Beth entra e mi porta il pranzo. Mi porta anche dei vestiti, ripiegati l’uno sull’altro.
Sono contenta. Ho indossato la vestaglia tutta la mattina e mi piacerebbe vestirmi normalmente.
Quando mette i vestiti sul comò, penso di nuovo di affrontarla e cercare di fuggire. Forse con la forchetta che ho nascosto.
"Nora, dammi la forchetta" dice.
Sobbalzo e le rivolgo uno sguardo spaventato. Sa davvero leggermi nella mente?
E poi mi rendo conto che sta semplicemente guardando il vassoio vuoto, notando che manca la posata.
Decido di fare la finta tonta. "Quale forchetta?"
Si lascia sfuggire un sospiro. "Sai quale forchetta. Quella che hai nascosto dietro ai libri. Dammela."
Un’altra delle mie ipotesi viene smentita. Non so perché pensassi di avere un po’ di privacy.
Alzo gli occhi verso il soffitto, studiandolo con attenzione, ma non riesco a vedere le telecamere.
"Nora . . ." mi interrompe Beth.
Recupero la forchetta e gliela porgo. Tra me e me spero che le cavi gli occhi.
Ma Beth l’afferra e scuote la testa, come se fosse delusa dal mio comportamento. "Speravo che non ti saresti comportata in questo modo" mi dice.
"In che modo? Come la vittima di un rapimento?" vorrei davvero, davvero colpirla in questo momento.
"Come una bambina viziata" chiarisce, mettendosi la forchetta in tasca. "Pensi che sia così terribile stare qui su questa splendida isola? Pensi che stai soffrendo per il fatto di stare nel letto di Julian?"
La guardo come se fosse pazza. Crede davvero che questa situazione mi vada bene? Che mi comporterò come un docile agnellino senza mai protestare?
Mi guarda e per la prima volta noto delle rughe sul suo volto. "Non conosci il vero significato della sofferenza, ragazzina" dice a bassa voce "e spero che non lo scoprirai mai. Comportati bene con Julian e potrai continuare a vivere una vita meravigliosa."
Esce dalla stanza e deglutisco per sbarazzarmi dell’improvvisa secchezza nella gola.
Per qualche ragione, le sue parole mi fanno tremare le mani.