Ben presto fu scoperto l’inganno dei carri di fieno. Drappelli di cavalleria furono lanciati su tutte le strade che uscivano da Parigi. Ma i carri erano scomparsi e non vennero mai ritrovati. Villiers e Châlons furono catturati, imprigionati e interrogati. Ma non parlarono: si erano lasciati arrestare con il deliberato proposito di ritardare le ricerche.
Che cosa era successo? Appena varcate le mura della città, il convoglio si era diviso: una parte aveva proseguito verso il sud, l’altra aveva piegato a ovest. Subito dopo, i cavalieri templari avevano prelevato dai carri le carte e i documenti che potevano essere trasportati nelle borse da sella ed erano partiti ciascuno per una diversa destinazione; mentre i carri, che ormai contenevano solo reliquie e antichi codici, si erano diretti alle più vicine commende templari, dove il carico era stato disperso e affidato in mani sicure.
Bertrand de Bigorre aveva seguito il carro che trasportava un materiale speciale: carte geografiche, portolani delle coste atlantiche europee… e non solo. Secondo il piano, il suo compito consisteva nel portare al più presto quelle carte a La Rochelle, consegnarle a Geoffroy de Monredon e imbarcarsi sulla sua nave, che sarebbe salpata immediatamente per una destinazione segreta.
Bigorre aveva inizialmente preso la strada di Nantes. Innanzitutto per lasciar credere agli inseguitori di essere diretto là, e poi perché a Chartres la stazione di posta (come quasi tutto ciò che contava in città) era tenuta da fratelli templari che gli avrebbero dato un cavallo veloce e resistente. Tutto era andato secondo i piani: gli era stato consegnato un perfetto esemplare bene in carne, come di rado se ne trovava in una stazione di posta. Invece di proseguire verso Nantes, Bigorre aveva piegato a sudovest. Grazie al cavallo e alla deviazione, sperava di aver messo molta strada fra sé e la cavalleria reale. Lungo la strada da Tours a Poitiers a La Rochelle aveva sfiancato altri cavalli, non aveva dormito e i sobbalzi del galoppo gli avevano sbriciolato la spina dorsale.
In ogni stazione di posta le notizie erano le stesse: in tutti i distretti le guardie del re entravano nelle sedi dell’ordine, arrestavano i templari e facevano man bassa di ori e arredi. Le proprietà terriere venivano confiscate.
Nelle ultime stazioni Bigorre aveva visto in giro troppe facce patibolari: ceffi di intriganti e delatori, gentaglia capace di denunciare chiunque pur di arraffare un premio o una taglia. Essere templari non era più un privilegio e la situazione si andava rapidamente deteriorando. Bigorre aveva persino pensato di abbandonare la strada maestra e tagliare per i campi, ma avrebbe perso tempo prezioso e il suo dovere era arrivare quanto prima a La Rochelle. Non poteva fare altro che rischiare: se avessero tentato di arrestarlo, si sarebbe difeso. E se fossero riusciti a catturarlo vivo, avrebbe tentato, come ultima carta, di reclamare il diritto di asilo dal re d’Inghilterra.
Perché alle tante assurdità di quei tempi c’era da aggiungere anche questa: i feudi del re inglese in terra di Francia erano più estesi di quelli dei Capetingi. Oltre a comprendere l’intera Aquitania, erano disseminati in buona parte dell’ovest e del nord del paese, tanto che La Rochelle era interamente circondata da feudi inglesi.
Era ormai notte quando qualcuno bussò alla porta della cabina. Monredon si avvicinò alla porta con circospezione, tenendo la mano sul pugnale. Anche Knolles si alzò dal tavolo e stette in guardia.
«Che c’è?» gridò Monredon per farsi sentire al di là della porta chiusa.
«Comandante, la marea comincia a rifluire.»
La voce era quella del nostromo. Monredon aprì la porta.
«C’è movimento sulla banchina?»
«Non si vede anima viva.»
«Allora, tutti ai posti di manovra.»
Monredon e Knolles uscirono sul ponte.
«La Templière sarà la prima a uscire dal porto. Tutte le altre navi seguiranno il mio fanale di poppa. Voi chiuderete la fila.»
Knolles annuì. La sua espressione, che non era mai stata allegra, si fece ancora più seria.
«Addio, Monredon.»
«A Dio, sì. E speriamo che vegli su di noi: ne avremo bisogno.»
Knolles scese sulla banchina e si diresse alla sua nave. Monredon si rivolse al nostromo ordinando: «Mollate gli ormeggi».
Nel buio della notte la Templière si mosse lentamente verso l’imboccatura del porto spinta da una bava di vento che gonfiava la vela latina. A una a una, le altre navi si accodarono. Abbandonando il molo, ognuna accese un fanale a prua e uno a poppa. In assoluto silenzio la flotta templare uscì dal porto e fu inghiottita dall’oscurità.
Erano diciotto vascelli di diversa stazza. Per lo più si trattava di imbarcazioni rotonde, cioè di largo baglio, armate a vela latina. Era un modello diffuso fin dall’epoca delle crociate e apprezzato per le sue caratteristiche di leggerezza e velocità. Aveva un equipaggio di circa quaranta uomini ed era adatto a ogni tipo di trasporto: pellegrini, uomini armati, mercanzie, cavalli. Ma poteva essere utilizzato anche come nave da guerra. Oltre alle navi rotonde, fra i diciotto navigli che lasciarono La Rochelle c’erano alcune galee che in assenza di vento potevano procedere a remi. Quasi tutte le navi erano veri e propri mezzi da sbarco, attrezzate con una porta che veniva aperta il più possibile vicino alla riva e permetteva ai cavalli montati dai cavalieri di sbarcare direttamente. Così gli armati potevano prendere posizione, stabilire una testa di ponte e garantire la sicurezza dello sbarco. Prima di iniziare la navigazione la porta veniva chiusa e serrata ermeticamente, calafatandola col catrame. Una precauzione necessaria, dato che, a pieno carico, la porta risultava sotto la linea di galleggiamento.
