compiere la sua minaccia: ed era, come lo abbiamo detto, che la sua spada era stata spezzata nella sua prima lotta, cosa che egli aveva del tutto dimenticato. Ne resultò, che allorquando d'Artagnan volle, in fatti, sguainarla, egli si trovò puramente e semplicemente armato di un tronco di spada di circa otto o dieci pollici di lunghezza, che l'oste aveva con ogni cura rimesso dentro al fodero. Quanto al resto della lama, l'oste l'aveva destramente riposta colla idea di farne un coltello da cucina. Questo disinganno non avrebbe però trattenuto probabilmente il nostro giovane focoso, se l'oste non avesse riflettuto che il reclamo che gli veniva diretto dal viaggiatore, era perfettamente giusto. - Ma, al fatto, diss'egli abbassando il suo spiedo, ov'è questa lettera? - Sì, dov'è questa lettera? grido d'Artagnan. Primieramente io vi avverto che questa lettera è per il signor de Tréville, e bisogna ch'ella si trovi, o se non si trova, egli saprà bene farla ritrovare. Questa minaccia compiè d'intimidire l'oste. Dopo il re ed il ministro, il signor de Tréville era l'uomo il di cui nome fosse il più spesso ripetuto dai militari ed anche dai borghesi. Vi era pure il padre Giuseppe, è vero; ma il suo nome non era mai pronunziato che a bassa voce, tanto era il terrore che inspirava il frate grigio, come veniva chiamato il confidente del ministro. Così, gettando il suo spiedo lungi da se, e ordinando a sua moglie di fare altrettanto del suo manico di scopa, e ai suoi servitori dei loro bastoni, egli dette pel primo l'esempio mettendosi egli stesso a cercare la lettera perduta. - Questa lettera racchiude forse qualche oggetto prezioso? domandò l'oste dopo un momento di ricerche inutili. - Senza dirlo, lo credo bene! gridò il Guascone, che calcolava su questa lettera per fare il suo cammino per la corte; ella conteneva la mia fortuna. - Dei buoni sulla Spagna? domandò l'oste inquieto. - Dei buoni sulla tesoreria particolare di Sua Maestà, rispose d'Artagnan, che, contando di entrare al servizio del re mercè quella raccomandazione credeva poter fare senza mentire questa risposta quantunque un poco azzardata. - Diavolo! fece l'oste disperato del tutto. - Ma non importa, continuò d'Artagnan colla sua indifferenza nazionale, non importa, il denaro non è niente: questa lettera è il tutto. Avrei amato meglio perdere mille doppie di quello che perdere la lettera. Egli non arrischiava di più se avesse detto venti mila, ma un certo pudore giovanile lo trattenne. A un tratto un lampo di luce colpì in un subito lo spirito dell'oste, che si dava al diavolo, non trovando niente. - Questa lettera non è perduta, gridò egli. - Ah! fece d'Artagnan. - No, ella vi è stata presa. - Presa! e da chi? - Dal gentiluomo d'ieri, egli discese in cucina dove stava il vostro sajo. Egli è rimasto solo. Scommetterei che è stato lui che l'ha rubata. - Voi credete? riprese d'Artagnan poco convinto, poichè sapeva meglio di qualunque altro l'importanza del tutto personale di quella lettera, e non vi vedeva niente che potesse tentare la cupidigia. Il fatto è che nessuno dei viaggiatori presenti avrebbe guadagnato nel possedere quel foglio. - Voi dite dunque, riprese d'Artagnany che supponete questo impertinente gentiluomo?... - Io vi dico che sono sicuro, continuò l'oste; allora quando gli ho annunziato che vostra signoria era il protetto del signor de Tréville, che voi avevate una lettera per questo gentiluomo, egli è sembrato molto inquieto, mi ha domandato ove era questa, ed è disceso immediatamente in cucina ove sapeva essere il vostro sajo. - Allora egli è il mio ladro, rispose d'Artagnan; io ne farò le mie lagnanze col sig. de Tréville, ed il sig. de Tréville farà le sue dimostrazioni al re. Cavò quindi maestosamente due scudi dalla sua borsa, li dette all'oste, che l'accompagnò coi cappello in mano fino alla porta, rimontò sulla sua cavalcatura gialla, che lo condusse senza alcun accidente alla porta sant'Antonio di Parigi, ove il suo proprietario lo vendè per tre scudi con che era molto bene pagato, attesocchè d'Artagnan l'aveva molto stancato nell'ultima tappa. Così il birocciajo al quale d'Artagnan lo cedè, mercè le nove lire suddette, non nascose al giovane che gli dava questa somma esorbitante soltanto per la originalità del colore della pelle. D'Artagnan entrò dunque in Parigi a piedi, portando il suo piccolo fagotto sotto il braccio camminando fino a tanto che ebbe ritrovato una camera ammobiliata che convenisse alla tenuità delle sue risorse. Questa camera era una specie di mezzanino, ritrovata nella strada Fossoyeurs, vicino al Luxembourg. Subito dopo data la caparra, d'Artagnan prese possesso del suo alloggio, passò il restante della giornata a cucire al suo sajo e a' suoi calzoni dei passamani, che sua madre aveva staccati da un sajo quasi nuovo del signor d'Artagnan padre, e che gli aveva regalati sotto Sigillo; quindi andò alla riviera della Ferraille a far rimettere la lama della sua spada, poscia ritornò al Louvre per informarsi, dal primo moschettiere che ritrovò, dove era situato il palazzo del signor de Tréville, che era nella strada del Vecchio Colombajo, vale a dire precisamente nelle vicinanze della camera presa in affitto da d'Artagnan; circostanza che gli parlava di un felice augurio pel successo del suo viaggio. Dopo di che, contento del modo con cui si era condotto a Méung, senza rimorsi del passato, confidando nel presente e pieno di speranze nell'avvenire, andò a letto e dormì il sonno del bravo. Questo sonno, ancora tutto provinciale, lo portò fino alle nove del mattino, ora nella quale si alzò per portarsi da questo famoso signore de Tréville, il terzo personaggio del regno giusta il giudizio paterno. [1] Noi sappiamo che questa locuzione di Milady non è usata che quando è susseguita dal nome di famiglia. Ma noi la troviamo così nel manoscritto, e non vogliamo prenderci l'incarico di cambiarla (A)
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