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Chills (versione italiana)

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True Detective incontra H.P. Lovecraft in questo romanzo dell’acclamata autrice Mary Sangiovanni.

Tutto comincia con una brutale nevicata a maggio. L’area più colpita è la cittadina rurale di Colby, nel Connecticut. Le scuole e le attività sono chiuse, la rete elettrica è fuori uso, e il detective Jack Glazier trova un cadavere nella neve. Sembra essere la vittima di un bizzarro omicidio rituale. Non sarà l’ultima. Mentre la neve si accumula, così si accumulano i sacrifici. Tagliato fuori dal resto del mondo, Glazier si allea con una specialista dell’occulto per scovare la società segreta che si nasconde tra loro.

Gli dei che adorano sono inimmaginabili. I poteri che evocano sono inarrestabili. E le cose che faranno alla brava gente di Colby sono profondamente, orribilmente innominabili…

Dicono di Chills:

«L’atmosfera è perfetta, i mostri debitamente grotteschi e la minaccia sovrannaturale legittimamente spaventosa.» (BEAUTY IN RUINS)

«Mary Sangiovanni di certo sa come scrivere di mostri.» (POSTCARDS FROM A DYING WORLD)

«In Chills, Mary Sangiovanni fa un lavoro eccezionale nel riuscire a catturare la minaccia, il pericolo e persino l’orrore del freddo estremo.» (SKULLS IN THE STARS)

L’AUTRICE:

Mary Sangiovanni è l’autrice della trilogia The Hollower (il cui primo volume è stato nominato per il Bram Stoker Award), e dei romanzi Thrall, Chaos, Chills e l’imminente Savage Woods. Nell’ultimo decennio i suoi racconti sono apparsi in periodici e antologie. Ha un master in Writing Popular Fiction della Seton Hill University di Pittsburgh ed è al momento membro della Authors Guild, della International Thriller Writers e della Penn Writers ed è stata in precedenza membro attivo della Horror Writers Association.

