Capitolo 4

2724 Parole
4 Chloe Sconvolta, gli stringo la mano. È grande e forte, con la pelle leggermente abbronzata e calda, mentre le sue lunghe dita si avvolgono intorno alle mie e stringono con una forza attentamente trattenuta. Un brivido mi percorre la spina dorsale alla sensazione, il mio corpo si riscalda dappertutto, e devo fare appello a tutto il mio autocontrollo per non ondeggiare verso di lui, mentre le mie ginocchia diventano gelatinose sotto di me. Datti una calmata, Chloe. Questo è un potenziale datore di lavoro. Ricomponiti. Con uno sforzo erculeo, tiro via la mano e mi aggrappo a ciò che resta della mia compostezza. "Piacere di conoscerla, Signor Molotov." Con mio sollievo, la mia voce esce ferma, il tono calmo e amichevole, come si addice a una persona che fa un colloquio di lavoro. Facendo un mezzo passo indietro, sorrido al padrone di casa. "Mi dispiace essere un po’ in anticipo." I suoi occhi da tigre brillano più luminosi. "Nessun problema. Non vedevo l’ora di incontrarti, Chloe. E per favore, chiamami Nikolai." "Nikolai" ripeto, il mio stupido battito cardiaco che accelera ulteriormente. Non capisco che cosa mi stia succedendo, perché provi questa reazione a quest’uomo. Non sono mai stata una che perde la testa per una mascella quadrata e addominali scolpiti, nemmeno quando ero un’adolescente in fase ormonale. Mentre le mie amiche si innamoravano dei giocatori di football e delle star del cinema, io uscivo con ragazzi di cui apprezzavo la personalità, e la loro mente mi attraeva più dei loro corpi. Per me, la chimica sessuale è sempre stata qualcosa che si sviluppa nel tempo, e non che è lì fin dall’inizio. Ma non ho mai incontrato un uomo che trasuda un magnetismo animale così crudo. Non sapevo che esistessero uomini come questo. Concentrati, Chloe. Molto probabilmente è sposato. Il pensiero è come una spruzzata di acqua fredda sulla faccia, che mi riporta alla realtà della mia situazione. Che cazzo sto facendo, sbavando per il padre di un bambino? Ho bisogno di questo lavoro per sopravvivere. Il viaggio di sessantaquattro chilometri fin qui ha consumato più di un quarto di serbatoio di benzina nell’auto, e se non guadagno presto un po’ di soldi, sarò un facile bersaglio per gli assassini che mi inseguono. Il calore dentro di me si raffredda al pensiero, e quando Nikolai dice: "Seguimi" ed entra di nuovo in casa, i miei nervi tremano per l’ansia invece di qualunque emozione si sia impossessata di me, vedendolo. All’interno, la dimora è ultramoderna come appare all’esterno. Tutto intorno a me ci sono finestre dal pavimento al soffitto con viste sbalorditive, decorazioni degne di un museo d’arte moderna e mobili eleganti, che sembrano usciti direttamente dallo showroom di un designer di interni. Il tutto è realizzato nei toni del grigio e del bianco, addolcito in alcuni punti da accenti di legno naturale e pietra. È bello e più che un po’ intimidatorio, proprio come l’uomo di fronte a me, e mentre mi conduce attraverso un soggiorno a pianta aperta fino a una scala a chiocciola in legno e vetro sul retro, non posso fare a meno di sentirmi come un piccione malridotto volato accidentalmente in una sala da concerto dorata. Soffocando la sensazione inquietante, dico: "Ha una bella casa. Vive qui da molto?" "Pochi mesi" risponde, mentre saliamo le scale. Mi guarda di traverso. "E tu? Nella tua lettera di presentazione hai scritto che stai facendo un viaggio in macchina." "Sì." Sentendomi su un terreno più solido, spiego che mi sono laureata al Middlebury College a giugno e ho deciso di visitare il Paese, prima di immergermi nel mondo del lavoro. "Ma poi, naturalmente, ho visto il suo annuncio" concludo "e sembrava troppo perfetto per lasciarmelo sfuggire, quindi eccomi qui." "Sì" replica dolcemente, mentre ci fermiamo davanti a una porta chiusa. "Eccoti qui." Il mio respiro si blocca di nuovo, e le pulsazioni accelerano in modo incontrollabile. Scorgo qualcosa di snervante nella curva oscuramente sensuale della sua bocca, qualcosa di quasi... pericoloso nell’intensità del suo sguardo. Forse è il colore insolito dei suoi