“Va be', non insisto. Hai la libertà di rovinarti le giornate come meglio credi. Tieni, questo è il suo numero” sbottò spazientita Arianna ostentando disapprovazione mentre le allungava il suo cellulare._“Ah, dimenticavo, mi sembra di aver capito che questa sera dia una festa nel capannone dei suoi. Digli che mi conosci e vedrai che ti farà entrare senza fare troppe storie.”
Irene esultò.
“Grazie mille! Dov’è il posto?”
“A Limidi, dove comincia la tangenziale che va verso Modena. Portati qualcuno, non mi sembra il caso che tu vada sola.”
Un clacson proveniente dalla strada suonò con veemenza.
“È arrivato Lapo, se hai bisogno, chiamami al cellulare o sul numero di casa di mio fratello, stasera rimango là a dormire.”
Irene annuì e seguì Arianna al piano di sotto.
Una volta fuori, la ragazza salutò l’amica e salì sul Peugeot di Lapo. Un bacio tiepido, di cortesia, poi voltò lo sguardo verso casa sua: le era sempre piaciuto il colore giallo spento delle pareti esterne.
Notò che la madre aveva messo dei nuovi gerani sul terrazzo della mansarda e su ogni finestra. La simmetria del disegno, unito ai colori sgargianti, era allucinante, quasi sgradevole nella sua perfezione.
Lapo diede gas al motore, grattò il cambio nell’ingranare la prima, e l’auto si allontanò.
~
La famiglia di Lapo viveva in una graziosa villetta a schiera di due piani, appena fuori Carpi. Al primo piano c’erano i genitori, due tranquilli neo pensionati insolitamente festaioli, mentre il secondo era occupato dal figliol prodigo. A dirla tutta, fino all’anno prima, l’appartamento di sotto era del nonno di Lapo, ma dopo la sua morte i genitori avevano deciso di traslocare per lasciare al figlio l’appartamento in pompa magna.
Lapo si era diplomato nel 2004 all’Istituto Tecnico e aveva deciso di proseguire gli studi all’università. In pochi avrebbero scommesso sul suo successo, specie in una facoltà competitiva come quella di Ingegneria Informatica, e fino a quel momento il nostro Lapo che non era esattamente l’emblema dello studente modello, non aveva fatto nulla per smentirli.
Per placare i sensi di colpa di una scelta così azzardata, Lapo aveva trovato lavoro come commesso alla Ricordi Mediastore, nel centro di Modena. Lavorava sodo e sembrava gli piacesse interagire con la clientela, anche se tra i suoi amici era il meno interessato alla musica (anzi, diciamo pure che di musica non ci capiva un’acca).
Arianna e Lapo entrarono in casa e posarono le giacche sull’attaccapanni.
“Vuoi qualcosa da mangiare?” le chiese.
“No, grazie.”
“Però berrei volentieri qualcosa di fresco” aggiunse.
Lapo prese dal frigo del succo d’arancia e gliene versò un po’ nel bicchiere.
“Se ti va, possiamo guardare un film prima di dormire” propose lui.
Arianna ci pensò su, in realtà aveva solo voglia di tornare a casa e fiondarsi a letto.
“Ok” rispose alla fine con un tono a metà tra lo sconsolato e il noncurante.
Il livello di entusiasmo della coppia, quella sera, era davvero alle stelle.
“Va bene una commedia recente o preferisci vedere un classico?”
Era incredibile come Lapo, dopo tanti mesi trascorsi assieme a lei, non avesse ancora capito quali fossero i suoi gusti e non solo in termini di film.
“Fai tu” rispose lapidaria lei. “I tuoi sono via stasera?”
“Sì, come ogni sabato” rispose senza aggiungere altro.
Arianna sopportava malvolentieri i genitori di Lapo. Abitavano al piano di sotto, ma era come averli sempre tra i piedi. Soprattutto la madre, sempre pronta a ficcanasare non appena udiva i passi di Arianna lungo la rampa di scale. Se poi era in vena, correva di sopra e, adducendo scuse improbabili, si piantava lì per ore. La ragazza sospettava che lo facesse apposta per infastidirla. Di certo sapeva che quella donna non nutriva una gran simpatia nei suoi confronti e la cosa era reciproca; un pomeriggio, rimasta in camera di Lapo, aveva ascoltato la conversazione tra lui e la madre nella cucina adiacente.
