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La torta di Natale

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Blurb

Ezra Grayson vive nella sua enorme villa e spadroneggia su Brooktown.

Possiede tutto, tranne lei.

Adeline Bishop è proprietaria della Pasticceria Bishop, una delle ultime attività nella cittadina a non appartenere a Grayson. Per cinque anni, ha continuato a inviare le sue famose torte di Natale al misterioso signor Grayson e, nel contempo, ha sempre rifiutato ogni sua offerta di acquisto della pasticceria.

La torta consegnata quest’anno porta la loro faida a un punto cruciale. Ezra decide di affrontare Adeline, ma non si sarebbe mai aspettato che la formosa pasticciera fosse così dolce.

Quando il cattivo incontrerà la brava ragazza, chi avrà ciò che si merita?

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1 Ezra Charles strascicò i piedi fuori dalla porta del mio studio; i suoi passi erano silenziosi ma le assi del pavimento scricchiolarono minuziosamente. Sospirai e mi rimisi a sedere, lo sguardo fisso sul pannello di mogano che ci separava. Tra quanto sarebbe venuto a bussare quest’anno? Il tempo d’attesa sembrava aumentare a ogni dicembre e questo – il quinto – pareva già essere il peggiore. Fuori dalla mia finestra la neve cadeva, ricoprendo il terreno con un manto bianco che risplendeva nella luce crepuscolare, e un fuoco ardeva di fronte al divano. Tutto appariva quasi idilliaco. Perfino bello. Ma c’era un problema. Una persona, a dire il vero, che rovinava tutto. Mi pizzicai il ponte del naso e mi voltai verso il fuoco. Quella donna non riusciva a capire che non volevo aver nulla a che fare con lei o con le sue piccole insolenze. A dire il vero, non avevo mai voluto aver nulla a che fare con lei a parte l’accordo d’affari che mi aveva negato per cinque anni consecutivi. Charles si schiarì la voce. Ecco che arriva. Un debole bussare alla porta, con l’ultimo colpo di nocche un po’ più forte, come se l’uomo avesse preso coraggio durante l’azione. «Entra». Mi alzai e raggiunsi l’ampio divano di pelle davanti al camino, mentre lui avanzava a grandi falcate verso di me, a passo cadenzato. «È arrivata». Mi lasciai sprofondare tra i cuscini e rimasi a osservare le fiamme arancioni. «Di nuovo». Fece il giro intorno al divano per mettersi leggermente a lato. «Sì. Di nuovo». Non volevo guardarla, ma era pur vero che avevo dato precise istruzioni a Charles di portarmela immediatamente, se fosse arrivata – quando fosse arrivata. Ed eccola qua. Quella donna non perdeva occasione per sbeffeggiarmi. Non c’era da stupirsi, visto chi era suo padre. Il bastardo. Sembrava avesse trasmesso il suo gene malvagio alla figlia. «Beh, vediamola». Feci cenno a Charles di raggiungermi. Si avvicinò, i capelli grigi brillavano alla luce del fuoco e non c’era una singola piega nella sua uniforme nera da maggiordomo. Chinandosi leggermente, mi porse l’oggetto della discordia. Un’espressione arcigna m’increspò le labbra mentre la ispezionavo. Fine glassa bianca, decorazioni di fiori rossi, ampie ghirlande verdi che adornavano i lati. Una sottile crosta di pecan – o forse noci – lungo il bordo inferiore. Bellissima. Deliziosa, senza dubbio. Quest’anno aveva superato se stessa. In quel grazioso corsivo che avevo cominciato a detestare, aveva scritto il suo solito “Buon Natale” nella parte superiore, decorandolo con rametti di agrifoglio fatti di glassa. «Ha proprio dato il meglio di sé quest’anno». Fissai la glassa, immaginando la donna che sorrideva e rideva mentre la creava. Odiosa creatura. «Sì, signore». Charles annuì, ben consapevole della lunga faida tra me e Adeline Bishop. «Hai visto la sua pasticceria?», chiesi, con il tono più indifferente possibile. Esitò e le sue labbra si assottigliarono. «Avanti, puoi dirmelo». «Potrei esserci passato davanti qualche giorno fa, mentre andavo a ritirare alcuni abiti in tintoria», disse con una smorfia. «E?». «E…». Fece un respiro profondo, come per farsi forza. «È