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L'assalitore di fronte a noi lascia scoperto il torace per un istante; è l'ultima cosa che farà in questo scontro, pensiamo, mentre rilasciamo la nostra scarica di colpi.
«Ce l'hai fatta, ragazzino,» si intromettono i pensieri di Caleb. «Finalmente siamo entrambi nella testa di Haim.»
«Fin qui ci sono arrivato anch'io. Non pensi in ebraico, no?»
«No, infatti. Ora taci, cazzo, e lasciami vedere l'incontro.»
La scarica è come chiamiamo mentalmente questa rapida successione di pugni al plesso solare del nostro avversario. Facciamo un passo in avanti mentre colpiamo, rendendo molto più potente la forza dei nostri pugni. Ne contiamo venti prima che lui riesca a parare e a esibirsi in un simultaneo contrattacco.
Fuggevolmente impressionati dal modo in cui risparmia i movimenti, gli afferriamo il braccio e usiamo il suo stesso impeto per fargli perdere l'equilibrio. Cade a terra con un violento impatto e, prima che cerchi di farci cadere con lui, gli tiriamo un calcio alla mascella, sentendo lo scricchiolio delle ossa quando la parte esterna del nostro piede nudo gli raggiunge il viso. A quel punto lui smette di muoversi.
Starà bene, probabilmente. Un paio di costole fratturate e una mascella rotta sono un piccolo prezzo da pagare per l'opportunità di combattere contro di noi. Chiunque provasse una cosa simile al di fuori di un nostro modulo di allenamento non imparerebbe nulla. Semplicemente morirebbe.
Il modulo di allenamento è la nostra risposta alle forti pressioni da parte dei nostri amici della Shayetet, la Tredicesima Flottiglia della Marina israeliana. Sanno che abbiamo abbandonato da un pezzo il Krav Maga, lo stile di arte marziale sviluppato in Israele. Ciò che abbiamo sviluppato lo trascende, trascende ogni stile di combattimento che abbiamo mai incontrato.
Combattere in questi moduli è un compromesso. Nessun colpo mortale, nessun assalto all'inguine, nessuno muore nei moduli di combattimento. Un simile compromesso significa la perdita della maggior parte dello scopo originale, naturalmente. Questo stile è stato creato con un unico scopo in mente: uccidere il tuo avversario. Ora buona parte della nostra energia viene sprecata cercando di non usare questo stile per il motivo per cui è stato creato. Non uccidere il nostro avversario sembra innaturale, contrasta con tutto ciò per cui abbiamo lavorato durante la nostra vita. È un'imitazione vuota e superficiale di ciò che abbiamo concepito. Per nostra somma costernazione, nessun altro sembra curarsi di queste sottigliezze. Pretendono una scuola in cui i civili possano imparare per il loro personale divertimento, rifiutandosi di capire che è impossibile addolcire questo addestramento. Questo non è uno sport per civili, è una questione di vita o di morte. Qualunque cosa meno di quello disonora tutto il lavoro che abbiamo fatto, le vite che abbiamo preso nell'evoluzione del nostro unico stile di combattimento.
«Ha-mitnadev haba,» diciamo in ebraico, che io, Darren, capisco come 'prossimo volontario'.
Riconosciamo l'uomo che si fa avanti: Moni Levine, un famoso maestro di Krav Maga. Probabilmente vogliono che impari il nostro stile nella speranza che possa insegnarlo in futuro. Speriamo che in qualche modo la cosa funzioni, accoglieremmo con piacere qualsiasi opportunità per poter rimanere fuori da questa inutile faccenda dell'insegnamento.
Io, Darren, mi dissocio come ho fatto durante le altre Letture. Questa volta è diverso, naturalmente, visto che sento ancora Caleb qui dentro. Sento la sua eccitazione. Chiaramente apprezza lo stile di combattimento di Haim più di quanto faccia io.
«Non ti distrarre,» arriva il pensiero d Caleb, così mi lascio assorbire di nuovo dai ricordi di Haim.
«Azor, esh li maspik,» dice Moni dopo cinque minuti di attacchi brutali. Non sorprende che significhi 'fermo, per me basta così'.
Gli diciamo con cortesia che ha combattuto bene e che è benvenuto per un bis quando vorrà.
Entra l'avversario successivo, poi un altro. Devono essere dieci o più di fila. Nessuno di loro è una sfida. Questa è un'altra parte dell'addestramento che odiamo. Lottiamo in modo automatico, lasciando che i nostri pensieri si allontanino verso il viaggio imminente negli Stati Uniti. Siamo preoccupati che questa modalità di allenamento ci spinga a sviluppare abitudini mortali, come distrarci con pensieri inutili durante uno scontro...
Io, Darren, mi distacco di nuovo, solo per ritrovarmi con Caleb che mi convince mentalmente a cercare un altro ricordo recente dello stesso tipo. Così lo faccio. È quasi identico ai combattimenti precedenti, ma Caleb lo vuole sperimentare. E poi un altro. E un altro.
