1. Fatalità

1540 Parole
Mare di Sardegna, Italia. Regina si infilò in fretta in un crepaccio tra due rocce, nascosta alla vista. Il cuore le martellava nel petto con una forza assordante. Purtroppo, il crepaccio era pieno di ricci di mare, e le spine le ferirono la spalla. Il dolore acuto si aggiunse alla sua angoscia, ma lei rimase immobile, trattenendo il fiato. Il suo unico obiettivo era di restare nell’ombra. Si affacciò quel tanto che bastava per scrutare il mare attraverso un piccolo spiraglio, sbarrando gli occhi. Nonostante avesse nuotato il più velocemente possibile, non era sicura di essere sfuggita a quel demonio biondo. Dopo lunghi istanti, sentì il rombo di un motore che si avvicinava. Un brivido di terrore le attraversò la schiena. Si ritrasse più in profondità nel crepaccio, trattenendo il respiro. Soffocò un grido di dolore quando la sua fronte urtò contro la roccia tagliente, ed un liquido caldo le colò tra i capelli castani. «Accidenti!» Lacrime di frustrazione le rigavano il viso. Attraverso una fessura di luce, intravide un motoscafo guidato dal giovane che l’aveva minacciata. Trattenne il respiro. «Oh Dio! Ti prego, fa’ che non mi noti!» L’uomo aveva un’espressione furiosa e fece diversi giri per controllare ogni angolo del mare intorno a lui. Regina chiuse gli occhi e voltò la testa, come se questo potesse renderla invisibile. 'Non può vedermi qui. Stai calma, Regina. Forse se ne andrà e si dimenticherà di me.' Dopo alcuni interminabili giri, l’uomo si ritirò dietro il promontorio. Regina rimase ferma lì ancora per diverso tempo, per sicurezza. Le tornò in mente quel detto: «Nessuna buona azione resta impunita». L’aveva sempre considerato un detto stupido, ma forse era vero. Mai avrebbe pensato di vivere un momento del genere. Come diavolo ci era finita in quella situazione? A pensarci bene, la giornata era iniziata male fin dall’inizio... Quella mattina La luce dell’alba penetrò dalla finestra della piccola camera da letto, e finì sugli occhi chiusi di Regina, che dormiva sul piano inferiore di un letto a castello. La giovane era esausta dopo una serata passata a lavorare in uno dei tanti ristoranti del suo piccolo villaggio sul mare. Il villaggio aveva appena mille abitanti, ma attirava numerosi turisti d’estate, l’unica stagione in cui c’era lavoro per tutti, persino per il suo pigro fratello maggiore che dormiva nel letto sopra il suo. A diciannove anni condivideva ancora una stanza con lui. I suoi genitori non potevano permettersi una casa più grande, e lei sapeva che le sue probabilità di proseguire gli studi erano poche. Regina aveva frequentato la scuola alberghiera locale. Non era la sua massima aspirazione, ma il turismo era l'unica entrata per gli abitanti del suo paese, e poi le piaceva cucinare. Lei era fatta così, si accontentava di essere grata per ciò che aveva, piuttosto che rimuginare su quello che non poteva ottenere. Sorrideva sempre, illuminando ogni stanza in cui entrava con il suo buonumore. Anche durante il sogno sorrideva. Sognava di essere promossa a barista, poi a cameriera, poi a cuoca, e infine chef stellata Michelin. Allora sì che sarebbero arrivati i soldi, tanti soldi... Strizzò gli occhi, infastidita, e si voltò dall’altra parte, con un sospiro. Era così stanca che ci voleva ben altro per svegliarla che un semplice raggio di sole. Forse un colpo di cannone, o un terremoto, o... “Bau! Bau Bau!” Un piccolo spitz entrò a tutta birra in camera da letto. Quel cagnolino era un mistero della fisica. Come poteva un essere così piccolo abbaiare così forte? “O no, Mint! Non adesso.” Mugugnò Regina, mettendosi il cuscino sopra la testa. “Bau! Bau! Bau!” Il cagnetto iniziò a saltellare, ma non aveva le zampe abbastanza lunghe per saltare sul materasso. “Aargh! Mint, te lo giuro, se non la smetti ti regalo a zia Quinta.” Si lamentò. Zia Quinta era sorda, non avrebbe potuto lamentarsi del rumore. Regina alzò lo sguardo verso il letto superiore e chiamò: “Leone! Ehi, Leone!” Nessuna risposta. Suo fratello aveva probabilmente le cuffiette nelle orecchie. “Leone!” Regina diede un calcio alla rete del materasso sopra di lei. “Cosa c’è!” Rispose suo fratello, seccato. “Porta fuori Mint, deve fare la pipì.” “All’alba? Non credo proprio. Sei già sveglia, no? Portalo tu.” Scocciata, Regina si mise a sedere, il sonno ormai era svanito. “Cavolo, Leone! Perché devo portarlo sempre fuori io la mattina? Il cane è anche tuo!” “Te lo regalo. Io sono tornato tardissimo ieri notte, ho sonno…” “Sì, a divertirti con gli amici! Io ho lavato piatti al ristorante fino all’una!” Mentre i due ragazzi discutevano, dall’altra stanza arrivò la voce tonante del loro padre. “Fate stare zitto quel cane o sono guai!” Regina, stizzita, cominciò a tempestare di pugni il materasso del letto sopra il suo. ‘Eh no! Tocca a lui e lo porterà fuori lui!’ “Sei una vera rompiscatole.” Disse Leone, scendendo dal letto. “Vieni Mint!” Il piccolo spitz trotterellò felice dietro a suo fratello. “Ooh! Grazie!” Regina era soddisfatta. Finalmente si era fatta rispettare! Si tirò indietro i lunghi capelli castani ed appoggiò la testa sul cuscino, mettendosi comoda. Ma si stupì nel sentire suo fratello rientrare subito in camera. “Ehi, e il cane?” “Gli ho aperto la porta e l’ho fatto uscire.” Lei spalancò gli occhi verdi. “Cosa? Ma è pericoloso! Che razza di pigro che sei!” “Poi torna da solo, vedrai,” disse lui, salendo la scala e ributtandosi pesantemente sul letto. Regina richiuse gli occhi, ma una serie di “E se?” la preoccupava. Non poteva lasciare Mint a vagare da solo. Con un sospiro di frustrazione si alzò, bofonchiando contro l’irresponsabilità di suo fratello, si vestì velocemente ed uscì. “Mint? Qui, bello!” Chiamò piano il cane; erano le sei di mattina e non voleva svegliare i vicini. Il piccolo musetto peloso spuntò dai cespugli della campagna dall’altra parte della strada, poi le corse incontro. “Piano, Mint, attento alla strada!” Il cagnolino le fece le feste, poi corse di nuovo verso la campagna, proprio mentre un’auto si avvicinava pericolosamente. Allarmata, Regina richiamò il cagnolino. Mint, che aveva ormai attraversato la strada, corse indietro al suo richiamo… Screeetch! Lo stridìo dei freni dell’auto ruppe il silenzio, seguito da guaiti di dolore. Il conducente non era riuscito a evitare l’impatto. Con il cuore in gola, Regina corse verso il cane, che era stato scaraventato più lontano sull’asfalto. «Criminale! Assassino! L’hai investito! Non si deve correre su questa strada!» urlò. L’uomo scese dall’auto, portandosi le mani alla testa, disperato. «Oh Dio! Mi dispiace tanto, signorina! Non ho visto il cane... è sbucato dal nulla! Giuro che non stavo correndo! Non ho fatto in tempo a frenare...» Regina si rese conto che il conducente non aveva colpa. Il suo piccolo aveva rischiato di essere investito più volte, e nonostante i suoi rimproveri, continuava a correre in strada. Pianse lacrime calde, accarezzando il corpo senza vita. A malapena sentì l’uomo offrirsi di risarcirla. Scosse la testa, incapace di approfittare della perdita del suo cane, nonostante la sua difficile situazione economica. Regina raccolse il corpicino e lo portò a casa. Svegliò la famiglia, che si radunò intorno a lei in lutto. Suo padre si arrabbiò. «Sei stupida! Dovevi prendere i dati di quel guidatore!» Regina abbassò la testa e guardò Mint, tra le sue braccia. Stava già pensando di seppellirlo quando il cane si mosse e le leccò il viso. Un’ondata di sollievo la travolse. «Oh Mint! Eri solo svenuto? Oh Dio, è fantastico!» Suo padre prese il cane e lo esaminò. «Guarda qui, ha la coda rotta. E ora chi pagherà le spese mediche? È tutta colpa tua!» Puntò minacciosamente il dito contro Regina. La madre intervenne. «Lasciala stare, poverina. Sta tremando! Tesoro, vai a farti una nuotata.» Suo padre abbaiò. «La difendi sempre! Così non crescerà mai!» Regina colse al volo la via di fuga offerta dalla madre. Uscire di casa era la cosa migliore, dato l’umore del padre. Arrivata alla sua spiaggia preferita, si legò i lunghi capelli castani e si tuffò. Il mare riusciva sempre a calmarla; la freschezza e il suono delle onde, il ritmo del suo respiro e del battito del suo cuore... Le piaceva nuotare per ore, coprendo grandi distanze ed esplorando grotte nascoste e piccole spiagge che nessuno poteva raggiungere a piedi. Avendo una famiglia numerosa e rumorosa e una casa piccola, apprezzava quei momenti di solitudine. A volte si godeva la spiaggia da sola. Altre volte, accompagnava suo fratello Leone e i suoi amici. Andava d’accordo con i ragazzi, erano come fratelli. Facendo attenzione a non allontanarsi troppo dalla riva a causa dei numerosi motoscafi e gommoni che attraversavano il mare, girò un promontorio. E lì, davanti a lei, vide stagliarsi un enorme yacht. 'Wow, che yacht magnifico! Ospiterà almeno 200 persone! Chissà com’è dentro? E' super lussuoso. Deve appartenere a qualcuno incredibilmente ricco...' Mentre ammirava la barca, rimase scioccata nel vedere un ragazzino cadere in acqua da uno dei ponti superiori. Dopo alcuni istanti, il bambino riemerse, lottando per restare a galla: «HELP! HELP ME!», urlò.
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