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Arrenditi a me

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Blurb

Ava Thompson ha lasciato il suo vero amore, Jasper White, per rincorrere i suoi sogni e diventare la donna che ha sempre voluto essere.

Il destino, tuttavia, ha voluto che tornasse nel luogo che l"ha spezzata in due… Singapore.

Ma soprattutto l"ha rimandata indietro dall"uomo che l"ha spezzata in due… Harper.

Ava, però, non è più la ragazza persa e spaventata che era. Ora è una donna forte e determinata che vuole realizzare i suoi sogni e trovare la felicità, con la speranza, alla fine del lungo percorso di crescita, di tornare tra le braccia amorevoli del suo Jasper.

Sei mesi dopo, Ava torna a Los Angeles per un evento che racchiude il significato del vero amore.

Purtroppo, però, lei il vero amore l’ha perso e, con esso, il senso della parola “amare”.

Los Angeles non è come l"aveva lasciata. Le cose sono cambiate, le persone sono cambiate e lei stessa è diversa. L"unica cosa rimasta immutata è il suo amore passionale e struggente per Jasper White.

Ma Jasper prova ancora gli stessi sentimenti per lei?

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1 Viaggio andata e ritorno «Signore e signori, il Capitano ha spento il segnale di mantenere le cinture allacciate, ora potete muovervi liberamente. A breve, il nostro personale di bordo vi offrirà bevande calde o fredde. Rilassatevi e godetevi il volo. Grazie». E così, sono di nuovo seduta qui a fissare il mio riflesso sul finestrino. Sono ancora la ragazza dagli occhi troppo grandi per il suo viso malinconico. Sono sempre così minuta ed esile che i miei piedi toccano a malapena il pavimento, e rido ancora a ogni battuta anche quando non capisco perché ridere del nulla più assoluto. Questa ragazza, però, non è più la stessa persona di quando è tornata diciotto mesi fa. Pensavo di fare rientro in patria come una donna migliore e più forte, ma questo è ancora tutto da vedere. È come se i miei occhi avessero visto mille tragedie e, a volte, penso che la mia stessa vita sia stata un'enorme catastrofe, fino ad ora. Il tempo cambia davvero le persone e, di sicuro, ha cambiato me. Ma questa metamorfosi è in meglio o in peggio? A tal proposito… Se sei mesi fa, quando ho lasciato Los Angeles per una borsa di studio all'Accademia Culinaria di Singapore, qualcuno mi avesse detto che la mia migliore amica di una vita si sarebbe sposata con il suo fidanzato Lucas, gli avrei detto di andare a cagare! E invece eccomi qua, seduta su un aereo che mi riporta a Los Angeles per partecipare ai preparativi dell'unione di due persone meravigliose. Veronica Donovan è la mia migliore amica da quando avevamo dodici anni. Ci siamo conosciute in circostanze tragiche, quando i suoi sono morti in un incidente stradale lasciandola, figlia unica, alle cure di zia Mary, che era la mia vicina di casa. La nostra passione per i film romantici e i cerchietti per capelli ci ha rese inevitabilmente migliori amiche per la vita, e oggi è ancora così. Quindi, quando Veronica mi ha annunciato che si sarebbe sposata e che io sarei stata la damigella d'onore, ho fatto quello che ogni migliore amica farebbe. Sono salita sul primo aereo per essere con lei e aiutarla a organizzare il suo grande giorno. Ma c'è una domanda che continua a frullarmi in testa. Se non fosse perché Veronica si sposa, tornerei a Los Angeles? All’inizio la vita a Singapore è stata dura, perché ogni angolo era pieno di brutti ricordi e faticavo a ripartire da zero. Questo, però, era il motivo per cui ci ero tornata. Quei ricordi stavano ostacolando il mio futuro con un tizio dagli occhi cerulei di nome Jasper White. Volevo con tutta me stessa combattere quei fantasmi, ma la nostra esistenza non va mai come ci aspettiamo. Ogni volta che ci troviamo di fronte a un bivio, la strada che prendiamo ci porta dritti nella spirale dell'ignoto, e io ero prontissima ad abbracciarlo, questo ignoto, a patto che il risultato finale fosse avere