​PARTE PRIMA-2

2015 Parole
— Non so... — disse con voce soffocata — tremo, si direbbe quasi che ho paura. — Ragazzo, — rispose Ines che era rimasta nella vettura — se fai così ora, come potrai contenerti dinanzi a Clara?... — Un melanconico sorriso sfiorò le labbra di Alfonso. — Hai ragione! — esclamò — non è questo il momento di perdere il sangue freddo. E tirò con forza la corda del campanello. Sebbene il portone fosse lontano quasi un tiro di fucile dalla casa, nonostante si sentì suonare. Trascorsero cinque buoni minuti senza che comparisse alcuno. — Che mia sorella non sia più in villa? — esclamò Alfonso che stava sulle spine — ma pure qualcheduno ci dovrebbe essere... è strano questo silenzio! — Può darsi che non abbiano sentito suonare. — Il giovine suonò un'altra volta. Dopo poco, un passo ineguale, pesante, si udì al di là del portone. Alfonso sentì tutto il sangue affluirgli al cuore. — Finalmente, — disse — sapremo qualche cosa. — Ma invece del portone, si aperse uno sportello, ed apparve la testa di un contadino. — Chi suona a questo modo? — chiese bruscamente. Ma visto il giovine che era fermo dinanzi al portone e la vettura che aspettava, si tolse il cappello che aveva in capo ed in tono umile: — Chi cerca il signore? — aggiunse. — Non è questa la villa del conte Rambaldi? — Sissignore, ma il signor conte è partito fino da ieri sera... dopo i funerali. — Alfonso fu preso da un forte terrore, e si sentì come un cupo ronzio nelle orecchie. — I funerali... — ripeté. — Dunque è morto qualcuno nella villa? — Sissignore: è morta la signora contessa... — Alfonso mandò un grido terribile. Ines balzò dal legno per correre a lui. — Oh! — esclamò ella vivamente — non lo credere, Alfonso... è falso... è falso.— E guardò con occhio lampeggiante il contadino; ma questi, che non capiva nulla di tutta quella scena, esclamò: — Nossignore... non è falso... la signora contessa è morta l'altra notte, e ieri ci furono i funerali. — Alfonso mandò un sospiro, accompagnato da un altro grido di disperazione e cadde a terra. Ines si gettò sul giovane piangendo e chiamandolo coi più dolci nomi. Alfonso rimaneva immobile, ghiacciato. — Bisognerebbe portarlo in casa, signora… — disse il fiaccheraio che era sceso da cassetta. Intanto il contadino aveva spalancato il portone a due battenti, e si era avanzato al di fuori. Dietro a lui venivano alcune donne, che guardarono, commosse, la pietosa scena. — Ma chi è quel signore? — chiese una di esse. Ines la sentì, ed alzò il capo. — Quello è mio marito, fratello della contessa Rambaldi, — rispose. — Presto... datemi dell'acqua, dell'aceto... qualche cosa che possa farlo rinvenire. — Prima sarà meglio portarlo in casa, — propose di nuovo il fiaccheraio. Anche gli altri furono dello stesso parere, e con molta premura aiutarono a sollevare quel povero corpo, che non dava più segno di vita; indi presero in silenzio la strada della villa, seguiti da Ines che singhiozzava come una bambina. II La villa dei conti Rambaldi era in uno stato di decadimento impossibile a descriversi. Al pianterreno, nel centro della facciata, v’era una porta con gli scalini tutti sconnessi; la cornice di quella porta aveva preso un colore grigiastro, ed i battenti di noce tempestati di chiodi d’acciaio, avevano acquistato il medesimo colore della pietra. Al disopra della porta v’era un balcone sostenuto da due cariatidi, e sopra a quello un enorme blasone, quasi per intiero rovinato. Ma se la facciata della villa presentava tanti guasti, l'interno era abbastanza fresco e delizioso: i mobili erano moderni, disposti con un gusto squisito; le muraglie coperte di quadri dipinti da mano maestra, i tappeti assai morbidi e ricchi. Alfonso fu trasportato con molta circospezione in una camera a pianterreno e posto sul letto. — Bisognerebbe fargli respirare dei profumi, — consigliò una contadina. — Eccoli... eccoli! — esclamò vivamente Ines aprendo la sua valigetta, da cui trasse una boccia di cristallo, orlata di una borchia d'oro piena di profumi, e la pose sotto le nari del marito. Quasi tosto il giovine fece un leggiero movimento: i suoi occhi si riaprirono a metà. Ines mandò un'esclamazione di gioia e sollevando la testa adorata del suo Alfonso, la coprì di baci