occhi, ma mi sento decisamente a disagio, quando preme il palmo della mano su un pannello discreto sul muro e la porta si apre davanti a noi, in stile film di spionaggio. "Prego" mormora, facendomi cenno di entrare, e io eseguo, facendo del mio meglio per ignorare l’inquietante sensazione di entrare nella tana di un predatore. La "tana" si rivela essere un grande ufficio illuminato dal sole. Due delle pareti sono realizzate interamente in vetro, rivelando panorami mozzafiato delle montagne, mentre un’elegante scrivania a forma di L al centro ospita diversi monitor di computer. Sul lato ci sono un tavolino rotondo con due sedie, ed è lì che mi guida Nikolai. Nascondendo un’espirazione sollevata, mi siedo e appoggio il mio curriculum sul tavolo davanti a lui. Chiaramente, sono ansiosa, i miei nervi sfilacciati dopo aver trascorso l’ultimo mese, vedendo il pericolo ovunque. Questo è un colloquio per un lavoro come tutor, niente di più, e ho bisogno di riprendermi, prima di rovinare tutto. Nonostante l’ammonimento, il mio battito cardiaco aumenta di nuovo, quando Nikolai si appoggia allo schienale della sedia e mi guarda con quegli occhi incredibilmente belli. Posso sentire l’umidità crescente dei miei palmi, e devo impegnarmi per non pulirli di nuovo sui jeans. Per quanto sia ridicolo, mi sento spogliata da quello sguardo, tutti i miei segreti e le mie paure esposti. Smettila, Chloe. Non sa niente. Stai facendo un colloquio per diventare tutor, niente di più. "Allora" dico disinvoltamente per nascondere la mia ansia "posso chiedere del bambino a cui dovrei insegnare? È suo figlio o sua figlia?" Il suo viso assume un’espressione indecifrabile. "Mio figlio. Miroslav. Lo chiamiamo Slava." "È un bel nome. È—" "Parlami di te, Chloe." Chinandosi in avanti, prende il mio curriculum, ma non lo guarda. Invece, i suoi occhi sono puntati sul mio viso, facendomi sentire come una farfalla al microscopio. "Che cosa ti alletta di questo incarico?" "Oh, tutto." Prendendo fiato per stabilizzare la voce, descrivo tutte le attività di babysitter e tutoraggio che ho svolto negli anni, e poi riporto i miei stage, compreso il mio ultimo lavoro estivo in un campo per ragazzi disagiati, dove mi sono rapportata con bambini di tutte le età. "È stata un’esperienza fantastica" concludo "sia stimolante che gratificante. La mia parte preferita, però, è stata insegnare matematica e leggere ai bambini più piccoli—motivo per cui penso che sarei perfetta per questo ruolo. L’insegnamento è la mia passione, e mi piacerebbe avere la possibilità di lavorare con un bambino individualmente, adattando il curriculum ai suoi interessi e capacità." Riordina il curriculum, sempre senza preoccuparsi di guardarlo. "E come ti senti all’idea di vivere in un posto così lontano dalla civiltà? Dove non c’è nient’altro che landa selvaggia per decine di chilometri intorno e solo un contatto minimo con il mondo esterno?" "Sembra..." Un paradiso. "…straordinario." Gli sorrido, senza nascondere la mia eccitazione. "Sono una grande fan della natura selvaggia e della natura in generale. Infatti, avevo scelto il Middlebury College in parte per la sua ubicazione rurale. Amo l’escursionismo e la pesca, e so come stare intorno a un falò. Vivere qui sarebbe un sogno che si avvera." Soprattutto viste tutte le misure di sicurezza che ho notato entrando—ma non lo dico, ovviamente. Non posso sembrare nient’altro che una neolaureata in cerca di avventura. Inarca le sopracciglia. "Non ti mancheranno i tuoi amici? O la famiglia?" "No, io—" Con mio sgomento, la mia gola si contrae per un improvviso impeto di dolore. Deglutendo, ci riprovo. "Sono molto indipendente. Ho viaggiato da sola in tutto il Paese nell’ultimo mese, e inoltre, ci sono sempre telefoni, applicazioni per videoconferenze e social media." Inclina la testa. "Eppure, non hai postato nulla nei tuoi profili sui social media nell’ultimo mese. Come mai?" Lo fisso, il mio cuore che batte alle stelle. Ha guardato i miei social media? Come? Quando? Ho attivato le impostazioni di privacy più elevate; non dovrebbe essere in grado di vedere nulla di me oltre al