LA LEGGENDA DELLA SPADA DI RIAL
- Come sai, la Terra delle Fenici è un’isola. Lì vivevano le mitiche Fenici, le Messaggere della Dea che si nutrivano esclusivamente della sua luce e del suo calore. Rial usa parole molto dolci per descriverle: doveva averle amate molto. Le narra come animali bellissimi, intelligenti e sensibili. Creature maestose dai mille colori. Le loro piume erano così lucenti che al riflesso della dea Elios-aere emettevano brillii multicolori. Si chiamavano così perché, con le loro grandi ali, riuscivano a raggiungere l’astro della nostra amata dea e parlare con lei. Erano animali che solo a guardarli ti facevano sentire felice di essere su questo mondo. Re Rial proveniva da Alaya ed è stato l’ultimo dei mille Guardiani. Essi venivano eletti dai sovrani dei regni che, unitisi in un’assemblea, decidevano il Guardiano che regnava fino alla morte. I sovrani dovevano eleggere un Guardiano giusto perché doveva studiare e prendersi cura dei sacri uccelli. Ogni loro parola, ogni loro gesto poteva essere un messaggio della Dea al suo popolo. Il Guardiano doveva interpretare quello che dicevano per riportarlo poi ai sovrani degli altri regni. Re Rial era sovrano e guardiano di questa terra, oltre a lui e alla sua famiglia, però, non doveva esserci nessun altro essere umano.
- Perché? - chiese Lanas appoggiandosi allo schienale per mettersi più comodo.
- Le Fenici erano animali molto diffidenti nei confronti degli esseri umani. Non era facile farsi accettare da loro. Fin dall’inizio dei tempi erano gli unici abitanti dell’isola. La leggenda dice che fu la Dea a sceglierla come loro dimora, perché non avessero troppo a che fare con gli uomini. Erano entità sacre, non dovevano aver troppi contatti con noi. Gli uomini, però, desideravano vederle, toccarle. Volevano un contatto concreto con loro. A lungo chiesero alla Dea di accontentarli. Così Elios-aere diede il permesso solo ad un Guardiano e alla sua famiglia, cosicché, tramite le Fenici, potesse emanare la sua parola agli altri uomini. Il re Rial aveva due figli, Thomas ed Eillean… -
- Eillean… - interruppe il principe con espressione stupefatta.
- Sì, come la nostra amata Eillean. Questo nome mi è sempre piaciuto sin dalla prima volta che mio padre mi raccontò questa storia. Perciò quando nacque tua sorella, supplicai tua madre di chiamarla così.
La Eillean del manoscritto era bella quanto tua sorella, dalla descrizione che c’è qui sembrerebbe che le due ragazze siano gemelle nate a distanza di secoli una dall’altra. Aveva lunghi capelli scuri e due occhi neri belli e dolci al tempo stesso, aveva la pelle candida e una bocca coloro rosso sangue… proprio come tua sorella!
- In quel periodo… - continuò il re leggendo il manoscritto. - In un castello a nord del continente, viveva un uomo avido, ambizioso e votato totalmente al dio Nasarid. Il Profeta Nero. Era talmente devoto che lo stesso Dio gli donò poteri straordinari, a patto che sfidasse quelli della dea della luce: Elios-aere.
L’uomo accettò quei poteri. E sfidò la Dea, tentando di eliminare per sempre le sue Messaggere.
Rial venne a conoscenza delle brame di Nasarid e del Profeta, ma si sentiva tranquillo, nessuno poteva scalfire le Messaggere, la Dea non lo avrebbe mai permesso.
Il Profeta Nero fece molti tentativi, ma senza successo. I suoi grandi poteri non lo stavano aiutando nel suo intento. Così mandò sull’isola i Predoni Alati, grossi felini coraggiosi e feroci che non avevano timore di nulla. Ma questi ogni volta venivano feriti o uccisi dalle maestose Messaggere, che erano più grandi e veloci dei Predoni. Il Profeta non intendeva arrendersi e così pensò ad una soluzione che avrebbe messo in ginocchio le Messaggere. Conosceva l’affetto che le Fenici avevano verso la figlia di Rial, così avrebbe rapito Eillean, ed in cambio della sua vita avrebbe preteso il controllo dell’isola e delle Messaggere stesse.
Sapendo che le Fenici avevano un atteggiamento di timore verso gli uomini a loro estranei, convinse un manipolo dei suoi soldati ad andare nella Terra delle Fenici, per rapire la figlia del re, Eillean appunto.