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CAPITOLO UNO-1
CAPITOLO UNO Jack Glazier aveva lavorato nella Omicidi di Colby per nove lunghi inverni del New England, ma non aveva mai visto il sangue congelarsi così. Di certo nelle ultime notti la temperatura era stata rigida; era il tipo di tempo che proiettava spettrali sagome di ghiaccio sopra ogni cosa. Quell’erba ormai bianca, i rami degli alberi, le auto, persino le case sembravano così fragili, come se potessero spezzarsi e andare in frantumi al tocco più lieve. Un vento gelido che arrivava a colpire fin sotto i vestiti e la pelle aveva imperversato su Colby per giorni, e ora la cittadina era gelata. Jack odiava il freddo. Lo odiava persino di più quando la sua professione lo faceva uscire in mattine come quella, dove la debole luce del sole faceva ben poco anche soltanto per suggerire l’idea di calore. Era un caso di omicidio: un John Doe di mezza età trovato appeso a testa in giù al ramo più basso di una massiccia quercia sul confine nordorientale di Edison Park. Il corpo era sollevato da terra grazie a un qualche tipo di corda, ancora non meglio identificata, legata alla gamba destra. Un rozzo esagono era stato realizzato nell’erba devastata sotto il cadavere; nei fossati vicini, gli era stato detto, gli agenti che avevano risposto alla chiamata avevano trovato ciò che pensavano fosse il contenuto delle tasche dell’uomo. Gli oggetti erano stati raccolti come un potenziale punto di partenza per l’identificazione. Jack sollevò lo sguardo verso la cupola argentea del cielo, dove nubi di un grigio più scuro si stavano addensando, e ascoltò per un momento il basso gemito del vento che sferzava sugli uomini raccolti vicino al corpo. Lavoravano in silenzio, le minime conversazioni rivestite da sottili sbuffi bianchi. L’aria portava un leggero fetore di carne congelata che agitava Jack in un modo in cui la puzza di cadaveri non faceva mai. Lo faceva pensare a molte cose, cose dimenticate da tempo in posti oscuri, freddi e lasciate lentamente a imputridire. Non vi era alcuna dignità né pace in quel fetore. Naturalmente pensava che mettere insieme una qualche pace e dignità per le vittime di un omicidio facesse parte del suo lavoro. Gli ci volle uno sforzo per concentrarsi di nuovo sul corpo, per abbassarsi sotto il nastro della polizia e muoversi verso di esso. Scoprì che più si avvicinava a un decennio di occhi morti e offuscati, carne gelida e mutilata, e familiari affranti, e più energia gli ci voleva per iniziare a lavorare ai casi. Voleva vederli risolti – era stata quella spinta a farlo arrivare al rango di tenente e a renderlo bravo in ciò che faceva – ma era l’inizio delle indagini ciò per cui aveva perso interesse. Stava diventando sempre più difficile guardare in faccia i mesi a venire pieni di pensieri e incubi. Per quanto riguardava il cadavere in sé, la gola sembrava che fosse stata tagliata – morsa, a dire il vero – e c’erano delle lacerazioni sul torace scoperto, sulle spalle, sulle braccia nude e sul viso. Jack, che in quelle situazioni faceva del suo meglio per bloccare la sua immaginazione morbosa e spesso falliva, poteva immaginare il John Doe oscillare nella glaciale aria della notte, scosso dai brividi mentre il sangue sgorgava dalle ferite, raffreddando il fuoco della vita nel suo corpo fino a quando non c’era stato più alcun movimento, alcuna sensazione. Era una scena finale, congelata prima dell’inizio dei titoli di coda, il suo tempo davanti allo schermo interrotto di colpo. Tutto il sangue del John Doe aveva formato, goccia dopo goccia, frange di ghiaccioli cremisi dai punti più bassi del corpo, come se ogni parte, ogni tessuto dell’uomo, avesse lottato per fuggire da quel ramo di dolore e morte. L’effetto complessivo spogliava quel cadavere dell’umanità, come quel lieve odore, lasciando una caricatura disgustosa di ciò che era stato una volta. Un agente in uniforme, il cui nome sfuggiva alla mente di Jack – Morano o Moreno, qualcosa del genere – gli fece un cenno con il capo mentre si avvicinava alla scena del crimine. Accucciato sotto il corpo, a circa mezzo metro dal bordo dei ciuffi d’erba rovesciati, il calvo, magro e occhialuto coroner di Colby, Terrence Cordwell, stava preparando la sua attrezzatura. «Prevedono dai venti ai venticinque centimetri di