Nel dir questo, gli tremò la voce. Ma tornò subito a rasserenarsi, e fissato il Bianchini con gli occhi socchiusi e sorridenti, batté la mano sulla raccolta della Quistione sociale che era sul tavolino, dicendo che il giornale era buono, che l'avvocato era una testa forte; ma che scriveva troppo elevato per gli operai, e quanto più glie lo dicevano, tanto più s'ostinava a non mutare, rispondendo che non voleva fare la dottrinetta socialista.
E soggiunse che egli pure ci scriveva qualche cosa, alla buona. Ma gli mancavano gli studi, gli mancavano i libri, gli mancava tutto.
E nel dir queste parole, stringendosi la barba sul mento con la mano agitata, girò sulle belle librerie, che coprivano quasi tutte le pareti, uno sguardo largo e lento, in cui il Bianchini vide una così ardente avidità intellettuale, una così triste e umile invidia, un così amaro rammarico della sua carriera fallita, che n'ebbe un senso di pietà, e capì per la prima volta tutta l'ingiustizia d'un ordinamento sociale, in cui la povertà sbarrava a una intelligenza così viva e a una volontà così indomita la via degli studi, mentre oziavano petulantemente in tutte le scuole tanti danarosi imbecilli. Certo, era la coscienza offesa da quell'ingiustizia che aveva spinto quel giovane nelle file del socialismo. Nato per salire, e ricacciato a terra, per istinto egli si sollevava alla vita intellettuale per un'altra via, e questo nobile sforzo gli costava anche il suo pane d'operaio. Ma per che ordine di pensieri e di letture era venuto all'idea socialista? Punto dalla curiosità, il Bianchini glie lo domandò di punto in bianco, e il giovane gli rispose con certa furia ingenua di parole, che non lasciava alcun dubbio sulla sincerità della sua confessione.
Aveva avuto tendenze repubblicane fin da ragazzo, leggendo la storia romana: s'era entusiasmato dei grandi uomini della repubblica. Poi aveva letto alla rinfusa il Mazzini, Alberto Mario, il Lamennais, degli opuscoli del Kropotkine, uno del Lassalle. E di ciascuno di questi diede, passando, un giudizio, con formole curiose, che erano reminiscenze inesatte di giudizi letti, a cui mescolava del suo, usando certi vocaboli letterari in senso improprio; ma in modo da far intendere che aveva capito più che non sapesse esprimere, e pensato molto da sé. Fra queste diverse letture, era rimasto fedele al Mazzini. Più tardi, aveva letto una traduzione francese del Capitale di Carlo Marx, che gli aveva fatto una grande impressione. In fine, era stato definitivamente persuaso da una conferenza d'Andrea Costa, e s'era dato alla politica, per dedicarsi tutto alle idee socialiste. Leggeva quanto gli cadeva tra mano, andava a qualche lezione d'economia e di diritto all'Università, teneva qualche conferenza sul collettivismo a certe associazioni operaie. Ma era sopra tutto inclinato a occuparsi di quistioni agricole, a cui aveva preso passione girando la campagna per il commercio di suo padre, perché contava d'andare a far propaganda di socialismo tra le popolazioni rurali.
— Perché è lì che bisogna battere —, soggiunse —, non pare anche a lei? sopra tutto in Italia, che ha una grande popolazione agricola, in peggior stato dell'operaia. Ora la cominciano a capire. Ma non qui. Chi va tra i contadini a destare in loro la coscienza di classe? Chi scrive per essi? Lasciati soli, attaccati alle loro vecchie abitudini, diffidenti di tutti, non faranno mai un passo innanzi da sé. E fin che loro non si svegliano, saremo sempre al primo principio. Il socialismo italiano sarà agricolo, o non sarà. Non è il suo parere?
Piacque al Bianchini la sicurezza con cui quegli mostrava di considerarlo come uno dei suoi, benché non si fosse dichiarato ancora, parlandogli così aperto e guardandolo con quel sorriso pieno di simpatia; e interrogato direttamente a quel modo, rispose, acconsentendo, ed esprimendo meglio la stessa idea; ma con una incertezza non mai provata con altri, con una specie d'imbarazzo, come chi non sapesse bene con chi parlava, se con uno della sua condizione o d'un'altra, se ad una persona colta o no: si trovava davanti, per così dire, a un uomo nuovo, che sconcertava un poco nella sua mente le regole del linguaggio e delle convenienze.