“Lapo, pulcino, basta con questo tira e molla, non credo che lei ti meriti e poi pensa al bell’esempio di sua madre, risposata di fresco a pochi mesi dal divorzio. Tale madre tale figlia, caro.”
Imbarazzato, sapendo che Arianna era in camera a origliare, il ragazzo non aveva saputo risponderle a tono.
Quel che infastidiva la ragazza non era tanto sapere che Rosa (questo il suo nome) s’era fatta di lei un’idea sbagliata, quanto constatare come il figlio non fosse in grado di prendere le difese della sua ragazza davanti alla madre. Quasi era arrivata a credere che lui, sotto sotto, le desse ragione.
Lapo inserì il DVD di Top Gun nel lettore e saltellò verso il divano, per accovacciarsi accanto a lei. Dopo nemmeno venti minuti dall’inizio del film, il rumore sinistro di una chiave che girava nella serratura li fece sussultare.
Rosa si materializzò davanti a loro.
“Arianna, tesoro, ci sei anche tu!? Ero passata per augurare la buonanotte al mio Lapo” iniziò a chiocciare.
“Salve, Rosa” la salutò Arianna.
La madre corse a baciare il figlio sulla fronte.
“Cribbio! Sei molto caldo, pulcino mio. Ti senti male? Forse hai la febbre. Hai messo la sciarpa e il berretto stamattina per andare al lavoro?” sbraitò, quasi in preda all’isteria.
“Mamma, tranquilla, sto bene” rispose lui imbarazzato.
“No, non mi fido. Tu mi dici così solo per farmi stare tranquilla, ma io ti conosco fin troppo bene.”
Agli occhi di Arianna e di chiunque dotato di buon senso, la scena aveva abbondantemente superato la soglia del ridicolo.
La ragazza sarebbe voluta soltanto sparire o scavarsi un buco per sotterrarsi e non assistere a quella sceneggiata.
“Arianna, corri subito a prendere il termometro nel bagno! Veloce!” le ordinò Rosa senza un minimo di gentilezza.
Indecisa se farsi una grassa risata o lanciare un’occhiata minacciosa alla megera, Arianna non sapeva come reagire. Dentro ribolliva di rabbia. Odiava che qualcuno le impartisse ordini, soprattutto se a farlo era quella donna. Alla fine optò per una terza soluzione: obbedire.
“Mamma, ti prego…” cercò di bloccare sul nascere quella che a breve sarebbe diventata una tragedia per nulla.
“Ah, ma stavate guardando un film?” lo interruppe la mammina.
Arianna tornò con il termometro.
“Oh no, gioia, non ne ho più bisogno. Guardalo, sta benissimo!”
Arianna la gelò con lo sguardo.
“Scusate, vi lascio soli” disse alla fine la signora e Arianna pensò che era pur ora che la megera li lasciasse in pace. Ma, ahimè, aveva gioito troppo presto.
“Top Gun?! Adoro quel film! Era il preferito mio e di tuo padre quando eravamo giovani!” strillò rivolgendosi a Lapo. Il petto le palpitava di gioia. “Ti ho mai raccontato di quando andammo a vederlo al cinema e del freddo che faceva quella sera e di come alla fine la sala era così piena che...”
“… Che foste costretti a sedervi sul pavimento, in un angolo appena davanti alla primissima fila, a guardare l’intero film a testa in su, così da farvi venire il torcicollo? Sì, mamma. Mi pare che tu mi abbia accennato qualcosa al riguardo.”
Rosa stava per sbottare, ma contò mentalmente fino a cinque, facendo respiri profondi, e si ricompose. Di nuovo sorridente, si sedette sul divano proprio in mezzo ai due ragazzi. Un ipotetico osservatore avrebbe concluso che il quadretto riassumeva in toto le dinamiche della loro relazione.
“Bella questa scena” disse lei sottovoce. “È la parte in cui lui incontra la sua Charlie” anticipò la battuta svelando ciò che sarebbe accaduto.
Arianna alzò gli occhi al soffitto, alla ricerca di un cielo che si negava. Lapo si tormentava i capelli con le dita, lo sguardo perso tra le venature del marmo che pulsavano sotto le sue scarpe.
Continuarono a sorbirsi il film con Rosa che, a ogni cambio di scena, li sommergeva di commenti indesiderati e fastidiosi.
“Oh, cara, è struggente… l’amico marines che muore in volo, guarda!”