neve, a cominciare dalla mezzanotte. Riesci a crederci? Probabilmente continuerà anche domani», stava dicendo Cordwell a Dave Brenner, il suo assistente, che era passato dalla videocamera digitale alla pellicola. Dave stava documentando l’esagono realizzato nella terra e il corpo con un’altra serie di fotografie a distanza ravvicinata. Tutti e due annuirono all’indirizzo di Jack mentre si univa a loro. Brenner mise piede nel centro dell’esagono e scattò un’istantanea alla ferita al collo, una lacerazione simile a un secondo cipiglio, quindi uscì dal cuore della scena del crimine e fece il giro. Fischiò, tenendo il righello da tasca sotto le scapole del cadavere, e scattò un altro paio di foto. «Ehi, Glazier. Dov’è Morris?» Jack si accucciò e guardò più da vicino la ferita al collo. Sembrava profonda e irregolare, come se diversi oggetti affilati avessero tirato e strappato la carne nello stesso momento. Di nuovo pensò a un morso. «È al battesimo del nipote. È il padrino, credo.» «Povero ragazzo. Ehi, tempo di merda, eh? Troppo freddo per essere maggio.» «Freddo, già. Ma niente di inaudito, immagino.» «No», rispose Brenner da dietro la spalla, e Jack sentì il ronzio e lo scatto della macchina fotografica mentre il collega faceva un’altra foto. «Su a nord, forse. Ma altra neve da queste parti è terribilmente fuori stagione. È un segnale che il pianeta è fottuto, per come la vedo io. Il riscaldamento globale e stronzate del genere.» Jack non rispose. Brenner non gli piaceva particolarmente; quel tipo pareva avere sempre una cosa in più da dire rispetto a quelle che Jack aveva la pazienza di ascoltare. Perciò Jack si rialzò e si voltò verso Cordwell. «Allora cos’è successo a questo tizio?» Il coroner si infilò i guanti di lattice. «Nessun documento – nessun portafogli – ma ha denti e impronte digitali, perciò se è nel sistema dovremmo essere capaci di identificarlo. Morto da otto, forse nove ore. Con il freddo è difficile dirlo per certo fino a quando non lo riportiamo alla tana. Quello che posso dirti è che è congelato a morte prima di avere la possibilità di dissanguarsi, anche se l’ipotermia è stata probabilmente accelerata dalla perdita di sangue. Quelle lacerazioni e quella ferita al collo sono state fatte, suppongo, proprio per velocizzare il processo. Sono state inferte da un animale, almeno la maggior parte. Non so ancora di quale tipo, ma abbiamo trovato e imbustato quello che sono sicuro sia un dente.» «Morsi di un animale? Perciò che è successo, qualcuno lo ha dato in pasto a qualcosa e poi ha appeso ciò che rimaneva?» Cordwell si strinse nelle spalle. «Più probabilmente è accaduto il contrario. Qualcuno ha appeso questo tizio e lo ha lasciato a… qualunque cosa gli abbia fatto questo.» Jack aggrottò le sopracciglia, muovendosi lentamente mentre esaminava il cadavere. Una mano era mancante. Quando lo sottolineò, Cordwell scosse il capo; non l’avevano trovata. La gamba a cui il John Doe era legato era pressoché illesa. Jack immaginava che un uomo avrebbe potuto sapere che andava lasciata intatta per supportare il peso del corpo, ma come l’animale o gli animali fossero riusciti a evitarla poteva solo immaginarlo. Probabilmente l’arto era troppo in alto perché riuscissero a raggiungerlo. L’altra gamba era straziata, ma non quanto la testa, le braccia e il torace. Le ferite si alternavano tra tagli che Jack immaginava provocati da un coltello e quelle lacerazioni frastagliate che in parecchi punti arrivavano fino all’osso. Jack scosse il capo di fronte a quella brutalità e si spostò per osservare il retro. Quindi vide il marchio. Nell’intero spazio tra le scapole, dei brutti rigonfiamenti di pelle arrossata formavano una specie di grosso simbolo che Jack non riconobbe, caratterizzato da vortici asimmetrici attraversati da un irregolare reticolo di linee. Sembrava intenzionale, in effetti Jack fu sorpreso che il design fosse così chiaramente e laboriosamente formato. «Ehi, Brennan, hai scattato una foto a questo?» «I segni di bruciatura? Sì. Una stronzata raccapricciante. Occulto?» «Forse. Sembrano abbastanza freschi.» «Sai», cominciò Brenner con un tono attento, misurato, «se è una faccenda da adoratori del diavolo, forse vorrai chiamare Ryan per questo caso.» Jack aggrottò le sopracciglia, lanciando un’occhiataccia all’agente più