Uscita dal porto di La Rochelle, la flotta costeggiò l’isola di Ré. Quando l’ultimo scoglio scomparve a poppavia del Buscart, la nave di Knolles che chiudeva la fila, davanti ai templari fuggiaschi non rimase che l’immensità dell’oceano.
Era passata soltanto un’ora da mezzanotte quando uno squadrone di cavalieri in armi si presentò di fronte alla porta orientale di La Rochelle.
«In nome del re, aprite!»
Le sentinelle mezzo addormentate chiamarono il capoposto, mentre Jean du Mesnil, comandante dei cavalieri, dava le ultime disposizioni ai suoi subordinati.
Il capoposto apparve sul fastigio della porta e gridò: «Chi vive?».
«Guardie del re!»
«Fatevi riconoscere.»
Du Mesnil si avvicinò a una torcia e disse il suo nome.
«Ah, sì. Vi riconosco, monsignore. Siete venuto a La Rochelle per la festa di san Benedetto.»
«E il mio falco pellegrino ha vinto il premio nella gara di falconeria.»
«Precisamente» confermò il capoposto, come se in quelle parole avesse riconosciuto una parola d’ordine. Si affacciò allo sporto e comandò: «Aprite!».
Fra clangori e cigolii, i battenti del portone cominciarono a schiudersi. Ma i cavalieri non attesero di vederli spalancati: si gettarono nello spiraglio e sciamarono in città, ciascuno con un preciso obiettivo.
Du Mesnil corse per le strade strette fino al porto, voltandosi solo per distaccare uomini verso il tempio o verso i palazzi pubblici. Giunse sulla banchina immersa nel buio e sulle prime non credette ai propri occhi. Delle navi templari non c’era traccia.
Sprizzando collera dagli occhi, du Mesnil percorse la banchina da un capo all’altro, poi risalì fino al tempio, dove i suoi uomini avevano sfondato le porte e cercavano dappertutto ficcando le spade nelle ceste e nei tendaggi.
«Non c’è nessuno» riferì un sergente. «Se ne sono andati e hanno portato via soldi, vestiti, registri. Tutto sparito. Non è rimasta neanche una briciola di pane.»
La rabbia di du Mesnil esplose.
«Non è possibile! Cosa diavolo è successo? Dove sono andati? Voglio saperlo! Buttate giù dal letto tutti gli abitanti di questa maledetta città! Riuniteli nella chiesa e girate casa per casa, rivoltate tutto, cantine e solai!»
I sergenti sparirono con i loro uomini e la perquisizione cominciò.
Due ore più tardi, dopo aver personalmente interrogato il prevosto, il borgomastro e il capo delle guardie cittadine senza cavare un ragno dal buco, du Mesnil cominciò a ricevere i rapporti dei suoi uomini. Tutti negativi. Non si erano trovati templari nascosti nelle cantine, nessuno sapeva che la flotta fosse sul punto di salpare, nessuno si era accorto di movimenti sospetti, nessuno aveva visto facce nuove negli ultimi dieci giorni.
Quando spuntò l’alba e fu chiaro che a La Rochelle non c’era niente da scoprire, du Mesnil crollò seduto su una panca e nascose il volto fra le mani.
«E adesso» si chiese «chi mi proteggerà dalla furia del re?»
La stessa alba livida si alzò anche in alto mare. La brezza di terra si era affievolita, l’oceano era quasi piatto. Monredon diede ordine di spegnere i fanali e di ammainare la vela. La Templière si arrestò, le navi che la seguivano si affiancarono sul lato di babordo, il Buscart avanzò sull’altro lato. Arthur Knolles e Geoffroy de Monredon si affacciarono ai parapetti per scambiarsi l’ultimo saluto.
«Qui finisce la storia del nostro ordine» Monredon aveva l’aria abbattuta. «Speriamo che questo sia l’inizio di una storia nuova, di un nuovo destino.»
«Riusciremo a vederlo?» chiese Knolles.
«Noi forse no. Ma dobbiamo costruire i pilastri sui quali un giorno i nostri fratelli getteranno un ponte fra passato e avvenire.»
«E così sia.»
«Addio Knolles.»
«Addio Monredon.»
I due scoprirono il capo, alzarono lo sguardo al cielo aprendo le braccia a imitazione della croce e gridarono per l’ultima volta «Beauséant!», il grido di guerra dei templari. Gli equipaggi della Templière e del Buscart ripeterono il grido. In ordine sparso, gli altri equipaggi si unirono a loro. Era tutto ciò che potevano fare per rendere onore all’ordine dei poveri soldati di Cristo e del tempio di Salomone. Lo avevano servito in Terrasanta sopportando fame, ferite e sconfitte; gli avevano dedicato la vita ed ecco a cosa si era ridotto: poche navi fuggiasche in mezzo a un oceano.
Il Buscart tornò a issare la vela e lentamente si allontanò in direzione nord. Otto navi lo seguirono. Monredon rimase a guardare la piccola flotta che si dirigeva verso le isole britanniche. Pensò a cosa andava incontro. Pensò a cosa sarebbe andato incontro lui, con i nove vascelli che gli erano rimasti. Pensò a cosa lasciava in Francia, al gran maestro tradito, infamato, forse anche torturato.
«Alzate la vela!» ordinò. «Rotta sud-sudovest.»