Arianna voleva letteralmente sparire nel nulla, ma non senza prima averla uccisa. Passò in rassegna una decina di possibili morti accidentali alle quali Rosa sarebbe potuta andare incontro, ma alla fine desistette, non era il caso di macchiarsi di un reato così grave, forse le bastavano un paio di tappi per le orecchie o fingere uno svenimento improvviso.
“Guarda! E guardaaa!”
Perché non sveniva? Perché?
~
Irene era nervosa, non sapeva proprio cosa le fosse preso quella sera.
Dal finestrino mezzo aperto dell’Audi di sua madre, avvertì la minacciosa cassa in 4/4 risuonare da lontano. Arrivata nei pressi del capannone, salutò la madre e uscì dall’auto. Era sola quella sera.
Camminò fino a raggiungere l’entrata, dove si trovò davanti a un uomo molto robusto e tozzo che la bloccò: “Dove credi di andare?” le chiese con tono minaccioso.
“Salve, ecco... sono qui per la festa di Alex” farfugliò lei.
L’uomo la fissò incredulo. Irene aveva indosso un insolito vestito verde lungo sotto il ginocchio e ai piedi delle ballerine nere.
“Aspettami qui, torno subito” disse allontanandosi.
Irene si guardò intorno e notò, alla sua destra, alcune ragazze, di sicuro alticce, che ridevano rumorosamente. Alla sua sinistra, invece, vide un ragazzo che fumava m*******a vicino a un grosso cespuglio.
Poi ecco il buttafuori ritornare insieme a un ragazzo: era Alex.
Un brivido le passò lungo la schiena e, senza neanche accorgersene, Irene si ritrovò a sistemarsi la gonna in modo da non farla sembrare troppo corta.
“Scusa, tu chi saresti?” chiese Alex, visibilmente fatto.
“Sono Irene, un’amica di…”
“Guarda, mettiamola così: non puoi entrare senza il mio invito speciale o senza una raccomandazione, ti è chiaro questo?” la interruppe lui.
Irene esitò per un secondo che le parve infinito, poi cercò di spiegare: “Aspetta, forse non sai che mi manda una tua…”
“Ok, senti, ora devo andare” concluse.
“Riaccompagnala fuori” ordinò poi all’omaccione.
Il buttafuori, per nulla garbato, l’afferrò per un braccio e l’accompagnò verso il parcheggio, infine rientrò.
Il freddo quella sera era insopportabile. Per qualche minuto, Irene contemplò il suo respiro affannoso disegnare buffe nuvolette di vapore nella notte. Poi, delusa e al tempo stesso scioccata dal comportamento arrogante di Alex, estrasse il cellulare dalla borsa e digitò, con le dita ancora tremanti, il numero di Arianna. Non voleva che tutto finisse così, per una banale incomprensione.
“Pronto, Ari? Ti prego, raggiungimi subito, è successo un casino” fu tutto quello che riuscì a dire.
Irene raggiunse un livello di nevrastenia preoccupante. Agguantò il pacchetto di sigarette che teneva nella borsetta e se ne accese una. Come una lucciola arancione, la sigaretta brillava a intermittenza ogni volta che lei faceva un tiro: una volta, due, tre volte. Poi la morte, anzitempo e senza alcun preavviso, quando il mozzicone toccò terra.
Mezz’ora più tardi il Peugeot di Lapo varcò la soglia del parcheggio.
Irene vide Arianna uscire in tutta fretta e andarle incontro.
“Ma si può sapere cos’è successo?!” sbraitò contro l’amica.
“Quello stronzo non vuole farmi entrare. Non mi era successa una cosa simile neanche all’Hollywood di Milano! Ho provato a dirgli che ti conoscevo, ma non mi ha lasciato parlare” piagnucolò Irene.
Arianna si mise le mani nei capelli, infuriata per come si era comportato Alex e per la brutta piega che aveva preso fin dall’inizio quella serata.
Corse (per quanto un tacco 12 le consentisse di correre) verso l’entrata.
“Scusa” disse il buttafuori fermandola, “non puoi entrare senza pass.”
Arianna esplose: “Sai dove te lo puoi mettere il tuo pass?! Sono un’amica dell’idiota che ha organizzato questa festa per mentecatti, perciò fatti da parte o telefono immediatamente alla polizia denunciandovi per rumori molesti e schiamazzi notturni.”
L’energumeno, confuso e senza protestare, si spostò per farla passare.
Arianna era fatta così, non era particolarmente litigiosa, ma bastava che qualcosa andasse storto nella sua quotidianità per farle perdere subito il controllo.