fatto che esisto e uso i social media come una persona normale. Ha indagato? Ha in qualche modo violato i miei account? Chi è quest’uomo? "In realtà, non ho un telefono in questo momento." Un filo di sudore mi scorre lungo la schiena, ma riesco a mantenere il mio livello di tono. "Me ne sono sbarazzata, perché volevo scoprire se fossi in grado di cavarmela in questo viaggio senza ricorrere all’uso dell’elettronica. Una sorta di sfida personale." "Capisco." I suoi occhi sono più verdi dell’ambra sotto questa luce. "Allora, come ti mantieni in contatto con la famiglia e gli amici?" "E-mail, soprattutto" mento. Non posso assolutamente ammettere di non essere rimasta in contatto con nessuno e di non avere intenzione di farlo. "Ho visitato biblioteche pubbliche e uso i computer lì di tanto in tanto." Rendendomi conto che le mie dita sono strettamente intrecciate, apro le mani e mi sforzo di sorridere. "È abbastanza liberatorio non essere legata a un telefono, vede. La connettività estrema è al contempo una benedizione e una maledizione, e mi sto godendo la libertà di viaggiare in tutto il Paese come facevano le persone in passato, usando solo la guida di una semplice cartina." "Una luddista della generazione Z. Che bello." Arrossisco per la sottile presa in giro nel suo tono. So come suona la mia spiegazione, ma è l’unica cosa che posso escogitare per giustificare la mia mancanza di recente attività sui social media e, nel caso in cui guardasse attentamente il mio curriculum, l’assenza di un numero di cellulare. In realtà, è una buona scusa per tutto, quindi andrà bene. "Ha ragione. Sono un po’ luddista" ammetto. "Probabilmente è per questo che la vita di città mi attrae così poco, e il motivo per cui ho trovato il suo annuncio di lavoro così intrigante. Vivere qui"—faccio cenno alla splendida vista esterna—"e fare da tutor a suo figlio è il tipo di lavoro che ho sempre desiderato, e se mi assume, mi dedicherò completamente a questo." Un lento, cupo sorriso gli incurva le labbra. "È così?" "Sì." Sostengo il suo sguardo, anche se il mio respiro si fa superficiale e punte di calore mi percorrono la pelle. Davvero non capisco la mia reazione a quest’uomo, non capisco come possa trovarlo così magnetico anche se fa scattare tutti i tipi di allarmi nella mia mente. Paranoia o meno, il mio istinto urla che è pericoloso; eppure, il dito mi prude per la voglia di allungare la mano e tracciare i bordi chiaramente definiti delle sue labbra carnose e morbide. Deglutendo, distolgo i miei pensieri da quel territorio insidioso e dico con tutta la serietà che riesco a gestire: "Sarò il tutor più perfetto che possa immaginare." Mi guarda senza battere ciglio, il silenzio che si estende per diversi lunghi secondi, e proprio quando sento che i miei nervi potrebbero spezzarsi come un elastico troppo tirato, si alza e dice: "Seguimi." Mi guida fuori dall’ufficio e su un lungo corridoio, fino a raggiungere un’altra porta chiusa. Questa non deve avere alcuna sicurezza biometrica, poiché bussa e, senza aspettare risposta, entra. All’interno, un’altra finestra dal pavimento al soffitto offre alte viste mozzafiato. Tuttavia, non c’è niente di elegante e moderno in questa stanza. Invece, sembra la conseguenza di un’esplosione in una fabbrica di giocattoli. Il caos colorato è ovunque io guardi, con pile di giocattoli, libri per bambini e pezzi LEGO sparsi su tutto il pavimento e un letto a misura di bambino coperto da un lenzuolo a tema Superman nell’angolo. I cuscini a tema Superman e la coperta del letto sono ammucchiati in un altro angolo, ed è solo quando il padrone di casa dice in tono di comando: "Slava!" che mi rendo conto che c’è un ragazzino che sta costruendo un castello LEGO accanto a quella pila. Alla voce di suo padre, la testa del bambino si solleva di scatto, rivelando un paio di enormi occhi verde ambra—gli stessi occhi ipnotizzanti che possiede l’uomo accanto a me. Nel complesso, il bimbo è Nikolai in miniatura, con i capelli neri che gli cadono intorno alle orecchie in una tenda dritta e lucida, e il viso tondo da bambino che mostra già un accenno di quegli