LIBRO I - PROLOGO

1761 Parole
LIBRO I Prologo Sfaccendato lettore, potrai credermi senza che te ne faccia giuramento, ch’io vorrei che questo mio libro, come figlio del mio intelletto, fosse il più bello, il più galante ed il più ragionevole che si sia mai potuto immaginare; ma non mi fu dato d’alterare l’ordine della natura secondo la quale ogni cosa ne produce delle altre soltanto simili a sé. Che poteva mai generare lo sterile e incolto mio ingegno, se non se la storia d’un figlio secco, grossolano, fantastico e pieno di pensieri, vari fra loro, né da alcun altro immaginati finora? E ben ciò si conviene a colui che fu generato in un carcere, dove ogni disagio domina, e dove ha propria sede ogni sorta di rumore malinconico. Il riposo, un luogo delizioso, l’amenità delle campagne, la serenità dei cieli, il mormorar delle fonti, la tranquillità dello spirito, sono cose efficacissime a render feconde le più sterili Muse, affinché diano alla luce parti che riempiano il mondo di meraviglia e di gioia. Avviene, talvolta, che un padre abbia un figliuolo deforme e senza alcuna grazia, e che l’amore gli metta agli occhi una benda, sicché non ne vede i difetti, anzi li ha per frutti di buon criterio e per qualità, e ne parla con gli amici come fossero indicatori di intelligenza e di grazia . Io però, benché sembri esser padre, sono padrino di don Chisciotte, non voglio né seguir la corrente, né porgerti suppliche, quasi con le lacrime agli occhi, come fanno gli altri, o lettore carissimo, affinché tu perdoni e dissimuli le mancanze che scorgerai in questo mio figlio. E ciò tanto maggiormente perché non gli appartieni come parente o amico, ed hai un’anima tua nel corpo tuo, ed il tuo libero arbitrio come ogni altro, e te ne stai in casa tua, della quale sei padrone come un principe dei suoi tributi, e ti è noto che si dice comunemente: sotto il mio mantello io ammazzo il re. Tutto ciò ti disobbliga e ti scioglie da ogni umano ricordo, e potrai spiegar sulla mia storia il tuo sentimento senza riserva, e senza timore d’essere condannato per biasimarla, o d’averne ricompensa se la celebrerai. Vorrei per altro, o lettor mio, offrirtela; pulita e nuda, senza l’ornamento di un prologo, e spoglia dell’innumerabile caterva dei soliti sonetti, epigrammi, o elogi che sogliono essere posti in fronte ai libri; e ti so dire che sebbene mi sia costato qualche travaglio il comporla, nulla mi diede tanto fastidio quanto il fare questa prefazione che vai leggendo. Più volte diedi di piglio alla penna per scriverla, e più volte mi cadde di mano per non sapere come darle principio. Standomi un giorno dubbioso con la carta davanti, la penna nell’orecchio, il gomito sul tavolino, e la mano alla guancia, pensando a quello che dovessi dire, ecco entrar d’improvviso un mio amico, uomo di garbo e di fino discernimento, il quale, vedendomi tutto assorto nei miei pensieri, me ne domandò la ragione. Io non gliela tenni celata, ma gli dissi che stavo studiando il prologo da mettere in fronte alla storia di don Chisciotte, e che vi trovavo tanta difficoltà, e che m’ero deliberato di non fare il prologo, e quindi anche di non far vedere la luce del giorno alle prodezze di un così nobile cavaliere. «Come volete voi», aggiunsi io, che non mi confonda il pensare a tutto ciò che ne dirà quell’antico legislatore che si chiama volgo, quando vedrà che, dopo così lungo tempo da che dormo nel silenzio della dimenticanza, ora che ho tanti anni in groppa, me ne esco fuori con una leggenda secca come un giunco marino, spoglia d’invenzione, misera di stile, scarsa di concetti, mancante di ogni erudizione e dottrina, senza postille al margine, e senz’annotazioni alla fine del libro, di cui vedo ricche le altre opere, sebbene favolose e profane, e zeppe di sentenze di Aristotele, di Platone, e di tutto lo sciame dei filosofi, onde ne consegue che restano meravigliati i lettori, e tengono gli autori nel più gran conto di dottrina, di erudizione, di eloquenza? Citando la divina Scrittura si fanno credere altrettanti santi Tommasi e nuovi Dottori della Chiesa, conservando in ciò un così ingegnoso decoro che in una riga ti rappresentano un innamorato perduto, e nell’altra ti fanno un sermoncino cristiano, ch’è una consolazione l’udirli o il leggerli! Deve essere spoglio di tutto ciò il mio libro, poiché non ho che da citare nel margine, o che annotare nel finale, né so di quali autori mi valga il comporlo; e così non posso affibbiarveli, come da tutti si pratica, per le lettere dell’abbiccì, cominciando con Aristotele, e terminando con Senofonte e Zoilo o Zeusi, benché l’uno sia stato un maldicente, l’altro un pittore. Ha pure, il libro mio, da mancare di sonetti al principio, almeno di quelli composti da duchi, marchesi, conti, vescovi, dame o poeti celebratissimi; benché se pregassi di ciò due o tre miei amici bottegai, io so che me li darebbero, e tali da non poter essere superati da quelli dei più celebri della nostra Spagna. Insomma, signore e amico mio», aggiunsi, «io mi risolvo a lasciar il signor don Chisciotte sepolto negli archivi della Mancia, finché il cielo non faccia comparire chi lo adorni delle tante qualità che gli mancano, trovandomi io incapace di rimediarvi, una volta attestata la mia insufficienza e la mia scarsa erudizione, ed anche perché sono naturalmente infingardo e lento nell’indagare autori che dicano quello che so dire da me medesimo senza la lor