Chapter 3

448 Parole
Attraverso San Salvario in una Ford Capri blu targata BYZHR368La macchina scivolava sulla carreggiata deserta. Torino se ne stava nascosta oltre i marciapiedi a luci spente e serrande abbassate. Analinda si inginocchiò sul tappetino. Lunedì sera d’inverno. Due di notte. Nessuna campana a rintoccare l’ora. Brutta merda essere al lavoro. E poi che lavoro... quello che si era scelto. Come tutti. I lampioni erano dei fiammiferi di zolfo, il Dio delle centrali elettriche li accendeva con un gesto, bisognava in qualche modo passare il tempo. V. tirò giù la lampo e la lasciò fare. I semafori spuntavano agli incroci intermittenti e asincroni, al giallo chiunque pretendeva la precedenza da ogni direzione, attraversare un crocevia era come partecipare a un rodeo, uomini a cavallo di macchine imbizzarrite. Al chiosco di panini di Torino Esposizioni non c’era nessuno. Lo spiantato che ci tirava a campare se ne stava appicciato alla stufetta a gas bevendo coca zero da una cannuccia rosa. Analinda continuava a darsi da fare. Aveva attenzioni maniacali per i dettagli. Sentiva quello che doveva fare. In ogni momento. Era istinto. Voleva dire essere un animale di razza ed averne la coscienza. Analinda non era come le altre, veniva da un’altra parte del mare. Quella giusta, quella nuova. Aveva gli occhi di vetro e di una qualche pietra preziosa, ma V. non si volle arrischiare sul colore. Nel mulatto della sua pelle i contrasti tardavano, come ombre cinesi, apparivano a lampi, se ne andavano in polvere. Gli lasciavano poche parole da dire e la bocca secca. V. pestò lentamente sul freno e accostò a lato in una traversa di San Salvario all’altezza del mercato di piazza Madama Cristina, al posto di un vecchio disco bar avevano aperto un circolo ARCI che prometteva mostre d’arte e l’ingresso riservato ai soci. Il diciotto passò sui binari sputando uno schizzo d’argento quando incrociò le derivazioni elettriche, sotto alle pensiline del mercato avevano parcheggiato delle macchine per andare a mangiare un kebab da Horas. V. venne in silenzio ad occhi chiusi, lei strinse più forte e gli fece tremare le gambe. V. contò le contrazioni della prostata: nove. Un brivido gli scese fino al centro della schiena come una scossa. Quando finì la ragazza rimase con la testa adagiata sulle gambe dell’uomo. Lo guardava e sorrideva. Giocava un altro campionato. Poi con serenità prese a cantare un tango che se ne andava in discesa, o forse era un fado: “En el mundo habrá un lugar, para cada despertar. Un jardín de pan y de poesía”. Lui prese ad accarezzarle dolcemente la testa. Analinda faceva le fusa. Fuori un freddo cane. La pioggia sporcava tutto. Poco futuro per quella merda di paese e lei faceva le fusa. V. avrebbe anche ucciso. Per Analinda l’avrebbe fatto.
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