1. Sasha-3

1616 Parole
Arrivo all’asilo nido che è già affollato e vado subito in ufficio per organizzare la parte amministrativa della giornata. Prima della fine della scuola, mia madre mi aveva proposto di lavorare in un asilo. Dopo essermi diplomata, avevo ottenuto la laurea in Scienze della Formazione Primaria. Avevo impiegato due anni per ottenerla online e avevo avuto il tempo di fare pratica con Dakota. Quando mi ero laureata, avevo trovato un lavoro full-time e un posto all’asilo per me e la mia bambina. Apro l’agenda e guardo la lista di cose da fare. All’inizio lavorare qui era un mezzo per raggiungere un altro obiettivo ma questo posto mi ha salvato. È la mia seconda casa e le persone che ci lavorano sono come una famiglia. Durante gli anni avevo lavorato in diversi asili alla ricerca di quello perfetto per me, finché non avevo chiesto un prestito per aprirne uno tutto mio. Mia madre, che era sempre stata la mia salvatrice, mi aveva permesso di usare casa sua come garanzia e insieme ce l’avevamo fatta. Grazie a questo posto, e al successo che aveva ottenuto, ero riuscita a dare una caparra per la casa e a camminare con le mie gambe. Dato che ero diventata mamma molto presto, Dakota andava già a scuola ed era autosufficiente quando avevo dovuto impegnarmi per arrivare fin qui. Inoltre, anche se era capitato di rado e c’erano stati momenti in cui non avevo potuto fare qualcosa per lei, perché ero troppo impegnata a costruire il nostro futuro, aveva mia madre e il fratello di Jagger, Hendrix, che le riempivano le giornate. Ci eravamo assicurati tutti che non le mancasse niente. «Oh, cazzo. Non mi aspettavo di vederti oggi,» esclama Holly, la mia coordinatrice. «Mi hai fatto paura.» È la seconda in carica e in pratica l’ho formata fino a farla diventare un mio clone. Dopo aver lavorato fianco a fianco per cinque anni, è più del mio braccio destro. È la mia migliore amica. «Ti ho detto che sarei venuta dopo il mio appuntamento e non è colpa mia se hai sempre la testa tra le nuvole.» «Ehi.» Mi lancia un’occhiataccia. «Non toccare le nuvole. Sono un bel posto in cui stare.» Le faccio un cenno. «Ti prendo in parola. Com’è andata la mattinata?» «Impegnativa, ma la colazione di famiglia è stata un successo enorme. Adesso sono tutti tornati alla solita vita.» Aggiungiamo sempre qualcosa di diverso al programma per assicurarci che le giornate non siano noiose né per i bambini né per i genitori. Oggi abbiamo invitato i tutor a fare colazione con i bambini prima di andare via. Per fortuna i piccoli si sono divertiti e i genitori sono sempre molto disponibili. «È avanzato qualcosa della colazione?» chiedo con imbarazzo. Sorride. Dimentico sempre di mangiare e lo sanno tutti. «Jane ha preparato un piatto a testa. Vado a prenderlo.» Mentre ci ingozziamo di bacon e frittata, controllo i documenti. Siamo vicine a Capodanno e ci concentriamo soprattutto sulle nuove iscrizioni, sui rinnovi e sui passaggi alla scuola dell’infanzia. È sorprendente, ma prendersi cura dei bambini è la parte più semplice. Il suono del campanello mi fa spostare lo sguardo sull’orologio. È raro che i genitori lascino i figli dopo le dieci o che passino a prenderli prima delle tre. Dato che sono le undici, mi incuriosisce sapere chi possa essere. «Vuoi che apra?» chiede Holly. «No, non fa niente. Va’ al piano principale, ti darò il cambio quando avrò finito.» «Perfetto.» Usciamo insieme dalla stanza e io vado verso l’ingresso. La porta è sempre chiusa per questioni di sicurezza. Soltanto i genitori e il personale conoscono il codice per accedere, in questo modo i bambini non rischiano di essere rapiti o di finire nelle mani sbagliate. Attraverso il vetro vedo una donna bassa che tiene una bambina che le si agita in braccio. Mi metto subito nei suoi panni e corro verso la porta, aprendola immediatamente. «Salve,» dico, guardandola negli occhi. «Posso aiutarla?» Sospira e cerca di calmare la bambina, cullandola. «Volevo sapere se avete ancora posti disponibili.» Sussulto ma non mi va di dirle subito di no. Sposto lo sguardo sulla bambina e apro le braccia mentre la donna me la passa con piacere. «E tu come ti chiami?» chiedo alla bimba, spostandole la frangetta color cioccolato dagli occhi. «Si chiama Lily,» risponde la donna. «Io sono Sasha, è un piacere conoscervi.» Sta per offrirmi una mano e le cade una bottiglietta d’acqua. «Oh, mer… merendina,» si corregge prima di prenderla. «Io sono Max.» Lancia la bottiglietta nella borsa e si passa una mano tra i capelli, frustrata. Quando sposta le ciocche dal viso, noto le occhiaie che la fanno sembrare molto più vecchia. «Siamo passate per dare un’occhiata, per voi va bene?» Di solito organizziamo un open day una volta al mese per tutte le famiglie che vorrebbero