Prefazione
Jameson
Alcuni giorni resto a casa a studiare, ma non molto spesso.
La biblioteca è il mio conforto.
Il mio rifugio.
Dove vengo ad ascoltare il suono delle pagine che sfogliate, il debole suono dei tasti dei laptop cliccati, il leggero calpestio di passi che attraversano lentamente il parquet logoro.
L’edificio è vecchio di centotré anni, uno dei più antichi monumenti al campus, ed è pieno di storia. Pieno di legno intagliato e angoli oscuri; pieno della conoscenza e dei segreti di scienziati, filosofi e studenti.
Davvero. È l’unico luogo nel raggio di otto chilometri dove posso stare sola con i miei pensieri.
L’unico posto senza coinquilini, la loro musica, i loro telefoni e il costante turbinio di attività del nostro immobile in affitto fuori dal campus. Non so mai quando aspettarmi un ragazzo sconosciuto rilassato sul nostro divano, estranei che vanno e vengono, o risatine civettuole prima che le porte delle camere da letto vengano chiuse di slancio.
Lo sgradevole cigolio riecheggiante del letto della tua coinquilina, seguito poco dopo dal gemito delirante in una casa che diversamente sarebbe silenziosa è…
Imbarazzante.
E questo è per usare un eufemismo, perché onestamente, come si fa a far uscire quel suono dalla testa?
Non si può.
Piuttosto, ci si rifugia in biblioteca.
Non devo preoccuparmi di essere disturbata da grida, scherzi o interruzioni. O dall’odore di ramen stracotti. Di solito, non devo neanche preoccuparmi di essere distratta.
Tranne oggi.
Oggi sono concentrata sul tavolo vicino l’ingresso estremamente caotico, occupato da quattro ragazzi molto grossi, dall’aspetto molto atletico. Ragazzi chiassosi. Ragazzi arroganti.
Ragazzi abbastanza attraenti.
Oggi, non riesco a concentrarmi.
Li noto molto prima che loro notino me, e mi concedo una breve tregua dallo studio per guardare quello più grosso con occhio critico. Con incredibili capelli scuri e sopracciglia ancora più scure, non ha abbassato lo sguardo sul libro aperto davanti a lui neanche una volta. Piuttosto, ha continuato a guardarsi intorno nella sala lettura della biblioteca.
Proprio come sto facendo io.
Le braccia incrociate sul petto ampio, le gambe allargate, l’espressione impaziente, quasi come se non tollerasse di essere infastidito dai compiti.
Mentre deduco che deve essere in attesa che il cielo si apra e che l’universo faccia il lavoro per lui, i nostri sguardi si scontrano; quelle severe, spietate barre sopra i suoi occhi scattano verso l’attaccatura dei capelli mentre le labbra, circondate da una barbetta incolta, si piegano.
Occhi acuti, così chiari che da qui non posso distinguerne il colore, iniziano la loro graduale discesa lungo la fila di bottoni del mio cardigan prima di fissarsi sul mio petto.
Rabbrividisco.
Sorride.
Il sadico verme sa che il suo sguardo fisso mi sta facendo accapponare la pelle.
Sta assaporando questo fatto.
Ragazzi come lui? Senza dubbio il college sarà un breve contrattempo nel percorso della loro vita, un pit stop lungo la strada che li porterà a bullizzare i colleghi, i soci d’affari, e probabilmente le donne.
Questo ragazzo? È un coglione. Uno con la C maiuscola.
Interrompendo il nostro fissarci con un battito di ciglia, i miei occhi blu navigano intorno al tavolo, attraccando sul gigantesco ragazzo biondo che sta battendo sulla sua tastiera, la testa che ondeggia al ritmo di qualunque musica stia pompando da quelle Beats nero lucido.
Poi atterrano sull’ispanico stravaccato sulla sua sedia, che fissa il soffitto e mordicchia una matita gialla.
Dulcis in fundo? Il ragazzo col collo massiccio e con le braccia tatuate ancora più robuste.
Incantata, abbasso la testa per sbirciare timidamente da dietro le mie lunghe ciglia: sta chiaramente provando a concentrarsi sul suo lavoro, l’irritazione verso i suoi indisciplinati compagni di tavolo che deturpa il suo bellissimo volto e gli rende tese le spalle.
Di tanto in tanto, si sposta nervosamente sulla sedia prima di scuotere la testa.
Soffia fuori uno sbuffo d’aria, innervosito.
Si sposta sulla sedia. Scuote la testa. Sbuffa l’aria.
Shampoo. Risciacquo. Ripeti.
Finché…
L’intero gruppo è interrotto da una studentessa carina con i capelli castano chiaro raccolti in uno chignon casuale e disordinato. Anche da qui vedo gli occhi pesantemente truccati e le labbra rosso acceso: quel trucco smokey eye non si abbina necessariamente ai suoi legging neri e alla felpa della Iowa, ma chi sono io per giudicare?
Striscia verso di loro spudoratamente, il fianco appoggiato sul bordo del tavolo, strusciando la punta di un dito lungo la superficie liscia, fin su quel braccio tatuato. Sfiora con l’unghia la pelle nuda del suo avambraccio.
Lui alza la testa, sorpreso. Concentrato su di lei.
Faccio un profondo respiro che non mi ero resa conto di trattenere, alla vista del sorrisetto che le fa.
Si appoggia allo schienale, incrocia le braccia solide.
Allarga le gambe.
È carina.
E ovviamente è il suo tipo.
Guardo lo spettacolo, inchiodata, mentre lui si alza, un braccio muscoloso che scivola attorno alla vita sottile della ragazza… tolgo un auricolare giusto in tempo per sentire una risatina forzata ed entusiasta fuoriuscire dalla sua gola… afferro il basso timbro della voce di lui mentre conduce entrambi più in fondo alla biblioteca, verso l’ultima fila di riviste e giornali accumulati… faccio un altro respiro quando le sculaccia il sedere con il palmo carico di energia sessuale… sospiro delusa quando girano l’angolo, sparendo dalla mia vista.
Bene, allora.
Togliendomi gli occhiali dalla montatura nera, strofino via quello spettacolo dai miei occhi stanchi, chiedendomi per un breve istante come sarebbe essere quel tipo di ragazza, il tipo spensierato che si lascia condurre dai ragazzi tra buie file di libri.
Per divertimento. Perché fa stare bene.
Non il genere di ragazza che passa tutto il suo tempo da sveglia a studiare, perché non può permettersi che i suoi voti facciano schifo.
Mi rimetto gli occhiali, i capelli sulla nuca mi pizzicano per la consapevolezza di essere proprio così. Reprimo uno sbadiglio delicato, spostando lo sguardo.
Incontro due occhi grigi, freddi e intimidatori che si increspano sapientemente agli angoli come se volessero dire: “Ti ho vista guardare ma, tesoro, non trattenere il respiro… lui non uscirebbe mai con una come te”.
E avrebbe ragione… la figura che è appena scomparsa tra le file della biblioteca? Lui non vorrebbe uscire con me. Non mi guarderebbe due volte, se ne avesse occasione.
Fare del sesso con me? Forse.
Uscire con me? No.
Ma indovina un po’? Non lo vorrei neanch’io. Perché semplicemente guardandolo posso dire che è probabilmente un coglione, proprio come il suo inquietante amico.
E io non vorrei avere nulla a che fare con un ragazzo del genere.