Lo facciamo più e più volte, rivivendo almeno una settimana, se non due o tre, di combattimenti continui, tanto che tutto comincia a confondersi.
«Non ce la faccio più,» penso rivolto a Caleb a un certo punto. La fatica che provo non è fisica, ma mentale. In qualche modo questo la rende più intensa e impossibile da ignorare. La psiche umana non è preparata per fare ciò che stiamo facendo ora, mi sento come se non avessi dormito per anni interi, come se non mi fossi riposato per millenni. Sto cominciando a dimenticare il tempo in cui non ero Haim. Non riesco a ricordare un momento in cui non ero impegnato in questo maledetto combattere.
«Va bene,» mi risponde lui. Provo un improvviso, enorme senso di perdita, come se l'intero universo fosse imploso.
Dopo qualche momento confuso, capisco. Caleb è uscito, sono qui da solo, non più parte dell'essere con le menti congiunte.
Non volendo passare un millisecondo in più del necessario nella testa di Haim, esco subito anch'io.
Sono di nuovo nella cucina di Haim e Orit nella Quiete. Guardo scioccato Haim, che è ancora congelato con quel sorriso da statua di cera rivolto alla sorella, congelata anche lei. Non sembra affatto pericoloso come ora so che può essere. In questo, è del tutto diverso da Caleb, che è sempre risultato pericoloso, con le sue maniere da duro e quel bagliore nello sguardo. E adesso che ho avuto uno scorcio dell'interno della folle mente di Caleb, so che è ancora più pericoloso di quello che sembra.
Cerco di non pensare troppo a fondo a ciò che ho appena sperimentato, ma è troppo tardi; le immagini violente mi attraversano la mente, e ne sono sopraffatto. Non sono i ricordi dei combattimenti infiniti di Haim che mi stanno facendo questo, ma i ricordi di Caleb. Le cose che ha fatto al Manipolatore sono ricordi inquietantemente freschi e si ripetono incessantemente nella mia testa. Mi siedo al tavolo della colazione su una sedia vuota accanto alla sorella di Haim, e cerco di fare dei respiri profondi. Se non fossi nella Quiete, penso che mi sentirei male.
«Va tutto bene, ragazzino?» chiede Caleb, in tono sommesso.
«No,» gli rispondo onestamente. «Non va bene per niente.»
«Per ciò che vale, non farò mai più quello,» mi dice, per mio sommo sollievo. «La tua mente è troppo deviata.»
«Cosa? La mia è troppo deviata?» dico, oltraggiato, mentre per un momento dimentico la mia stanchezza. Che faccia di bronzo, non sono io che torturo e uccido le persone. Non sono io che ho ricevuto un qualche tipo di strano piacere masochista in un addestramento brutale. Non ho chiesto a nessuno di Leggere un assassino, così da poter diventare un assassino migliore io stesso.
«Sei uno strano tipo.» Mi rivolge un ghigno. «Ma non è solo per quello. Ho davvero odiato la sensazione iniziale, quando le nostre menti si sono Unite.»
«Pensavo che l'avessi già fatto, prima.»
Per una volta mi guarda seriamente. «Questo è stato molto diverso dall'altra volta che l'ho fatto. Troppo strano, davvero troppo profondo. Non abbiamo rivissuto le memorie l'uno dell'altro allo stesso modo che mi è successo prima. Questo è stato quasi...» Distoglie lo sguardo, come se fosse imbarazzato per le parole che sta per dire ad alta voce. «Non so, quasi un'esperienza religiosa. Scusa, ragazzino. È stata una cosa troppo profonda per me.»
Uhm, religiosa. Questo è un punto di vista interessante da considerare. Non l'avrei mai chiamata così, ma ora che lo ha detto lui posso vedere come la cosa abbia senso. Non che io abbia mai sperimentato qualcosa di profondamente religioso, a dire il vero, essendo cresciuto sotto la cura di due madri laiche. Avrei usato le parole trascendentale, o allucinato, per descrivere ciò che è successo.
«Concordo appieno,» gli dico. «Non voglio farlo mai più nemmeno io.» Soprattutto con una mente così fuori di testa come la tua, penso, ma non lo dico.
«E non parleremo di ciò che abbiamo visto lì dentro. Deve rimanere solo tra noi.» Mi guarda seriamente.
«Ma certo, è chiaro,» replico, forse un po' troppo ansiosamente. Non so l'esatto elenco di cose che ha visto del mio passato, ma non ho dubbi che abbia visto più di quegli scorci imbarazzanti che abbiamo condiviso. Per fortuna, sembra non aver colto il ricordo che volevo nascondere di più, ciò che è successo il giorno prima, altrimenti starei già subendo un destino simile a quello del Manipolatore dei suoi ricordi. Il solo pensiero mi riempie di terrore.