dettatura. Di qui ha origine la sospensione e l’umore in cui mi trovaste; e ben deve bastare per mettermi a tale stato tutto ciò che da me avete inteso». All’udir queste cose, il mio amico si diede una palmata nella fronte, proruppe in un alto scoppio di risate, e disse: «Per bacco, fratello, oggi mi levo da un inganno in cui son vissuto da che vi conosco; giacché vi ho tenuto sempre per uomo giudizioso e prudente in tutte le vostre azioni, ed ora m’accorgo, che ne siete lontano quanto il cielo dalla terra. Com’è mai possibile che cose di così poco momento e di così facile rimedio abbiano in voi tal portata da confondere e sviare un ingegno così maturo com’è il vostro, a cui così agevole riesce il togliere e superare molto maggiori difficoltà? Ciò deriva, in fede mia, non da mancanza di abilità, ma da infingardaggine, e da poco buon raziocinio. Volete la prova di ciò? State attento e vedrete come, in un aprire e chiuder d’occhio, io svento tutte le vostre difficoltà, e vengo a rimediare a tutte le mancanze dalle quali dite di essere tenuto sospeso e avvilito per modo che vi rifiutate di dare al mondo il vostro famosissimo don Chisciotte, lume e specchio di tutta la errante cavalleria». «Or via», lo interruppi sentendo le sue parole, «in qual modo pensate voi di riempire il vuoto del mio timore e di ridurre a chiarezza il caos della mia confusione?» Al che, egli aggiunse: «Quanto al primo imbarazzo in cui vi trovate a ragione dei sonetti, epigrammi ed elogi che mancano in fronte al vostro libro, e ch’è di mestieri che portino i nomi di personaggi gravi e titolati, è facile il rimediare. Prendetevi voi stesso la briga di comporli; poi battezzateli voi medesimo col nome che più vi piace, attribuendoli al prete Gianni dell’India od all’imperatore di Trebisonda, i quali so essere diffusa opinione che abbiano avuto il vanto di poeti celebratissimi. Che se ciò non è vero, e sorgesse per avventura qualche pedante o baccelliere, che mordendovi le calcagna impugnasse tale verità, non per questo a voi, convinto di menzogna, taglierebbero la mano che ha segnato nomi cotanto illustri. E quanto al citare in margine libri ed autori ai quali attribuir le sentenze e i detti che vi piacesse d’inserire nella vostra storia, basta che voi vi facciate piacere alcune sentenze che sapete a memoria, o che vi costi poca fatica il cercarle. Per esempio, trattando di libertà e schiavitù: Non bene pro toto libertas venditur auro; ed al margine citate Orazio, o chi l’ha detto. Se, invece, parlerete del potere della morte: Pallida mors æquo pulsat pede Pauperum tabernas regumque turres. Se dell’amicizia, o dell’amore che il Signore comanda di portare ai nemici, eccovi la divina Scrittura che vi somministra le parole di Dio stesso: Ego autem dico vobis: Diligite inimicos vestros. Trattando de’ cattivi pensieri, ricorrete al Vangelo: De corde exeunt cogitationes malæ. Se dell’incostanza degli amici, Catone vi somministrerà il suo distico: Donec eris felix, multos numerabis amicos; Tempora si fuerint nubila, solus eris. E latinizzando in tal maniera, od in tal altra, sarete tenuto per grammatico, ciò che procura, oggigiorno, non poco onore e guadagno. Per ciò che spetta alle annotazioni da porsi al fine del libro, potete sbarazzarvene a questo modo. Se nominate nella vostra opera qualche gigante, supponetelo il gigante Golia: questo solo (che poco vi costa) v’apre il campo ad un’ampia annotazione dicendo: Il Gigante Golia fu un Filisteo il quale venne ucciso con un gran colpo di pietra dal pastore Davide nella valle di Tèrebinto, secondo ciò che si legge nel libro dei Re nel capitolo ove vedrete che questo sta scritto. Per mostrarvi, poi, uomo erudito nelle umane lettere, ed anche cosmografo, fate in modo che nella vostra storia si nomini il fiume Tago, e qui si aprirà il campo ad un’altra famosa annotazione dicendo: Al fiume Tago diede il nome un re delle Spagne, nasce nel tal luogo, e muore nel mare Oceano, bagnando le mura della famosa città di Lisbona, e si crede abbia le arene d’oro, ecc. Dovendo parlar di ladroni, vi dirò la storia di tanti, ma celebrati dal maggior numero: che se tanto vi riuscirà di farlo, non avrete conseguito poco». Io me ne stavo ascoltando con profondo silenzio ciò che mi dicea l'amico, e tanto poterono sopra di me le sue ragioni che, senza altro dire, gliele menai tutte buone: anzi le feci servire di fondamento a questo prologo, nel quale riscontrerai, o delicato lettore, il retto discernimento dell’amico mio, e la buona ventura nell’essermi a questi tempi avvenuto in un così utile consigliere quando mi trovavo irrisoluto e indeciso. Tu n’avrai certo gran compiacenza nel leggere, così ingenua e così pura, la storia del famoso don Chisciotte della Mancia, il quale, per la fama che corre fra tutti gli abitanti del distretto del Campo di Montiello, fu l’innamorato più casto, ed il più valente cavaliere, che da tanti anni in qua comparisse in que’ dintorni; né io voglio esagerarti il servigio che ti fo nel darti a conoscere sì celebre e onorato campione. Bramo però d’incontrare il tuo gradimento per la conoscenza che ti farò fare anche del famoso Sancio Panza suo scudiere, nel quale, a mio avviso, troverai congiunte tutte le disgrazie scudierili che s’incontrano sparse nella caterva degli inutili libri di cavalleria. Dio ti conservi in salute, e non mi porre in dimenticanza. Sta’ sano.
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