iscrivere i propri figli, ma c’è qualcosa in lei che mi spinge a fare un’eccezione. «Che ne dici di fare una passeggiata?» Abbasso lo sguardo e sorrido alla bambina. «Vediamo se a Lily piace questo posto.» La accompagno durante il tour, spiegandole la funzione di ogni stanza dei giochi e la divisione in base all’età. «Giù, giù, giù,» canticchia Lily quando raggiungiamo la sabbiera. «Posso?» chiedo a Max, indicando i bambini che giocano vicino a noi. «A dire il vero…» Allarga le braccia e capisco che devo ridarle Lily. «Oggi abbiamo delle faccende da sbrigare e preferirei che non fosse ricoperta di sabbia.» «Certo.» Sorrido mentre Lily torna da Max. «Andiamo nel mio ufficio e ti spiegherò un po’ come funziona.» Finisco di fare il solito discorso mentre ci sediamo al piccolo tavolo rotondo che si trova al centro della stanza. Impilo i documenti in ordine di importanza e glieli passo. «A quanti giorni stavi pensando?» «Speravamo tutti quanti,» risponde con tono quasi disperato. «Tempo pieno,» dico. «È un gran bel lavoro. Lo capisco.» «Hai figli?» Mi guarda incuriosita. «Ha sedici anni, ormai non è più una bambina. Sa prendersi cura di se stessa.» «Scherzi?» strilla. «Che cosa? Eri una ragazza madre?» Sembra sinceramente sorpresa, ma la solita incredulità e la visione stereotipata che accompagnano la domanda mi infastidiscono. «Non sembri avere più di ventisei anni.» Le rivolgo un sorriso forzato, perché il complimento non riesce a placare il bisogno di difendermi. «Avevo quattordici anni. Adesso ne ho trenta.» «Merda.» Distoglie lo sguardo e capisco che non si riferisce più alla nostra conversazione. «Non riesco a immaginarmi come mamma a quattordici anni.» «Merda,» ripete Lily. «Max. Merda. Max. Merda.» La nostra risata spazza via la tensione. «Allora, cinque giorni per Lily?» «Sì. Noi… voglio dire, suo padre.» Guarda la bambina e scuote la testa, come se avesse parlato troppo o detto qualcosa di sbagliato. «Al momento è parecchio impegnato.» Anche se i numeri, i documenti cui stavo lavorando prima e il buonsenso su cui mi baso per gestire l’asilo mi dicono di non farlo, le do i moduli da compilare e le dico che la chiamerò presto. La accompagno fuori e le prometto che mi farò risentire. Dopo torno in ufficio e incontro Holly, che mi guarda con sospetto. «Non possiamo inserire quella famiglia.» «Chi ha detto che lo farò?» mento. «Non provare a dirmi bugie, Sasha. Ti conosco.» Mi tengo impegnata con la macchina del caffè ed evito il suo sguardo mentre mi rassegno a dirle la verità. «Questa sera lavorerò fino a tardi e troverò una soluzione.» «Salvo che tu non mandi via un’altra famiglia, non vedo come potresti.» «Ce la farò.» «Perché sei così risoluta?» insiste. «Rifiutiamo dozzine di famiglie ogni due mesi.» Stringo la tazza fumante e mi volto verso di lei. «Alcune persone hanno soltanto bisogno di aiuto.» «Ha detto qualcosa?» mi chiede. «Perché so che hai un debole per le storie strappalacrime.» Alzo gli occhi al cielo e ignoro quello che dovrebbe essere un insulto, anche se è vero. «Più che altro è stato quello che non ha detto.» Sembrava stanca e confusa, come se avesse bisogno di un momento per pensare, o per pianificare, e il pensiero di farlo con Lily intorno per tutto il tempo fosse impossibile. «Come vuoi, Madre Teresa, resta qui tutta la sera e cerca di fare l’impossibile mentre io tornerò a casa presto e mi accoccolerò sul divano con la mia ragazza.» «Se non troverò una soluzione, mi rassegnerò,» le assicuro. «Sento soltanto il bisogno di provarci.» Scrolla le spalle. «Sai che mi fido di te, ma non devi niente a quella donna. Il massimo che puoi fare è inserirla nella lista d’attesa.» «Sai che non posso farne a meno.» «Sì, ma fai già abbastanza, Sasha.» Il suo tono si addolcisce e la frustrazione di prima scompare. «Rinunci a tutto il tempo libero e ti offri di aiutare le ragazze madri del liceo.» «Non è questo il caso.» «Non essere pignola, sai che intendo,» dice con tono duro. «Non so chi tu stia cercando di salvare, Sasha, ma è impossibile aiutare tutti.» «Ho i mezzi e il tempo, quindi non c’è niente di male a sfruttarli per fare del bene.» «No, ma non lasciarti prendere la mano, altrimenti a rimetterci sarà quello che hai costruito con tanto impegno.» Annuisco e aspetto che torni al piano principale. So che lo dice per il mio bene, ma è sempre andata così. Vedere la gente fare fatica a trovare un equilibrio tra la vita da genitore e tutto il resto mi fa venire voglia di aiutare. Se posso fornire a una persona il sostegno che mi ha dato mia madre, allora voglio farlo. A volte è un compito impossibile e altre ho a portata di mano tutto il necessario per cambiare la vita degli altri. Quelle sono le volte che preferisco.
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