Jasper. Tuttavia, la vita ha la simpatica abitudine di buttarci col culo per terra quando meno ce lo aspettiamo, e non immaginavo minimamente che partendo sarei volata via da Jasper. Al contrario, credevo di farlo per correre verso un futuro con lui. E credevo male. Il mio viso è sempre lo stesso, solo un anno più vecchio. Forse perché ho addosso più trucco di quello che metto di solito. Eyeliner sulle palpebre, illuminate da una sfumatura dorata, e rossetto lucido color corallo sulle labbra carnose. Le lentiggini sono coperte da uno spesso strato di fondotinta e terra, che donano alla mia pelle un colorito dorato del tutto innaturale. Abbinato alla mia faccia impiastricciata, indosso un abito chemisier bianco sopra pantaloni neri attillati e stivali col tacco alto. Dentro di me bramo le mie Converse, ma non si abbinano per nulla a un outfit del genere. Di certo ho un aspetto differente da quello della ragazza che è partita. Ma la diversità non sta tanto in come appaio o ciò che indosso. No, il grande cambiamento mi sta fissando riflesso sul vetro, e non sono io. È il mio compagno di viaggio che, in business class, mi scorta al matrimonio di Vi. Con i capelli biondo sabbia tirati indietro e il suo aspetto impeccabile, ha l'attenzione di ogni singola donna a bordo dell'aereo, ma questa è storia vecchia. Mentre mi passo la mano sinistra sul viso, rimango colpita quando la luce si riflette sull'enorme solitario incastonato nel mio anello di fidanzamento. Dubito che mi sentirò mai a mio agio con le dimensioni di questo diamante. So che milioni di donne farebbero carte false per avere un gioiello del genere ma, dico sul serio, se l'aereo dovesse cadere questo coso aggiungerebbe un carico da novanta. Quegli occhi azzurri mi scrutano, e so che non possono più leggermi dentro come facevano una volta. Come ho già detto, sono una persona diversa, anche se il cambiamento è ancora tutto da definire. Fissando quegli occhi che mi osservano attenti, noto che non sono cambiati dalla prima volta che li ho visti. Quegli occhi azzurri appartengono all'uomo che sposerò. *** «Signore e signori, stiamo per preparaci all'atterraggio. Vi invitiamo a controllare che il tavolino di fronte a voi sia chiuso, che il sedile sia in posizione eretta, che i bagagli siano stivati sotto i sedili o negli appositi vani in alto. Vi invitiamo, inoltre, ad allacciare le cinture di sicurezza e spegnere tutti i dispositivi elettronici da questo momento fino alla riapertura delle porte. Grazie». Sono sveglissima e osservo la sagoma nebbiosa di Los Angeles delinearsi sotto di me. Sono a casa. Guardando Harper, rimango stupita da quanto appaia immacolato. Le dita fresche di manicure stanno togliendo dei pelucchi dalla sua giacca Armani e non ha un capello fuori posto. Quest'uomo non sembra affatto che abbia appena attraversato il globo in aereo. Io, al contrario, sembro di sicuro reduce da un corso di sopravvivenza in Cambogia. «Tutto okay, tesoro?», mi domanda. E questa è la domanda da un milione di dollari. L'ironia della vita non smette mai di stupirmi. Tornare a Los Angeles non dovrebbe causarmi questo senso di disperazione, invece sì. Credevo davvero che la prossima volta che sarei atterrata qui sarebbe stato per tornare a casa da Jasper. Ma di nuovo, mi sbagliavo. «Sì, tutto okay», rispondo col sorriso più coraggioso che ho. Mi spiace ammettere che tornare qui mi fa sentire così male, perché questa città mi ha sempre dato un gran conforto. Solo diciotto mesi fa sono corsa a rifugiarmi qui per fuggire da Singapore e Harper, e ora le carte si sono completamente rovesciate. «Sicuro, Ava? Sembra che tu stia poco bene», insiste. «Sono solo stanca. È stato un volo lungo e so già che Vi mi renderà la sua schiava di nozze». Scherzo per cercare di distogliere l'attenzione dalla mia palese ansia. Harper si allunga per accarezzarmi la guancia con le nocche. «Sarà un ottimo esercizio per il nostro grande giorno. Così farai pratica e aiuterai Veronica. Vedrai, sarà un vantaggio per tutti». Il