Per quei soldati non fu facile. Esitarono al pensiero che avrebbero dovuto affrontare i sacri animali. La loro mole era possente e metteva soggezione a chiunque. Ma quegli uomini ricordarono le parole del loro Signore, quei bestioni avrebbero avuto timore di loro. Così si fecero coraggio e riuscirono a penetrare nell’abitazione del Guardiano.
Elios-aere era appena spuntata e tutti erano immersi in un sonno profondo, i soldati riuscirono facilmente a prendere la principessa. Lei riuscì a scappare e ad uccidere uno dei venti uomini, ma loro la ripresero e la usarono come scudo per ritornare alla loro imbarcazione, le Fenici non avrebbero mai attaccato la loro principessa.
Rial non riuscì a fare nulla per salvare la figlia, aveva fatto troppo affidamento sui giganteschi animali.
Scarrat si fermò e guardò Lanas tristemente. Il principe sapeva a cosa stava pensando il padre, quella storia era molto simile a quella che stavano vivendo in quel periodo. Scarrat riprese il racconto cercando di non pensare alla figlia.
- I tramonti passavano ed il re Rial non si dava pace. Doveva salvare sua figlia, lei e Thomas erano tutto quello che gli rimaneva. Rial era a conoscenza del proprio dovere di Guardiano, esso implicava devozione totale verso le Messaggere. Nulla doveva avere più importanza. Così era la legge che i sovrani avevano stabilito, così era il volere della Dea. Rial, non intendeva rinunciare al suo ruolo, aveva fatto un giuramento davanti alla Dea e ai sovrani che lo avevano eletto. Ma l’idea che la figlia era in mano al Profeta Nero lo faceva impazzire! Doveva trovare una soluzione al più presto!
Cercò molte volte un modo per liberare Eillean e magari uccidere il Profeta, ma sapeva che l’impresa non era facile, il Profeta non poteva essere ucciso da armi comuni. Uno dei poteri che Nasarid gli aveva donato era l’immortalità.
Lanas, a queste parole, scosse la testa incredulo. Non pensava che il Dio Nasarid avesse tali facoltà.
- Rial sapeva tutto questo e non si dava pace. Pensava giorno e notte a cosa fare. Tutti i giorni andava al tempio della Dea a pregare. Il tempio si trovava poco distante dal castello, sulla collina della nobile Fenice Opale, la leggendaria capostipite delle Fenici. Il re entrava e pregava a lungo per chiedere aiuto davanti all’altare. Un giorno addirittura si era addormentato in ginocchio, lasciando che la testa si abbandonasse… nel vuoto!
- Sì era addormentato in ginocchio? - ripeté sbalordito il principe.
- Sì, e fece uno strano sogno. Sognò di andare in un regno non lontano dalla Terra delle Fenici. Nel sogno vide un bellissimo bosco, non ne aveva mai visto uno così. Lì si trovava un metallo speciale che sarebbe servito a forgiare una spada. Una spada magnifica che avrebbe potuto uccidere per sempre il Profeta Nero. L’aveva vista chiaramente in ogni suo piccolo particolare. Qui non c’è scritto il nome del metallo che come puoi constatare è trasparente e molto leggero.
Quando il re si svegliò rimase perplesso. Tutto quello che vide nel sogno gli era sembrato così reale che interpretò la visione come un messaggio di aiuto da parte della Dea. Immediatamente capì che doveva andare in quella terra, e doveva partire subito. Velocemente corse verso il castello, avvisò il figlio che non capì quello che era successo al padre. Poi chiamò la sua Fenice Ekim e su di lei partì.
Si diresse verso meridione. Nel sogno aveva visto chiaramente il folto bosco a cavallo di un lungo fiume. Prima di raggiungere la meta designata, fece una tappa in una delle isole dell’arcipelago delle Fenici, Ekim non sarebbe stata in grado di fare tutto il viaggio senza una sosta.
Arrivò nelle vicinanze del bosco dopo due tramonti. Nel sogno, la Dea gli aveva indicato chiaramente che il metallo si trovava in quel luogo, e nel suo cuore sentiva che quel luogo era speciale.