«Devi essere capace di una Profondità della Dimensione della Mente maggiore di quanto sospettassi,» osserva Caleb. «Quella Profondità determina quanto le menti si colleghino durante questa esperienza. Dev'essere per quello che è stata così intensa.»
Digerisco questa informazione. Se ciò che dice è vero, allora quest'esperienza sarà più potente con praticamente chiunque altro, visto che la Profondità di Caleb sembra non sia particolarmente elevata. Devo stare attento se mai ci proverò di nuovo, non che io abbia intenzione di farlo.
«Te la senti di tornare indietro?» mi chiede, interrompendo i miei pensieri.
«Credo di sì. Di certo non vedo l'utilità di rimanere seduti qui,» gli rispondo. «Almeno hai imparato lo stile di combattimento di Haim? Odierei se avessimo fatto tutto per niente.»
«Oh, in quel senso è stato un enorme successo, ha superato ogni mia aspettativa. È davvero straordinario. Un giorno andrò a fargli visita nel mondo reale e in qualche modo lo convincerò a lottare con me, come ha fatto con quelle persone nei suoi ricordi. Naturalmente solo dopo che avrò pensato a qualche contromossa per i suoi attacchi migliori,» dice lui, sogghignando.
«Come funziona?» mi domando ad alta voce. «Imparare durante la Lettura? Ho imparato qualcosa anch'io?»
«Aiuterà me più di te. Una base di conoscenza pratica gioca un ruolo importante. Nel mio caso, conosco già il Krav Maga, l'Aikido, il Keysi, la kickboxing e molti altri stili che hanno chiaramente influenzato quello di Haim. Grazie a quella conoscenza preliminare, sarò in grado di appropriarmi di buona parte di ciò che abbiamo sperimentato entrambi a un livello più diretto e consapevole. Ma nel tuo caso, non ne ho idea. Dovresti aver imparato qualcosa, ma non so quanto. Ed è un bell'azzardo pensare che tu sappia o meno usare nella pratica ciò che ti è rimasto in mente.»
E prima che finisca di parlare, è in piedi accanto a me, impegnato a tirarmi un pugno in faccia.
Ciò che faccio a quel punto mi sorprende quando ci penso in un momento successivo. Salto già dalla sedia e la lancio a Caleb poi, senza alcun pensiero consapevole, il mio gomito ferma la sua mano destra a metà del pugno. L'impatto mi fa un male d'inferno, ma l'alternativa sarebbe stata la mia faccia. Ciò che è ancora più sorprendente è che la mia mano sinistra cerchi di colpirlo in pieno petto. Ricordo di aver fatto questo come Haim, e mi rendo conto che è la sua mossa tipica, il pugno al plesso solare.
Caleb riceve il colpo alzando un sopracciglio come risposta. Questo avrebbe dovuto fare male, penso fuggevolmente. Ma in effetti la muscolatura addominale di alcune persone può ridurre l'impatto di quel colpo. Il piccolo brandello d'informazione mi raggiunge da non so bene dove. Non posso soffermarmici troppo perché Caleb mi tira un pugno, che riesco a bloccare, e poi vedo un altro movimento sfocato. Prima che io possa capire cosa sia successo, un dolore orribile mi esplode all'inguine.
Il mondo intero diventa dolore. Non riesco a respirare e cado a terra, tenendomi le palle.
«Mi dispiace,» dice Caleb. «Hai reagito così bene che ho provato a spingerti un po' oltre. Non pensavo che saresti riuscito a non parare un calcio tanto lento e ovvio. Una mossa che è una pietra miliare dello stile di Haim. Lo devi aver fatto tu stesso almeno un migliaio di volte, nella sua testa.»
Sta sogghignando mentre lo dice, il bastardo.
Se avessi una pistola in mano, gli sparerei dritto nella sua faccia compiaciuta. Il dolore è diverso da qualsiasi cosa io abbia mai sperimentato. Il calcio può anche essere stato 'lento', ma non importa, è una zona terribilmente sensibile. Cerco di riprendere il controllo sul mio respiro. «Tu. Mi. Hai. Letteralmente. Rotto. Le. Palle,» riesco a dire con una certa difficoltà.
«Sarai come nuovo non appena torniamo ai nostri corpi,» mi risponde, senza la minima traccia di pentimento.
«Vaffanculo.» Anche alle mie stesse orecchie, suono come un ragazzino che non sa perdere in una rissa a scuola.
«Vieni qui, appoggiati a me mentre usciamo,» mi dice, offrendomi la mano. Lo lascio aspettare per un paio di minuti in quella strana posa con il braccio proteso e solo quando il dolore diminuisce un po', accetto la sua mano.
A stento capace di camminare, esco da casa della sorella di Haim. Non appena sono accanto al me stesso congelato, mi afferro il braccio per uscire dalla Quiete.