suo sorriso è sincero. Ma a me si contorce lo stomaco, perché non abbiamo ancora fissato una data e lui continua a insistere perché sia entro i prossimi sei mesi. Io, invece, mi sto appena abituando all'idea di diventare la signora Holden e invento le scuse più disparate per non decidere un bel niente. Che sia la scuola o il lavoro o gli esami, non posso impegnarmi perché non so come sarà la mia vita fra sei mesi. Fingo di ignorare la vocina che mi dice che sono solo scuse, perché in realtà c'è solo un vero motivo. La business class ha i suoi vantaggi come, ad esempio, scendere dall'abitacolo per primi. Per una volta è bello non ritrovarsi stipati in pulmini affollati, ma la sdegnosità dei passeggeri ricchi è davvero insopportabile. Harper, che è un pezzo grosso di un'azienda di successo mondiale, viaggia solo in business class. A dire il vero lo trovo un po' pretenzioso, ma lui dice che ha lavorato sodo per arrivare fin qui e vuole godersi tutti i benefici. Perciò, se volare in business class è quello che vuole, che business class sia. Questo è stato il motivo per cui ci siamo trasferiti a Singapore la prima volta. Era il sogno di Harper raggiungere le vette dirigenziali e governare, un giorno, il suo impero. E a quanto pare non è lontano dal realizzarlo. Sono fiera di lui, perché so che ha lavorato sodo, ma tutta questa lussuosa discriminazione la trovo ingiusta. Solo perché guadagnano milioni di dollari non significa che siano migliori della gente modesta. Sono una persona molto umile, e odio questo genere di cose. Nella mia professione siamo tutti uguali e tutti dobbiamo mangiare. Io cucino e creo per chiunque, a prescindere da razza, genere o stipendio, e spero che a loro piaccia il mio cibo abbastanza da tornarmi a trovare. Dopo essere passati velocemente alla dogana (un'altra chicca della business class), entriamo nella rumorosa e caotica Los Angeles. Harper ha predisposto che un autista ci porti al lussuosissimo Four Seasons Hotel, la nostra residenza per le prossime due settimane. Ho sentito dire che Madonna e George Clooney hanno alloggiato qui, e io soggiornerò nello stesso hotel di queste celebrità. Decisamente inutile. Harper mi prende la mano sudata, e mi ripeto che è sudata solo per il caldo asfissiante. Mi scuso, dicendo che devo uscire un attimo per chiamare mia madre, e lo lascio a cercare l'autista. Appena esco fuori l'afa mi colpisce in piena faccia. C’è un caldo pazzesco e vorrei avere addosso qualcosa di più casual, ma mi sento in colpa a non indossare gli abiti che Harper mi regala. Compongo il numero e mi porto il telefono all'orecchio, ma prima che si connetta chiudo, e dopo venti secondi fingo di ridere di gusto. È tutto un bluff, perché non sto parlando con nessuno. Saluto Harper con la mano mentre i suoi occhi mi fissano attentamente. Mi fa un mezzo sorriso e mi volto dandogli le spalle, perché ha la vista di un'aquila. È tutta una finta perché non sono uscita per telefonare, perciò faccio in fretta quello che intendo fare e torno dentro. Harper sta ancora cercando l'autista, che di sicuro lo starà aspettando con in mano il cartello «SIGNOR HARPER HOLDEN», proprio come nei film. Trovo la cosa assolutamente fuori luogo perché avrei preferito prendere un taxi, ma l'idea di arrivare al Four Season in taxi è fuori discussione. Quindi lo lascio fare, anche se questa gente e le sue regole esclusive sono un concetto completamente avulso dal mio modo di essere. Noto una tipa elegante, e visibilmente ricca, mangiarsi Harper con gli occhi. A dire il vero non mi importa più di tanto, ormai sono abituata al successo che riscuote tra le donne. Il suo metro e novanta, che torreggia sul mio metro e cinquantacinque, mi fa sembrare ancora più bassa di quello che sono. Le sopracciglia folte e curate si sposano alla perfezione con quegli occhi blu che a volte diventano grigi sotto la luce. Ha la mascella ben definita e sempre perfettamente rasata, e la fossetta sul mento lo fa sembrare molto sicuro di sé. Per non parlare dei capelli