appassionati. — Guardami… guardami, amor mio... sono io, la tua Ines. — Le palpebre del giovine si sollevarono intieramente, ma le pupille rimanevano velate: guardavano senza distinguere. Tuttavia quella nube si dileguò a poco a poco: Alfonso parve che avesse una lieve percezione di ciò che accadeva dintorno a lui; voltò il capo dalla parte di Ines, cercando senza dubbio di raccogliere le proprie idee e di rendersi ragione del luogo e delle persone con cui si trovava. Bentosto le sue labbra si aprirono, e pronunziarono un nome. — Clara. — Egli chiama la signora contessa, — disse una contadina. — Silenzio! — esclamò Ines con vivacità — la sua vita ritorna… — Sarebbe bene, signora, che ella gli facesse prendere un po' di questo vin vecchio, — disse una contadina offrendo alla bella andalusa una coppa piena di un liquore color d’ambra e un cucchiaio d'argento. — Grazie, mi proverò... — rispose Ines. E bagnò dapprima le labbra del giovane, poi con una delicatezza ammirabile introdusse nella bocca di lui alcune gocce di quel ristoro. Il viso pallidissimo di Alfonso si colorì subito di un rossore fuggitivo, i suoi occhi incerti si fermarono sul volto della moglie, e sorrise. — Ines... mia Ines... sei tu? Dove siamo? — In casa di amici, calmati, cerca di riposare. — Ma il giovane scorse in quel momento fra le tende della finestra la testa del contadino che era apparsa allo sportello del portone, e la sua memoria si ridestò. — Mi ricordo... mi ricordo... — rantolò in preda ad uno spasimo che lo scuoteva dal capo alle piante. — Clara è morta, me l'ha detto quell'uomo, è morta!... — E ruppe in strazianti singhiozzi. Ines non osò turbare lo sfogo del suo dolore: piangeva con lui. Dopo un poco, Alfonso si calmò: la crisi era passata e il giovine cercava di riordinare le proprie idee. Egli fece cenno al contadino di avvicinarsi. — Raccontami tutto quanto è successo... di che malattia è morta?... quando?… Dimmi tutto… ti regalerò dei denari, quanti ne vorrai. — Il contadino voltava e rivoltava il cappello a cencio che teneva fra le mani. — Io so poco, signore, perché vedevo di rado la contessa, ma mia moglie l'ha assistita, e le può dare tutti i ragguagli che vuole. — Che venga dunque subito tua moglie. — Una delle contadine che era entrata nella stanza e si teneva nascosta in un angolo, si avanzò. — L’ho assistita io, signore, — disse rossa e confusa. — La signora contessa da qualche tempo stava poco bene e venne quassù in campagna per rimettersi. Noi non la riconoscevamo più, dagli anni passati: era venuta bianca come la carta da scrivere e i suoi occhi grandi luccicavano come cristalli. Ma aveva conservato sempre quel sorriso così bello, che faceva piacere a vederla. — Suo marito era qui con lei? — chiese Alfonso con voce soffocata. — Nossignore, non è venuto che l'altra sera, quando la signora contessa stava male... e dopo che il curato le aveva dato l'olio santo. — Alfonso si morse le labbra fino a sangue e strinse i pugni. Ines piangeva in silenzio. — Qual dramma è mai successo! — esclamò — qual mistero si cela nella morte di mia sorella? Ed ella non ha lasciato nulla... nulla che possa fornirmi un indizio! — Domando scusa, signore, — interruppe la contadina — la signora contessa prima di morire, ebbe la forza di scrivere tre lettere... e forse una di queste era diretta a vostra signoria. — Dove sono queste lettere? — La signora contessa mi fece giurare che io le avrei impostate appena ella avesse chiusi gli occhi... ed io ho adempito al giuramento. — Maledizione! — mormorò Alfonso fra i denti. Ed a voce più alta: — Dimmi, come avvenne la morte di lei? — Ecco: Giovedì la signora contessa stava più male del solito, nonostante volle alzarsi e fece attaccare la carrozza, dicendo che voleva portare la sua bambina a fare una passeggiata. Salì difatti in carrozza con la signorina e la governante, ma questa ci disse poi che la contessa aveva dato l'ordine al cocchiere di condurle in città, al suo palazzo, ed era smontata sola.