Appena entrata, un agguerrito battaglione minimal-techno dichiarò guerra ai suoi padiglioni auricolari. Si guardò in giro, cercando di individuare Alex tra la folla che ballava e si dimenava senza sosta, esaltata dalla musica. Lo vide, era (come spesso accade) assieme a una ragazza.
Arianna andò loro incontro.
“Ehi tu!” gridò alla tipa abbracciata ad Alex.
“Chi sei?” chiese questa.
“Togliti” ordinò Arianna. La ragazza stava per ribattere a tono, ma Ari la precedette: “Sei sorda, per caso?! Ho detto che devi toglierti e vedi di farlo alla svelta!”
Messa KO, la bionda ossigenata e dalla carnagione che dopo quella sfuriata tendeva al paonazzo, rivolse una rapida occhiata ad Alex e tolse il disturbo.
Lui, che non aveva riconosciuto subito Arianna, le mise un braccio sopra le spalle.
“Wow, guarda chi si vede! A cosa devo l’onore?”
La ragazza, stizzita, si tolse di dosso in un nanosecondo quel bicipite palestrato.
“Senti, caro il mio demente, non ho proprio voglia della tua pseudo-simpatia in questo momento. Vieni, cerchiamo un altro posto per parlare, possibilmente dove non ci siano questi contorsionisti ubriachi.”
Trascinò a forza Alex in mezzo alla folla fino a raggiungere uno stanzino poco distante da lì.
“Perché hai trattato la mia amica in quel modo? Non l’hai nemmeno lasciata parlare!” gridò Arianna.
“Calma! Innanzitutto abbassa il volume. Ti sei voluta allontanare dal casino_per parlarmi e poi ti metti a strillare?! E comunque di chi stai parlando?”
“La ragazza che non hai nemmeno voluto far entrare!”
“Ah, quella mentecatta dai capelli rossi? Non le avrei dato neanche due lire” tagliò corto lui.
Arianna lo guardò fisso nelle pupille dilatate.
“Si chiama Irene” continuò lei. “Ora tu esci da questo sgabuzzino, attraversi la pista da ballo, superi il bar, raggiungi il parcheggio e le vai a chiedere scusa, siamo intesi” gli ordinò Arianna.
“Ma dai, Ari, perché devi essere così melodrammatica?”
“Muoviti!”
“Cazzo, che modi, però! Sempre agitata, sempre tesa..._nel caso ti fosse sfuggito, hanno inventato le tisane rilassanti e pure gli ansiolitici” sdrammatizzò l’amico.
Camminarono a passo svelto fino all’uscita e Alex, non appena vide Irene, andò a scusarsi.
“Sorry, credevo fossi l’ennesima bagascia che voleva imbucarsi alla festa” disse brillo e un po’ fatto, con la grazia di un ippopotamo.
Arianna, spazientita, gli diede una gomitata nel fianco.
“Ehm, volevo dire che non sono contro le persone che s’imbucano alle feste, ma in questa zona non possiamo fare tanto casino e ho l’ordine di far entrar solo un certo numero di persone…” ridacchiò.
Irene lo fissò confusa.
Alex odiava quei silenzi imbarazzanti. Preso da un impulso irrefrenabile, le mise le mani sulle spalle, la tirò a sé e le infilò la sua lingua avida in bocca.
Arianna non credeva ai suoi occhi: una scena da teen-movie girata live proprio davanti a lei, quasi che la sua vita si fosse improvvisamente trasformata in uno spin-off di Dawson’s Creek.
Un gruppo di ragazzi appostato nelle vicinanze commentò il tutto con fischi e risatine.
“Vuoi il mio numero?” chiese lui, staccando la sua bocca da quella della ragazza.
“C-ce l'ho già…” rispose Irene balbettando, ancora incredula.
“Ottimo, scrivimi.”
Alex lasciò la presa e, dopo aver salutato Arianna alzando il dito medio, rientrò alla festa.
“Mi ha baciata!” gridó l’amica al settimo cielo.
Arianna restò zitta. Alex doveva aver alzato troppo il gomito quella sera, e magari qualche pasticca aveva esacerbato il tutto.
Vide Lapo nel parcheggio che l’aspettava.
“Devo proprio andare…” disse.
“Aspetta! Ti prego, Arianna, dammi un passaggio!”
Arianna non seppe dire di no.
Le due amiche entrarono in auto, Lapo riuscì di nuovo a grattare il cambio nell’ingranare la prima, e il trio si diresse a tutta velocità verso Carpi.