color sabbia sempre acconciati all'indietro, che gli danno un'aria da super dirigente anche nel fine settimana. Questo, probabilmente, anche perché indossa sempre e solo giacca e cravatta. A volte si allenta la cravatta, ma è sempre vestito per attirare l'attenzione. Io, all'opposto, preferisco i miei amati jeans e le Converse, che lui ovviamente odia a morte, ecco perché sono vestita così. «Ava!». Sento una voce familiare che mi distoglie dai miei pensieri. Mi guardo intorno, ma non vedo nessuno che conosco e scaccio il pensiero pensando che sia il fantasma dell'aeroporto. Ricordo quando ho detto che gli aeroporti mi hanno sempre e solo dato dolori e che avrei invertito la tendenza la prossima volta che sarei tornata. Fino ad adesso ho miseramente fallito nella mia impresa, anche se questa volta sono qui per un motivo gioioso e presto vedrò la mia Vi. «Ava!». Sento di nuovo il mio nome. Mi guardo intorno e, prima che me ne accorga, vengo travolta dall'uragano Veronica Donovan. Bene, sembra proprio che la vedrò prima del previsto. Mi stringe nel suo abbraccio mortale che ricambio con la stessa forza, perché adoro questa ragazza con tutto il mio cuore. Mi lascia andare e mi guarda con le lacrime che le solcano il viso a forma di cuore, finendo tra le labbra tremolanti. I suoi lunghi capelli castani ora sono neri e si è tolta il cerchietto al labbro, ma a parte questo non è cambiata di una virgola dal giorno in cui me ne sono andata. Ci eravamo ripromesse di venirci a trovare, ma a un tratto la vita si è accanita su di me e non sembrava intenzionata a mollarmi. Adesso sto piangendo anch'io, perché mi è mancata come l'aria. Lei riesce sempre a farmi ridere in ogni occasione, anche quando divento scorbutica e acida proprio come il mio gatto Oscar, che le ho lasciato in custodia. Non voglio pensare a come ho avuto quel micino adorabile, sono emozioni troppo forti che non voglio affrontare. «Oh Ava, oddio, mi sei mancata così tanto». Vi è raggiante e mi tiene a distanza per guardarmi bene. Notando i miei abiti fa un fischio. «Ehi, chi sei tu? Somigli alla mia amica, ma non sei lei». Non voglio andare troppo a fondo al suo commento perché, a volte, me lo chiedo io stessa. Evitando l'argomento abbigliamento, ridacchio e le chiedo: «Cosa ci fai qui? Non che non mi faccia piacere vederti, per carità», aggiungo subito. Dentro di me sapevo che sarebbe venuta. Ci conosciamo troppo bene. «Sono venuta a prendere la mia amica, ovvio!», risponde asciugandosi le lacrime con la manica. «Non c'era alcun bisogno che ti scomodassi», interviene Harper con voce infastidita mentre cammina lentamente verso di noi. Oh cazzo, ci siamo! «So che non c'era bisogno, ma volevo farlo. È il minimo che possa fare per la mia damigella d'onore». Neanche due minuti e già si attaccano. Harper e Vi si sopportano, anzi direi che si odiano. La cosa è reciproca e si tollerano solo per me. Se non ci fossi si ammazzerebbero a vicenda senza pensarci due volte. Dio mio, queste sì che saranno due settimane imbarazzanti. «C'è un autista che ci aspetta per portarci all'hotel. Ti sei presa la briga di venire per nulla», le dice Harper sarcastico. «Be', tu puoi andare tranquillamente con il tuo chauffeur, io sono qui per Ava», replica mettendosi la mia valigia in spalla. «Vi!», la riprendo. «Cosa c'è? È lui che se la prende tanto per questa cosa dell'autista, cercavo solo di essere d'aiuto», risponde alzando le spalle. No, non sta cercando di essere d'aiuto. Harper mi dà un bacio sul capo, sapendo che con Vi la battaglia è persa. «Ci vediamo in hotel», dice incamminandosi verso l'autista col cartello. «Ci vediamo, imbecille», grida Vi salutando Harper con la mano, che la guarda con uno sguardo pieno d'odio. «Veronica!». «Cosa?». Mi guarda con gli occhioni innocenti. «Potevi aspettare almeno che non ti sentisse». «Perché? Non mi interessa, anzi, volevo che mi sentisse. Cosa può fare? Odiarmi più di quanto già fa? Ah, ah! Per piacere, Ava, ormai tra noi è guerra aperta». Ride facendosi strada e