PRELUDIO
PRELUDIO
Quello che accadde la notte in cui tutto accadde
Il cuore balzò dritto in gola quando si trovò dinnanzi al vecchio rudere.
Aveva corso per ore, forse addirittura giorni, sfuggendo ai getti sulfurei della foresta e nutrendosi di bacche selvatiche, linfa di corteccia, frutti raccattati dove i veleni non arrivavano e selvaggina procurata grazie a un tiro di fortuna.
Era sopravvissuto, ma non aveva fatto i conti con l’antracosi che gli anneriva i polmoni, cicatrice indelebile delle polveri di carbone respirate durante gli anni di lavoro nel minareto, chino sulla dura e spigolosa roccia picconando senza sosta.
Avrebbe pagato la sua temerarietà con l’ultimo avanzo di forze che gli rimaneva.
Un accesso di tosse lo colse all’improvviso. Si piegò sulle ginocchia macilente; bile e sangue macchiarono il terreno. La vista gli venne meno e per un attimo il mondo si oscurò. Un velo di sudore freddo gli imperlò il viso.
No, si disse, non sarebbe finita. Non ancora. Non aveva rischiato così tanto per niente.
Si ripulì le labbra con il dorso della mano e fece per alzarsi.
In quello stesso istante, qualcosa nel suo corpo si ruppe.
Le ossa emisero uno scrocchio secco e Jack si accasciò.
* * *
Quando si svegliò, credette di essere morto.
Giaceva su qualcosa di morbido, dall’aspetto confortevole. La luce che permeava l’ambiente era di un tenue lillà, calda e corroborante, e profumava pure, un odore dolciastro e pungente che gli ricordò l’aroma del sidro preparato da Eudora alla Locanda dello Scafandro, giù al villaggio.
Forse l’aldilà gli avrebbe riservato una vita migliore di quella concessagli sulla Terra. Il pensiero gli fece affiorare un timido sorriso, il primo dopo un estenuante periodo di sottomissione e patimenti.
Liberò un sospiro e si sorprese nello scoprire che nessuna oppressione al petto glielo impediva. D’altronde era un’anima nuova adesso, libera dai vincoli mortali.
Un refolo sottilissimo smosse l’aria, seguito da una risatina soffusa.
«È eccitante, non trovi?» proferì una voce che pareva essere fatta di ambrosia. «Tutto questo tempo speso a languire nella sofferenza più atroce senza riceverne la minima gratitudine. Che spreco immondo.»
Jack si mosse a disagio sotto le lenzuola, ma non ne fu turbato. Poco o niente lo spaventava dopo le traversie che aveva passato. E poi era lì per un motivo ben preciso.
«Chi sei?» chiese.
Non udì che il silenzio. Poi la voce gli disse: «Guarda tu stesso.»
Le ombre si dissolsero, facendo spazio a una figura rischiarata dal fioco baluginio color lavanda. Gambe flessuose avanzarono sul pavimento, protette appena da una veste aperta ai lati e lunga fino alle caviglie, di nera stoffa e bordata da ricami scarlatti. L’incarnato bianco del volto accecava lo sguardo. Gli occhi erano quelli di una dea impietosa.
Il ragazzo ebbe uno spasimo. «Allora è vero… tu esisti.»
«E perché non dovrei?» rimbeccò la donna.
«Si raccontano tante leggende su di te.»
«Sì, riconosco di essere piuttosto… popolare.» Inclinò un poco il capo e la fluente chioma di capelli neri come ali di corvo ondeggiò sulla schiena. «Ma sei tu che mi interessi davvero, Jack, non la fama», proseguì, riducendo le palpebre a due fessure sottili.
Lo stomaco gli si annodò. «Come fai a conoscere il mio nome?»
«Oh, io conosco molte altre cose di te, non solo il tuo nome.» I sonagli appesi ai drappi dell’abito tintinnarono. La donna si fece più vicina. «Ti ho aspettato a lungo», mormorò, passandogli la punta affilata di un’unghia sulla guancia. Fu una carezza inattesa, minacciosa e suadente, che lasciò un solco arrossato sulla pelle.
Jack non poté distogliere lo sguardo dalle braci rosso fiamma che erano le sue pupille. «Anche io ti… anche io ti ho cercata a lungo», balbettò, i sensi circuiti.
Le labbra della donna si piegarono in un sorriso che tuttavia celava un appetito famelico. «Noi due diventeremo ottimi amici», gli bisbigliò a un orecchio. «Saremo… una cosa sola.»
Jack non sapeva se esserne felice o meno, ma una nuova consapevolezza lo paralizzò: quello non era l’aldilà e lui non era morto.
La donna si allontanò, ritirandosi in un angolo di penombra e, come leggendogli nella mente, dichiarò: «È stato un intervento laborioso, assai delicato, ma non impossibile.»
In un primo momento Jack parve non capire. «Intervento?»
«I tuoi polmoni erano andati, rancidi come può esserlo un cadavere. Così mi sono permessa di apportare una piccola modifica. Sai, non gradisco che mi si sporchi il giardino e tu eri proprio lì, a esalare gli ultimi afflati di vita sui miei ranuncoli.»