Si fermarono sulle rive di un fiume e Rial scese da Ekim. Si guardò attorno cercando di orientarsi e, mentre andava ad abbeverarsi al fiume, incontrò un sacerdote di Elios-aere: Jarad. Un uomo che il re descrive di statura media, con lunghi capelli bianchi e occhi scuri molto profondi. Aveva modi cortesi e un carattere buono e generoso. Tra i due ci fu subito una forte simpatia. Rial raccontò al sacerdote quello che doveva fare, sentiva di potersi fidare di lui. I due si guardarono per un istante, il sacerdote capì subito chi aveva di fronte, aveva sentito la triste storia del Guardiano. Guardò anche la Messaggera, e si inchinò onorato di fare la sua conoscenza. Poi spiegò che l’unico metallo di cui era a conoscenza si trovava proprio nelle vicinanze. Rial chiese al sacerdote se poteva aiutarlo e Jarad accettò.
La lavorazione fu lunga, forgiarono l’arma secondo le indicazioni della Dea. Nove tramonti dopo, terminarono ciò che è stato gelosamente custodito per tutti questi anni: la meravigliosa Spada di Rial.
Quando la finirono, si recarono nel piccolo tempio che gli abitanti del regno avevano costruito in onore della Dea e la pregarono per più di venti tramonti. Chiesero che il suo grande potere, legato da quel momento al prezioso metallo, potesse sconfiggere i poteri oscuri di Nasarid e del Profeta stesso.
Durante i venti tramonti non mangiarono e non dormirono. La loro mente fu immersa nella preghiera più profonda e nella fede più totale. Molta gente andava a far visita ai due uomini perché non credevano a quello che si diceva di loro. Quando poi li vedevano così assorti, restavano meravigliati da tanta fede e li lasciavano soli in segno di rispetto. Molti portavano offerte e doni.
Anche dei sovrani fecero loro visita, anche se qualcuno non fu contento della decisione di Rial di lasciare la Terra delle Fenici con una di loro.
Ma i due non udivano nulla di quello che succedeva attorno a loro. Erano come in estasi, niente se non parole rivolte alla Dea fluirono dal loro cuore.
Nella sera del ventesimo tramonto, avvenne qualcosa che non si è più ripetuto a memoria degli uomini del continente di Siger: un fatto incredibile che fece aumentare nei due uomini la fede nella loro Dea.
I due stavano pregando quando all’improvviso un forte vento caldo spalancò tutte le porte e le finestre del piccolo tempio. Un fascio di luce accecante attraversò ogni pertugio dell’edificio, illuminando ogni cosa al suo interno. Poi la luce si contorse, si dimenò e si diresse verso la spada. Per un attimo sembrò fermarsi dentro di essa. Ci furono alcuni istanti di immobilità, l’aria calda si placò e la luce si smorzò. Un tremore scosse il pavimento e un bagliore sembrò esplodere di nuovo, ma stavolta dall’interno della spada, facendola brillare con una luminosità accecante e candida. Poi il forte alito caldo attraversò di nuovo tutto il tempio e scomparve, portando con se anche la folgore che aveva accecato i due uomini.
Elios-aere li aveva ascoltati ed aiutati!
Il re e il sacerdote rimasero paralizzati davanti a quel segno di grandezza e potenza.
Tutto questo durò solamente pochi istanti, dopo di che tutto tornò alla normalità, la luce cominciò ad affievolirsi ed il vento caldo a chetarsi. I due uomini si guardarono sbalorditi, intimoriti ed eccitati.
Quando l’emozione diminuì, si alzarono e si diressero verso l’altare su cui era stata posta la spada.
La sua lama brillava ancora con leggere pulsazioni, e fece risaltare una scritta incisa su entrambi i lati. La luce accecante che aveva invaso il tempio aveva scritto qualcosa, ed oltre alle incisioni i due notarono anche qualcos’altro. Nella testa della Fenice, incastonate nei suoi occhi, c’erano due gemme color rosso sangue. Erano di una brillantezza veramente insolita ed anche le parole erano strane, nessuno dei due uomini riuscì a leggerle.
- Sai che cosa significano? - chiese Lanas guardando la misteriosa scritta sulla lama.
- Sì, conosco il loro significato, sono spiegate sempre nel manoscritto.
Scarrat girò quattro pagine. - Elios-aere scolpì sulla lama parole che sarebbero servite agli uomini perché non perdessero mai la loro fede, perché non disperassero, il male non avrebbe vinto per sempre.
Il principe Lanas era talmente incuriosito da tutto quello che il padre stava raccontando che aveva completamente dimenticato ciò che lo attendeva all’alba.
Il sovrano di Achaar continuò. - Solo le Fenici conoscevano il significato di quelle parole, era il linguaggio della Dea. Così Rial chiese aiuto a Ekim per capirne il significato.