"Nulla di che, le solite cose con Madre, Orione... scocciature."
Tagliai corto.
Lei si avvicinò, accoccolandosi sulla mia spalla e poggiando i piedi sui miei.
"Strano... alla Rupe non ti vedono da un po’, per questo ti ho chiesto. È passato Björn a cercare Bella e ti ha salutato. Ha detto che non ti si vede in giro."
Lo disse con tono vago.
Cazzo... ovvio che non mi avessero visto alla Rupe, ero nei boschi, non lì a far festa con il Branco.
"Mi stai spiando?"
Provai a ribaltare la situazione, sperando di distrarla.
"Ma no!"
Disse lei alzando la testa dalla mia spalla.
"Ma ti pare? Solo che... chiedevo!"
Tagliò corto.
"Devo parlarti, Deva."
Passai una mano tra i capelli. Lei mi guardò.
"Quando inizi un discorso così e ti tocchi i capelli... vuol dire che c'è qualcosa che non va."
Disse preoccupata. Mi scappò un sorriso.
"Ah sì? Bene. In realtà non è nulla di grave. Non è successo niente, solo... penso sia arrivato il momento di rinnovare la tua stanza. Hai ancora quella da bambina. Magari potremmo cambiare il letto, creare un angolo per la pittura, sistemare lo spazio per il set che ti aveva regalato James... Insomma, uno spazio tutto tuo. Immagino che ne avresti piacere. Una camera dove guardare film, vedere tremila volte Twilight e dormire tranquilla... senza che io mi svegli all’alba per allenarmi."
Lo dissi serio, sorseggiando il mio caffè latte.
Avrei voluto fosse corretto con qualcosa di più forte, e attesi la sua reazione.
Lei alzò la testa dalla mia spalla e mi guardò stringendo leggermente gli occhi chiari, inclinando la testa con l’espressione di chi ha appena ricevuto un pugno nello stomaco.
Le era passato tutto l’entusiasmo natalizio, e io mi sentivo morire dentro all’idea di esserne la causa.
"Non ti ho detto di dormire fuori casa, solo di stare in camera tua.
Non sei più una bambina, abbiamo già affrontato questo discorso più volte. Io direi che possiamo parlarne una volta per tutte e chiarirlo bene.
Non uscirtene che hai paura del buio, perché non è così!"
Cercai di sdrammatizzare.
Lei si spostò dal divano alle mie gambe, sedendosi su di me come se quel contatto potesse consolarla in parte dalla batosta.
"Ma Mike... ma... ma noi raccontiamo le storie quando andiamo a letto... e... e ci addormentiamo cantando le canzoni... e poi ho freddo, lo sai, sono sempre gelata di notte!"
Furba la ragazza, cercava di intenerirmi per farmi cambiare idea.
"Elle, ci saranno 78° in questa casa, non fa freddo.
E possiamo fare tutte queste cose qui sul divano, prima di andare a dormire.
Sei grande adesso, le Lupe della tua età vivono da sole o..."
Mi stavo addentrando in un discorso pericoloso che mai, nella vita, avrei pensato di affrontare.
Lei mi guardava, con un’espressione sempre più contrariata, percependo la mia fermezza che traballava malamente, anche se riuscivo a mascherarla.
"Hai 15 primavere... sei grande."
Le ripetei con dolcezza, cercando di indorare la pillola.
"Ed io ne ho 28... dai Elle, siamo grandi per dormire assieme."
Feci un lungo sospiro.
Come potevo spiegarle che provavo per lei ben più di un affetto fraterno, se nemmeno a me volevo ammetterlo?
"Anche Bella dorme sempre con Björn, e tra loro c’è qualche primavera di differenza in meno che tra me e te.
Tutte le mie amiche alla Rupe, mie coetanee, dormono con qualcuno da quando hanno quindici primavere.
Dormiamo assieme da sempre, e ora che ho quasi sedici primavere... tu mi butti fuori?!?
Cos'è, colpa della Luna?"
Chiese, contrariata.
Qualcosa aveva intuito, forse parlandone con altre ragazze alla Rupe.
"Sssssì, qualcosa del genere.
La Luna.
È sempre colpa della Luna, no?"
La guardai, cercando di capire cosa le passasse per la testa. Lei continuò la sua arringa:
"Le Lupe dai quindici primavere dormono con i loro compagni di Branco, e gli Alpha della tua età dormono con la loro Stella, giusto? O la loro Luna!
Quindi... io non sono nessuna delle due, e allora mi butti fuori!"
Il tono ferito con cui parlò mi tolse il respiro.
L’avevo detto che era un discorso pericoloso.
"Elle... io non sono un Alpha, quindi non ho né una Stella né una Luna.
Non riconosciuta dal Branco.
Anzi... non c’è nemmeno un Branco, a dirla tutta."
Constatai.
Scelsi di rispondere alla domanda più semplice, evitando volutamente l’altra.
Faceva troppo male dirle in faccia che no, non ero il suo Lupo. Nessuno in quella casa lo era.
Tra un paio d’anni, tutto questo — la baita, il Natale, noi — sarebbe diventato solo un ricordo.
E mio padre non vedeva l’ora che la questione "Elle" si risolvesse, così che potessi finalmente dedicarmi a Kasia, che avevo visto sì e no una ventina di volte in vita mia.
Figlia minore di un Alpha suo amico, con lei avevo parlato giusto del tempo e della variabilità della pioggia.
La porta della baita si aprì, offrendomi una perfetta via di fuga per interrompere quella conversazione.
Mia madre fece il suo ingresso trionfale, chiamandoci a gran voce per salutarci.
Non potevo che esserne felice.
Un’interruzione miracolosa, provvidenziale e, forse, nemmeno del tutto casuale.
Conoscendola, era probabile sapesse già tutto. Mia madre aveva quella capacità fastidiosamente infallibile di sapere ogni cosa, sempre.
"Ragazzi?"
Ci trovò ancora seduti sul divanetto. Ci osservò, perplessa, quando notò che non ridevamo né scherzavamo come al solito.
"Beh? Cosa sono quelle facce? È il 13 dicembre, che cos’hanno quei musi lunghi?"
Elara si alzò di scatto dal divano, liberandosi dalle mie gambe con un movimento deciso.
Quella separazione, per quanto semplice, ebbe su di me un effetto devastante.
Raggiunse mia madre, la salutò con un bacio sulla guancia e un sorriso tirato.
Poi si congedò con la scusa di dover finire di prepararsi, e salì al piano superiore due gradini alla volta.
Mi lasciò lì, solo, in balìa della mia "generatrice".