Jack fu posseduto da un gelido terrore. Impallidì. «Cosa mi hai fatto?»
Di fronte alla sua paura, la donna rise piano, come se lo trovasse divertente. «Povero, tenero ragazzo», lo canzonò. «Non era quello che volevi? Attraversare l’intera foresta-vivente di Steamwood per implorare il mio aiuto?» Poi il tono cambiò, duro e crudele. «Non provare a beffarti di me o non immagini la sorte a cui potresti andare incontro.»
Jack ebbe il presentimento che le cose stessero per mettersi male e desiderò di non essere più lì, di non essere mai partito per quella folle impresa. Forse, se avesse dato retta a…
Sollevò la testa dai cuscini di broccato e portò lo sguardo sul torace. Era nudo, l’addome glabro e lucido di sudore. Solo un lenzuolo andava a coprirgli il basso ventre. Non fu il senso del pudore a inorridirlo, però.
Cacciò un urlo, tanto potente da spaventarsi.
Una cicatrice gli deturpava il petto, partendo dallo sterno fino all’ombelico. I punti di sutura raggrinzivano i tessuti laddove la pelle era stata ricucita e il sangue raggrumato disegnava un tortuoso sentiero purpureo.
«È un’opera d’arte», commentò compiaciuta la donna. «La mia opera d’arte.»
Solo in quel momento Jack vide.
Le mattonelle erano cosparse di pozze di sangue incrostato. Un numero cospicuo di mensole era inchiodato alle pareti sbilenche e tarlate, e su di esse vi erano riposti alambicchi delle più strane forme, al cui interno si addensavano liquidi variopinti, alcuni di consistenza compatta, altri quasi gassosi. Appese al soffitto, voliere di modeste dimensioni – un centinaio forse – dentro le quali fluttuavano erbe, resti fossili e sinistri materiali organici. Il puzzo che si respirava era ammorbante.
«L’ho fatto per il tuo bene», continuò la donna, con un ché di stucchevole che gli fece rivoltare le viscere.
Jack torse i lembi delle lenzuola tre le mani. «Strega.»
Lei si leccò le labbra. «Uno degli appellativi che più preferisco.»
«Hanno ragione al villaggio. Tutti quanti. Dovresti marcire all’inferno. È il posto che meriti.»
«Lusinghiero da parte tua», lo schernì. «Specialmente dopo aver usufruito dei miei servigi e della mia misericordiosa bontà. Sei un bambino cattivo, Jack, molto, molto cattivo, e rimarrai in punizione per un po’.»
Jack sputò a terra e subito percepì una vampata di calore bruciante nelle ossa. Arcuò la schiena e dalle sue labbra scaturì un lamento stridulo, come se un cappio invisibile gli si fosse stretto intorno al collo. Le orbite si gonfiarono di lacrime e il viso divenne paonazzo. Era un dolore lancinante che teneva in ostaggio ogni parte del suo corpo.
La donna proruppe in una fragorosa risata, che assunse un accento sinistro, dopodiché si mosse verso l’unica porta presente.
Quando si voltò per riservargli un’ultima occhiata, Jack intercettò un cambiamento. Quel volto di porcellana, di una bellezza statuaria, si era crepato e un fitto reticolo di vene e capillari pulsava in superficie, facendolo assomigliare alla faccia tumefatta di un redivivo. Il rosso delle iridi si era riversato nel bianco della cornea, trasfigurandone l’apparente sensualità.
«Sarà una piacevole permanenza», gli disse.
E mentre orridi cigolii sferragliavano nella sua gabbia toracica, Jack comprese di aver commesso un errore. Un terribile e ineluttabile errore.
«Non puoi tenermi qui», sbraitò. «Non puoi obbligarmi. Lui lo verrà a sapere.»
La donna restò impassibile. «E cosa vuoi che me ne importi? Mi ha relegato ai margini di questo… insulso mondo perfetto. Non saranno i miei svaghi a scombussolargli i piani.» Incatenò Jack a sé, occhi negli occhi. «Io posso tutto ciò che voglio. Tu sposerai una vergine, la più nobile e magnanima, e mi darai dei figli.»
Un moto di raccapriccio gli deformò le labbra. «Cos’hai che non va? Credevo che ti servissi della magia a fin di bene, per questo ero venuto a cercarti, ma adesso mi rendo conto di quanto tu sia… sbagliata.»
L’offesa non parve toccarla. La donna sorrise in quel suo modo languido e recondito. «Sei proprio un adulatore.» Si apprestò ad abbandonare la stanza.
«Perché io?» la richiamò Jack, il tono che tradiva una nota di disperata supplica.
La vide irrigidirsi, come se avesse avuto un pugnale puntato alla schiena. Il silenzio appesantì l’aria e Jack quasi si convinse che il suo quesito sarebbe rimasto irrisolto.
Poi la voce di velluto della donna scivolò fino a lui come un abbraccio. O una sentenza di morte. «Perché sei l’unico… l’unico che sia mai sopravvissuto ai miei poteri.»