— Infine — disse il Barra giovialmente, alzandosi —, qualche passo si farà. — E parlò dell'ordinamento del partito a Torino. Ma si rannuvolò all'improvviso, accennando all'ignoranza restia di tanta parte degli operai, alle associazioni ostili all'idea, ai corrotti e ai malfidi e agli invidiosi d'ogni compagno che si alzasse un dito sopra di loro e agli intralci d'ogni sorta che metteva la polizia all'opera della propaganda; e mentre diceva queste cose, gli occhi gli s'offuscavano, la sua voce usciva stridente dalle labbra contratte, l'agitazione nervosa di tutto il suo corpo faceva indovinare un altr'uomo, irritato dagli ostacoli, dalle inimicizie, dalle ingiustizie, e soggetto qualche volta a scoraggiamenti dolorosi e profondi, che non doveva confessare ad anima viva. Ma si rifece sereno ad un tratto, con una scrollata di capo, dicendo:
— Basta, l'avvenire è per noi, è chiaro come il sole. — Sì, quasi tutti i giovani operai che venivan su, eran per la causa, perché intendevan le cose meglio dei vecchi. Ed erano i meglio della classe perché capivano che bisognava istruirsi, portarsi con dignità, rendersi degni del nome di socialisti. Quelli là non s'ubbriacavano, non battevan la moglie, non sacrificavano una conferenza a una partita alle bocce. Eran giovani di cuore, che davan l'ultimo centesimo per aiutare un compagno di fede gettato sul lastrico, che compravano i giornali del partito per chi non aveva soldi, e che quando si trovavan senza lavoro, sopportavano l'appetito con coraggio, senza commetter bassezze. — E quando la maggior parte saran così... — concluse —; ci vorrà del tempo: io non lo vedrò il nuovo mondo; ma... sarà!
E nel dir quel sarà parve che gli uscisse un raggio dagli occhi, un raggio di gioia e di alterezza, con cui facevano uno strano contrasto i suoi panni logori, benché puliti, che eran tenuti su, si capiva, dall'ago di sua madre, e dicevano una vita di dure privazioni.
— Ho parlato troppo? — disse poi di sull'uscio, con un sorriso — Ma lei già, senza saperlo, era una mia conoscenza. — E soggiunse che aveva letto la Storia d'una casa in biblioteca, perché aveva inteso che vi si parlava d'operai. Ma spiacque quell'accenno al Bianchini, perché aveva coscienza d'aver parlato degli operai in quel libro con quel tono convenzionale e falso di bonarietà protettrice, che è d'uso nei libri educativi scritti per loro. Il Barra, però, non espresse alcun giudizio. Lo esortò invece a scriver qualche cosa egli pure per la Quistione, perché c'era bisogno di giornalisti che sapessero dir le cose. — O ci metton troppa scienza, e non si fan capire, o infilano dei frasoni di sentimento, che ristuccano anche gli operai. Ma chi trovasse il vero modo di dirci quello che ci si deve dire, quello ci farebbe un servizio!
Il Bianchini credette di dovergli fare un complimento per i suoi articoli, che erano pratici, e scritti con forza.
L'operaio rise, facendo l'atto familiare di afferrargli il braccio, come per scrollarglielo, e dirgli che scherzava; ma ritirò la mano senza toccarlo. Poi gli gridò dal pianerottolo: — Se permette, ci rivedremo!
E inteso il sì cordiale del professore, se n'andò, lasciando questo maravigliato e pensieroso di quel misto singolare di cultura e d'ignoranza, di cortesia e di franchezza, di semplicità, d'entusiasmo e di forza; e contento di se stesso come se, penetrando nell'animo di quell'operaio, avesse rinfiammata e rinsaldata la sua nuova fede.