zigomi sorprendenti. Anche la bocca è la stessa, e manca solo la curva cinica e consapevole delle labbra di suo padre. "Slava, idi syuda" ordina Nikolai, e il ragazzino si alza e si avvicina cautamente a noi. Mentre si ferma davanti a noi, noto che indossa un paio di jeans e una maglietta con un’immagine di Spider-Man sul davanti. Guardando suo figlio, Nikolai inizia a parlargli rapidamente in russo. Non ho idea di cosa stia dicendo, ma deve avere qualcosa a che fare con me, perché il bimbo continua a guardarmi, la sua espressione sia incuriosita che timorosa. Non appena Nikolai finisce di parlare, sorrido al bambino e mi inginocchio sul pavimento, in modo da essere allo stesso livello degli occhi. "Ciao, Slava" dico dolcemente. "Sono Chloe. È un piacere conoscerti." Il ragazzino mi guarda perplesso. "Non parla inglese" mi informa Nikolai, la sua voce dura. "Alina ed io abbiamo cercato di insegnarglielo, ma lui sa che parliamo russo e si rifiuta di impararlo da noi. Quindi, questo sarebbe il tuo lavoro: insegnargli l’inglese, insieme a qualsiasi altra cosa che un bambino della sua età dovrebbe sapere." "Capisco." Tengo lo sguardo sul bimbo, sorridendogli calorosamente, anche se nella mia mente suonano altri campanelli d’allarme. C’è qualcosa di strano nel modo in cui Nikolai parla al bambino e in come ne parla. È come se suo figlio fosse un estraneo per lui. E se Alina—che presumo sia sua moglie e la madre del bambino—conosce l’inglese oltre al mio padrone di casa, perché Slava non dice almeno qualche parola? Perché avrebbe rifiutato di imparare la lingua dai suoi genitori? In generale, perché Nikolai non prende in braccio il bambino e non lo abbraccia? O scherzosamente gli arruffa i capelli? Dov’è la calda facilità con cui i genitori comunicano solitamente con i loro figli? "Slava" dico dolcemente al bambino "sono Chloe." Indico me stessa. "Chloe." Mi guarda con lo sguardo impassibile di suo padre per diversi lunghi momenti. Poi, la sua bocca si muove, plasmando le sillabe. "Klo-ee." Gli sorrido. "Giusto. Chloe." Mi tocco il petto. "E tu sei Slava." Lo indico. "Miroslav, giusto?" Annuisce solennemente. "Slava." "Ti piacciono i fumetti, Slava?" Tocco delicatamente l’immagine sulla sua maglietta. "Questo è Spider-Man, non è vero?" I suoi occhi si illuminano. "Da, Spider-Man." Lo pronuncia con accento russo. "Ti znayesh o nyom?" Alzo lo sguardo su Nikolai, solo per scoprire che mi sta osservando con un’espressione cupa e indecifrabile. Un formicolio di sgradita consapevolezza mi scorre lungo la schiena, e il respiro si blocca per un’improvvisa sensazione di vulnerabilità. Non voglio stare in ginocchio con quest’uomo. È un po’ come scoprire la gola a un bellissimo lupo selvatico. "Mio figlio sta chiedendo se conosci Spider-Man" dice, dopo un momento carico di tensione. "Presumo che la risposta sia sì." Con sforzo, distolgo lo sguardo da lui e mi concentro sul bimbo. "Sì, conosco Spider-Man" dico, sorridendo. "Amavo Spider-Man, quando avevo la tua età. Anche Superman e Batman e Wonder Woman e Aquaman." Il viso del bambino si illumina di più a ogni supereroe che nomino, e quando arrivo ad Aquaman, un sorriso malizioso appare sul suo viso. "Aquaman?" Arriccia il piccolo naso. "Nyet, nye Aquaman." "Aquaman no?" Spalanco gli occhi in modo esagerato. "Perché no? Cos’ha che non va Aquaman?" Ridacchia. "Nye Aquaman." "Va bene, hai vinto. Aquaman no." Lascio uscire un triste sospiro. "Povero Aquaman. Piace a così pochi bambini." Il bambino ridacchia di nuovo e corre verso una pila di fumetti accanto al letto. Afferrandone uno, lo porta indietro con sé e indica la foto sul davanti. "Superman samiy sil’niy" dichiara. "Superman è il migliore?" Tiro a indovinare. "Il tuo preferito?" "Ha detto che è il più forte" dice Nikolai in modo uniforme, poi passa al russo, con una voce che assume lo stesso tono di comando. La faccia del bimbo si contrae e abbassa il libro, la sua postura abbattuta. "Torniamo nel mio ufficio" mi dice Nikolai, e senza rivolgere un’altra parola a suo figlio, si dirige verso la porta.
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