a tema». «Addobbata?». Sapevo che lo sarebbe stata. Capitava tutti gli anni. Possedevo tutti gli altri negozi in quella strada – ciascuno di essi ordinato e decoroso. Niente addobbi ridicoli, o luci colorate, o patetici Babbi Natale a contaminarne gli esterni. Solo semplici festoni che ricordavano le festività senza diventare ridicoli. Di fatto, l’intera area commerciale sarebbe stata perfetta, se non fosse stato per la pasticceria. O meglio, se non fosse stato per la sua proprietaria. «Decisamente addobbata». Annuì. «Quest’anno ha persino decorato la finestra con luci al neon a forma di bastoncini di zucchero». Era per caso l’ombra di un sorriso quella che gli sfiorava gli angoli delle labbra? «Tu approvi, non è così?». Alzai gli occhi e lo fissai. Scosse la testa con veemenza. «No, signore. Certo che no. È volgare e riflette del tutto la personalità di quella donna, al punto che mi rifiuto di passare ancora di lì finché le feste non saranno finite». Ottima risposta. Mi adagiai sul divano, i pensieri trascinati di nuovo verso di lei. Proprio come accadeva ogni Natale. Per lo meno era puntuale. «Vuole che la dia ai cani?». Charles si raddrizzò, togliendomi dalla vista la confezione incriminata. «Io non lo farei. Forse quest’anno ha pure trovato il coraggio di avvelenarmi». Riportai il mio sguardo verso il fuoco. «No di sicuro, signore». «Non ci si può fidare dei Bishop. Me l’ha insegnato suo padre». Indicai il tavolino senza guardarlo. «Mettila lì. Me ne occuperò io». «Sarei più che lieto di disfarm…». «Lasciala lì», sbottai. Dio, quella donna mi faceva saltare i nervi. «Sì, signore». Charles posò la scatola sul tavolino con cautela, come se si trattasse di una bomba, e lasciò la stanza a passo svelto. Più fissavo la torta perfettamente rotonda, la glassa delicata, più mi rendevo conto che era una bomba. E mi aveva fatto esplodere per l’ultima volta. Digrignai i denti. Adeline non mi avrebbe più rovinato il mese di dicembre con le sue impertinenti consegne di torte. Era tempo di mettervi fine. Poteva anche aver fatto parte della créme di Brooktown, per via di suo padre, ma l’era dei Bishop era ormai giunta al termine. Questo era il mio momento. Forse ero stato troppo indulgente nel permetterle di continuare a rifiutare le mie offerte per la pasticceria. No, lo ero stato senza ombra di dubbio. Mandare il mio avvocato a occuparsi della cosa era stato un errore. Tutti questi anni e aveva fallito quell’unica direttiva. Gli avevo persino suggerito qualche idea più scorretta durante il nostro ultimo incontro, e una di queste era stata messa in atto. Ma ancora doveva dare i suoi frutti. Così la pasticceria era ancora lì, a sfornare ogni anno queste abominevoli torte di Natale. Certo, avevo acquisito il resto della città. Ma non era abbastanza. Lanciai un’altra occhiata alla torta, la glassa vivace pareva prendersi gioco di me. La mia indulgenza era finita. Era giunto il momento di farle la guerra. «Charles», chiamai. L’uomo ricomparve e il suo sguardo vagò fino alla zuccherina arroganza dell’oggetto incriminato. «Signore?». «Preparami la macchina». Le sue sopracciglia si sollevarono di scatto. «Signore?». «La macchina», ripetei, anche se non potevo biasimarlo per la sorpresa. Dopotutto, incarnavo la perfetta definizione di “recluso”. Possedevo l’intera città, ma lasciavo raramente i confini della mia proprietà. E se lo facevo, non era certo per socializzare con la gente di Brooktown. Le persone erano piene di germi, sporcizia e innumerevoli malattie. Il solo pensiero di stringere la mano a qualcuno mi dava i brividi. E se non si fosse lavato le mani? Quindi, no, non uscivo spesso. Infatti, non avevo mai nemmeno incontrato il mio sassolino nella scarpa di nome Adeline Bishop, ma la situazione stava per cambiare. Avrei messo fine allo stallo. Quella donna avrebbe imparato chi comandava a Brooktown. E avrei fermato definitivamente le annuali consegne della sua torta di Natale.

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