VII
Dopo la visita del Barra, che forse era stato mandato a tastarlo, il Bianchini s'accompagnò qualche volta col Rateri, che veniva più sovente al Liceo a chieder del fratello. Parlavano prima della scuola; poi, girando la conversazione con arte, dell'argomento che premeva di più a tutti e due, come se ci fossero venuti per caso. Il Rateri non faceva che risponder alle domande che gli rivolgeva l'altro intorno ai redattori del giornale, a libri, ad altri giornali del partito; ma con un ritegno visibile, come se volesse tenerlo in là, sospettando in lui un neofita impreparato e leggiero, che presto avrebbe mutato idea. Ma questa sua fredda diffidenza e la serietà immutabile, unite alla cognizione profonda e netta che, con pochissime parole, egli veniva sempre rivelando più chiaramente, di libri e di quistioni vaste e complesse, a cui l'intelligenza del Bianchini s'era appena affacciata, crescevano in questo la stima, e gli infondevano un sentimento di soggezione, che gli avvivava la simpatia. Una cosa sopra tutte ammirava in lui: la conoscenza intima, che egli aveva, di tutti i giovani d'ingegno noti in Italia, nel campo letterario o nel scientifico, i quali dessero indizio di dover presto o tardi, per la logica della loro natura, convertirsi alle sue idee; la diligenza oculata con cui teneva dietro alle fasi lente di questo loro mutamento in tutte le loro manifestazioni anche più indirette; la sicurezza con la quale definiva gl'intoppi intellettuali e morali che, a suo giudizio, ritardavano la trasformazione negli uni e negli altri, e la particolare funzione che avrebbe compiuto, il servigio sociale che avrebbe recato alla causa ciascun di loro, quando l'avesse risolutamente abbracciata. E tutto questo diceva freddamente, con l'esattezza di linguaggio d'un botanico che parlasse di piante crescenti sotto i suoi occhi nell'orto del suo laboratorio. E così pareva che osservasse sulla palma della mano tutto il movimento socialista, nomi, pubblicazioni, comizi, atti di parlamenti, formazioni di società, ogni più lieve progresso dei più piccoli paesi, il cammino quotidiano che faceva l'idea sulla faccia di tre continenti, e ne parlava in un modo suo proprio, a cenni e a frasi illuminanti, con un'arte che ravvicinava, legava gli uomini e i fatti più lontani e ingrandiva ogni cosa ed il tutto, rappresentando alla fantasia del Bianchini la vastissima agitazione come quella d'un esercito immenso ch'egli vedesse ordinarsi dall'alto sopra una sconfinata pianura. Né gli sfuggiva mai una parola d'entusiasmo per la causa, o di pietà per le miserie umane, o di simpatia per le classi inferiori, come se il trionfo del socialismo fosse un fatto certo e necessario al pari dell'adempimento d'una legge cosmica, a sollecitare il quale è vano e risibile ogni sfogo di sentimento. E ciò faceva nel Bianchini più forte impressione d'ogni più affettuosa eloquenza, poiché non c'è cosa che persuada tanto gli animi appassionati quanto il veder persuasi della propria idea degli animi freddi, in cui la medesima fede ha un fondamento diverso. Ma mentre saliva in lui l'ammirazione, durava sempre eguale il riserbo nell'altro, che non gli rivolgeva mai una domanda diretta intorno alle sue opinioni, e non mostrava alcuna curiosità di conoscerle, come se della sua conversione al socialismo non gli importasse il minimo che. E questa indifferenza sempre più lo infervorava, gli attizzava nel cuore l'ambizione, il bisogno prepotente di conquistare a forza la sua stima e la sua fiducia. Egli si diceva che un giorno lui e tutti gli altri avrebbero ammirato la passione che gli ardeva l'anima, e riconosciuto ch'egli portava alla causa una forza ch'essi non avevano, e l'avrebbero amato: e dietro a questa idea, che gli raddoppiava le forze agli studi e gli ispirava mille disegni di propaganda letteraria e d'azione, lo stimolava quasi di nascosto, gli sorrideva il pensiero d'imporre il rispetto e di strappare la simpatia a quella specie di monaca rivoluzionaria, a quella strana donna dal viso pallido e dagli occhi profondi, di cui si sentiva ancor lo sguardo diffidente confitto in mezzo alla fronte, come una punta di spilla. In questo stato di mente e d'animo egli si trovava quando eran seguiti i moti del 1° Maggio.
VIII
Quando, dopo la discussione col padre, Alberto e la signora salirono in casa propria e sedettero a tavola col ragazzo, nella bella sala da pranzo che dava sulla piazza e sul corso, Alberto s'accorse che sua moglie aveva cambiato umore. Ogni volta che essa aveva qualche cosa con lui, non attaccava già briga, non si mostrava irritata: taceva soltanto, pigliava un atteggiamento passivo, una cert'aria di rassegnazione indulgente, che si esprimeva in un sorriso leggerissimo. E questo gli era insopportabile. Egli preferì di lottare sull'atto.
— Ti pare — le domandò — che io abbia detto dei grossi spropositi?
Essa tardò un momento a rispondere; poi disse: — Non dico questo; ma... ti confesso che m'ha fatto pena sentirti dir quelle cose.
— Perché?
— Perché... non so... mi pare che tu ti sia messo per una strada... che non è la tua; per una strada che ti potrebbe condurre...
— Alla perdizione?
— No... ma che so io? ... alla volgarità. Non è forse la parola giusta, non so esprimere bene la mia idea... Non mi parevi più tu, mentre parlavi.