giovane. «Non credo che avremo per forza bisogno di lei.» Brenner si strinse nelle spalle. «Magari no. Magari il marchio non significa proprio niente se non qualche fantasia satanica di uno svitato che si crede un qualche Grande Arcimago o qualcosa del genere. Ma sai, se non fosse così…» Jack dedicò la piena attenzione del suo sguardo a Brenner e il resto della frase sfumò. Non era che a Jack non piacesse Kathy Ryan; qualche anno prima avevano lavorato a stretto contatto su un giro di p*******a con delle forti connessioni con una setta radicale della Golden Dawn che operava fuori da Newport. Era anche stata chiamata per lavorare con lui per arrestare uno spacciatore di Boston, un pezzo grosso, la cui specialità era, oltre alle suadenti rivelazioni pronunciate sul pulpito di una chiesa ortodossa russa abbandonata, una polvere che si diceva rendesse i devoti capaci di vedere i demoni e persino di provare a ucciderli. Pratiche occulte, antichi grimori, adorazioni del diavolo, sacrifici di sangue e rituali per arcaici dei e mostri: ecco di cosa si occupava Ryan. Lei aveva lavorato in tutta la Nazione come consulente privata per i tutori dell’ordine, stimando il coinvolgimento dell’occulto e valutando i rischi, ed era nota per essere efficiente e discreta. Era anche capace, con ingegnosità o connessioni misteriose, di aggirare le trafile e la burocrazia riguardanti la libertà di espressione religiosa che di solito rallentavano le altre indagini. Jack pensava che fosse brillante, riservata e profonda, ma anche il tipo di donna da cui era inesorabilmente attratto, con suo grande sconcerto. Ryan era brava in ciò che faceva, anche se dire che era popolare tra le persone per o con cui lavorava sarebbe stata un’esagerazione. Come fosse arrivata a quell’ambito lavorativo o avesse acquisito la reputazione di essere una delle migliori esperte nel campo era qualcosa che custodiva gelosamente; Jack sospettava che tale segreto contribuisse a ciò che rendeva i suoi occhi cupi e il suo sorriso sfuggente, e ogni tentativo di avvicinarsi a lei impossibile. Le sue esperienze formavano fantasmi di espressioni tormentate sotto la facciata che offriva al mondo. E Jack pensava che potessero volerci soltanto una bottiglia di vodka e una .38 in più perché Kathy spazzasse via dal retro della sua testa tutto ciò che aveva imparato in lungo e in largo. Cordwell gli diede una pacca sulla spalla, strappandolo dai suoi pensieri. «Avrò un rapporto preliminare per te in un giorno o due. Rimani al caldo.» Jack annuì mentre gli uomini si allontanavano, abbassandosi sotto il nastro della polizia. Vide Cordwell dirigersi verso uno dei tecnici, dirgli qualcosa e poi indicargli la sua posizione. Jack immaginò avesse informato il tecnico che il cadavere era pronto per il trasporto. Rimase immobile per qualche istante, gli occhi attratti dai dettagli del corpo, i lineamenti distorti del viso, le ferite che già cominciavano ad avere l’aspetto di carne tenuta troppo a lungo nel freezer per creare corrispondenza con il fetore che, quando il vento calava, si faceva strada nelle narici, nell’aria fredda e secca. Jack si allontanò verso il piccolo gazebo che era stato allestito sopra un tavolo pieghevole, progettato per essere la zona di sicurezza dei detective. Immaginava che il detective Reece Teagan sarebbe già stato lì, pronto a esaminare gli oggetti rinvenuti a terra. Ed era così: le sneakers rovinate di Teagan erano appoggiate all’angolo del tavolo delle prove mentre lui era su una sedia pieghevole di metallo. Stava osservando attentamente il contenuto di un sacchetto di plastica per le prove con una targhetta rossa, una Camel spenta che gli penzolava dalle labbra. Con la mano libera, faceva scorrere distrattamente le dita tra i capelli, una stramba abitudine che li mandava verso l’alto in spuntoni biondo sporco. Quando si accorse che Jack si stava avvicinando, gli fece un cenno di saluto che fece tornare quegli spuntoni più o meno a posto. Jack notò per la prima volta che gli spuntoni in questione avevano qualche striatura grigia: non quante Jack ne aveva viste nell’ultimo anno tra i suoi capelli neri, ma abbastanza da ricordargli di nuovo quanti casi aveva affrontato insieme a Teagan, Morris e Cordwell, e i loro inverni a Colby.

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