io la seguo con un sorriso. Questa è la mia amica fuoco d'artificio Veronica Donovan. E sono un po' sorpresa, devo ammetterlo, perché è stata più carina di quel che mi aspettassi. Finalmente, dopo aver vagato per il parcheggio per venti minuti, troviamo la sua auto. Mentre fatico a far entrare la mia valigia nella sua piccola Volkswagen, noto qualcosa di luccicante che quasi mi acceca. Il suo anello di fidanzamento. «Vi, il tuo anello è favoloso», le dico guardando il bellissimo gioiello in oro bianco con un solitario. «Grazie. È stupendo, vero? Lucas l'ha scelto da solo, mi conosce troppo bene». Guarda fiera il diamante allungando la mano davanti a sé. Ho un sussulto, vorrei poter dire la stessa cosa di Harper. «Dov'è Lucas?», le chiedo mentre salgo. Avvia il motore e sorrido pensando a quanti bei ricordi ho di questa macchina che Vi ha da sempre. «Lucas sta organizzando la musica per il matrimonio. Non ho idea di cosa abbia in mente, ma è l'unico compito che ha, quindi che non faccia stronzate», risponde con un sorrisetto mentre guarda lo specchietto retrovisore. Conosco quello sguardo. «Vi?». Mi ignora e fa una virata improvvisa a destra, saettando nel traffico e tagliando la strada all'autista di Harper. Cosa devo fare con questa benedetta ragazza? Bello vedere che certe cose non cambiano mai. «Perché sei vestita così?». Mi guarda e arriccia il naso. La sua schiettezza non finirà mai di stupirmi. «Così come?», domando io, pur sapendo a cosa si riferisce. «Come se avessi una scopa nel culo! Dove sono le tue Converse? Per carità, stai da Dio, ma per i miei gusti sei un po' troppo fighettina». Guardo i miei abiti e so che sono troppo ordinata, ma mi sento in colpa a non indossare gli abiti che Harper mi regala, costano una fortuna per essere lasciati a prendere polvere nell'armadio. «Mi piacciono i miei vestiti. Inoltre, li devo indossare per lavoro». Rabbrividisco per la cazzata immane che ho appena detto. «Ava, tu lavori in cucina». Mi guarda tra lo stupito e il preoccupato. «Okay, è un ristorante che ti fa pagare anche l'aria che respiri, ma dico sul serio, la maggior parte del tempo tu indossi una divisa da chef! Quindi cos'è questo cambio di look?». Sapevo che Vi sarebbe arrivata qui e, infatti, volevo cambiarmi prima di vederla. Ma essendo una tipa decisamente imprevedibile, ha buttato all'aria tutti i miei piani. Chiaramente, ignoro il mio subconscio che mi sta incoraggiando ad analizzare il perché mi sarei dovuta cambiare. Ecco, Los Angeles mi sta già procurando un fastidioso mal di testa. «Non mi hai risposto», insiste tamburellando impaziente l'indice sul volante. Non mollerà l'osso e non ho voglia di discutere con lei, dato che non la vedo da mesi. Io sono sfinita e le mie scuse sono palesemente banali, perciò decido di essere onesta. «Perché me li ha comprati Harper». Vi dà una colpo violento al volante, che fa sterzare l'auto con forza. Mi aggrappo alla maniglia per tenermi ferma, mentre controllo che la cintura sia allacciata. Di questo passo arriverò al Four Seasons con un colpo di frusta! «Ah! Lo sapevo! Ci risiamo. Ma fai sul serio, Ava? Temevo dicessi qualcosa del genere. Ma non hai proprio imparato la lezione?». Vi si arrabbia, sbuffando frustrata. Lo sguardo che le lancio dice a chiare lettere che non ho la minima voglia di discutere per quest’argomento e, con mia enorme sorpresa, smette di fare domande. Per circa trenta secondi. «Be', fortuna che ho ancora tempo per convincerti che Harper è sempre lo stesso coglione narcisista del cazzo, prima che tu faccia qualcosa di stupido come, che ne so, sposartelo! Sarà anche ben vestito, ma è un idiota bastardo!». Per fortuna non nota la mia espressione indurita né il mio dito con l’anello senza il diamante. L'ho staccato dall'incastonatura e l'ho messo nella borsa quando sono uscita a fare la finta chiamata. Bentornata in patria, Ava, mi dico tra me e me mentre guardo scorrere le strade del luogo che una volta chiamavo casa.

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