… Un'ora dopo, quando uscì dal palazzo per risalire in vettura, la governante fu spaventata vedendo la signora contessa pallida come un cadavere, con gli occhi gonfi e rossi come se avesse pianto. Invece di tornar subito alla villa, ella si fece condurre dal notaro; anche lì smontò sola, salì nello studio di lui e vi si fermò una mezz'ora. Il notaro l'accompagnò egli stesso fino alla carrozza dicendo che si avesse riguardo. La sera medesima la signora contessa andò a letto con la febbre, ma non volle che nessuno vegliasse accanto a lei. La governante della bambina ci disse che dopo la mezzanotte svegliandosi, le parve di vedere la signora contessa presso il letticciuolo della signorina; ma credette d'aver sognato. La mattina io andai in camera della signora contessa, come mi aveva detto il giorno prima e la vidi stesa nel letto come una morta. La chiamai: non mi rispose. Allora corsi a chiedere aiuto. «La signora muore!» gridai «si direbbe anzi che è morta: correte a chiamare il medico, il curato, ed avvisate il signor conte!» Poi tornai dalla contessa e cercai di recarle qualche soccorso, le strofinai le tempie con l'aceto... ed ella aperse gli occhi, mi guardò, sorrise, ma non poteva parlare, né fare alcun movimento. Venne il medico, poi il prete, ma non c'era da farle nulla: la signora contessa pareva divenuta di marmo: aveva ancora gli occhi aperti e quando le portai la bambina da baciare, vidi una lacrima grossa grossa scorrere sul viso della signora. Più tardi venne il signor conte: la signora aveva chiuse le palpebre, ma respirava ancora: il signor conte la chiamò per nome e le baciò la mano, che aveva stesa sulla coperta. Allora vedemmo la signora scuotersi tutta... aprire di nuovo gli occhi e fissarli sul conte con un'espressione che non dimenticherò mai più... la udii mandare un grido angoscioso, e tutto fu finito. La povera signora era morta! — La contadina terminando il suo racconto, aveva il viso inondato di lacrime. Ines pure piangeva. Alfonso era in uno stato da far pietà: un singhiozzo convulso gli straziava il petto; fra le dita increspate teneva un fazzoletto di tela che aveva a metà lacerato. — Morta! — esclamò — morta senza che io potessi vederla,... senza avere avuto il suo ultimo sguardo, il suo ultimo bacio; morta lontana da me, forse chiamandomi, forse pensando che io fossi un fratello ingrato,... che mi fossi dimenticato di lei!... Ed è proprio finito tutto, non è vero? Non vi è più speranza? — Nessuno osò rispondere a quella triste e folle domanda. Ines cercava calmarlo colle sue carezze, ma il giovane si svincolò ad un tratto da lei, e balzando dal letto su cui era stato deposto intieramente vestito: — Voglio vederla!... — esclamò — sì, vederla... almeno una volta ancora. Dove è stata seppellita? — Non è stata ancora seppellita, signore, — rispose la contadina — perché la tomba acquistata dal signor conte per la signora non è ancora ultimata: la cassa dove hanno rinchiusa la signora è in deposito nella cappella mortuaria dell'Antella. — L'occhio di Alfonso scintillò. — Potrò dunque vederla? — disse tentando di fare alcuni passi; ma barcollò e sostenuto da Ines fu costretto a sedere sul sofà. — Sì, tu la vedrai... — disse la giovine accarezzandolo come un bambino — la vedremo… ma prima mettiti in calma... prendi qualche cosa che ti dia forza. — Alfonso si passò una mano sugli occhi. — Hai ragione..., lo voglio pur io… perché ho bisogno di riprender coraggio. — Vado subito a preparargli un cordiale, signore!… — esclamò la contadina — ed anche lei signora ha bisogno di sostenersi. — Due grosse lacrime scorsero sulle gote di Ines. — Oh! per me non ci pensate; — dichiarò — ditemi piuttosto se il fiaccheraio aspetta ancora. — Sissignora, è là fuori; debbo licenziarlo? — No... oh! no... — disse Alfonso — perché dovrà condurci al cimitero; ditegli che aspetti, fate entrare il legno nella rimessa, date da mangiare al fiaccheraio, pagherò tutto, tenete. — E trasse dalla tasca interna del soprabito una borsa di seta, che porse alla contadina. Questa voleva rifiutarla, ma Ines le rivolse uno sguardo così commosso, così pieno di preghiera, che la contadina, arrossendo, l'accettò. Ella uscì dalla stanza, seguìta dagli altri che avevano assistito in silenzio a tutta la scena. Alfonso ed Ines rimasero soli. Senza dire una parola, comprendendosi con lo sguardo, i due giovani si gettarono l'uno nelle braccia dell'altra, e per qualche minuto mischiarono i loro singhiozzi, le loro lacrime.
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