GUERRINO, DETTO IL MESCHINO
Andrea da Barberino
PARTE QUINTA (1)
Sommario delle parti I - IV
La vita di Guerrino fu breve, densa di avvenimenti e piena di disgrazie. A solo due mesi, rapito dai corsari, fu venduto in schiavitù e il suo padrone, per disprezzo, gli diede il nome di “Meschino”, a significare il suo stato di infelicità.
Le cose comunque gli andarono meglio dopo essere stato adottato dall’imperatore di Bisanzio, ma, nonostante avesse conquistato la mano di sua figlia in un torneo e gli fosse stata offerta in dote la metà del regno, la rifiutò per seguire le tracce dei suoi genitori.
Più tardi, innamoratosi di una ragazza di Persepolis, chiamata Antinisca, Guerrino ne rimandò le nozze perché doveva proseguire la sua ricerca, così che la ragazza prometteva di attenderlo per dieci anni, trascorsi i quali, se non fosse tornato, sarebbe stata libera di sposare un altro.
Avendogli detto una strega che la sola strada per trovare una risposta alla sua ricerca era viaggiare agli Arcani Alberi del Sole, Guerrino finalmente arrivava nell’Italia centrale.
1. Con il gentile permesso dell’associazione culturale di Montefortino, “La Cerqua Sacra”, di usarlo, questo testo è la trascrizione, fatta dalla stessa associazione, dell’edizione stampata nel 1567 a Venezia. Poiché c’è una lacuna di due pagine nella copia usata da “La Cerqua Sacra”, per fare la trascrizione ho usato l’edizione del 1512 onde fornire la parte mancante. Il paesino vicino, Montemonaco, ospita il museo della Sibilla.
Capitolo I (138) (3)
Come il Meschino, giunto ad Arezzo, domandasse notizie della savia Sibilla.
Essendo il Meschino nella città di Arezzo, domandò a certe persone dove era il monte della Sibilla: e siccome, mentre ne ragionava con quelle, capitò un vecchio che dava attento ascolto alle sue parole, questi, chiesto di parlare, disse ch’egli possedeva un libretto che parlava di questa Sibilla e di due individui che erano andati a visitarla.
E sempre raccontando ciò che in quel libretto era scritto, il Guerrino seppe che uno di quei due era andato fino a quel luogo, essendogli all’altro mancato il coraggio di proseguire il cammino.
Quello che aveva salito le montagne dove è la Sibilla, cioè nel mezzo dell’Italia, raccontava di aver udito soffiar molti venti, perché le cime sono alte e lì stavano i grifoni.
Più sotto alla montagna si trovava la città di Norcia, e il Meschino, partendo da Arezzo di Calabria, verso quella s’incamminò. Passate le montagne di Aspromonte, trovò un altro monte grandissimo, chiamato Penino, e penetrato entro il paese summenzionato, giunto ad un’osteria, vi alloggiò. L’oste era un bell’uomo, di aspetto franco e liberale, il quale fece gran festa e buona accoglienza al Guerrino. Non appena smontato da cavallo, costui gli domandò chi fosse, donde venisse e dove andasse, e il Meschino gli replicò: “Ho girato tutto il mondo, non so donde venga e non conosco ove vado.”
Rispose l’oste al cavaliere: “Nobile gentiluomo, v’avrei forse offeso chiedendovi ciò?”
“No davvero!” rispose il Guerrino.
“Ebbene, - soggiunse l’oste - se io vi ho domandato di quelle cose, l’ho fatto perché noi amiamo di sapere chi viene in paese.”
Allora il Guerrino disse: “Forse hai tu girato pel mondo?”
“Sì: sono stato in Siria, in Romania, in Spagna, in Inghilterra e in Fiandra, e ho girato e visitato quasi tutte le regioni di ponente. Ora, essendo tornato in patria, posso dire di aver provato il bene e il male, e di sapere come si debba vivere in società. Quando avrò figli grandi insegnerò loro per prima cosa di andar viaggiando pel mondo, perocché ritengo che chi non viaggia e osserva e vede tutto, non possa dirsi uomo!”
Sentendo così saggio ragionamento, il Guerrino gli chiese notizie della savia Sibilla. L’oste rispose che c’erano delle montagne nelle vicinanze, e che egli non vi era mai voluto andare; anzi consigliava il Guerrino di distogliere il pensiero, caso mai ne avesse avuto voglia, tanto che nel raggio di sei miglia dalla di lei abitazione, nessuno si azzardava di mover un passo. Gli disse inoltre che prima di arrivarvi c’era una specie di fortezza e più in là un romitorio, ove alcuni eremiti sconsigliavano e vietavano il passo a chi avrebbe potuto recarvisi.
“Costì, - disse l’oste – solo gli uccelli possono volare. Ove in passato c’erano i grifoni ora vi sono solo falconi, aquile, avvoltoi e altre fiere selvatiche. Onde, - soggiungeva poi - vi sconsiglio assolutamente di andarvi, perocché non uno, di cento che vi si recassero, tornerebbe in qua.”
Ma il Guerrino, sempre fermo nel suo proposito, rispose: “Bene, bene, ho capito, per ora non parliamo più di questa Sibilla.”
3. I numeri fra parentesi sono quelli originali dei capitoli dell’edizione di Venezia
Capitolo II (139)
Come il Guerrino, parlando con dei forestieri del suo disegno di andar alla Sibilla, ne fosse da quelli distolto, narrandogli delle molte paure e pericoli che avrebbe incontrato, facendolo.
Il mattino seguente, avendo il Guerrino domandato all’oste se per caso avesse un familiare da mandar con lui per la città, quei gli disse che volentieri gli avrebbe dato suo figlio, col quale si recò alla chiesa più prossima per udirvi la santa messa. Essendo poi uscito nel mezzo della piazza, il Guerrino ascoltò che alcuni forestieri parlavano tra loro di certi paesi, raccontando molte cose particolari da essi vedute.
Accostatosi al gruppo, egli fece in modo di far cadere il discorso sopra gli incantamenti ed ora parlando di una cosa, ora dell’altra, disse uno di quelli:
“Messeri, ho sentito dire taluno che in queste vicinanze trovasi la savia Sibilla, la quale essendo vergine nel mondo credette che Dio scendesse in lei quando s’incarnò nel grembo della Vergine Maria. Per questo ella si disperò e fu giudicata per questa ragione in queste montagne.”
Il Guerrino, sentendo questo, così domandò:
“Or come può essere vero questo, e chi lo asserisce per tale?”
E un vecchio, che aveva pur esso prestata attenzione a quei discorsi, replicò:
“O gentiluomo egli ha detto il vero ed io posso assicurarvi che questa Sibilla sta in queste nostre montagne, avendolo sentito affermare da tre giovani che vi si sono recati. Due però ritornarono, mentre il terzo di essi non fu più visto.”
E quel vecchio soggiunse:
“Costoro raccontarono di essere stati presso un romitorio distante due miglia di qui, e non vollero andar più in là per i grandi dirupi che videro e per gli spaventosi luoghi abitati dai romiti. Li udì anche dire che due eremiti sono possessori di una scrittura, nella quale è narrato di un certo messer Lionello di Saluzzi di Francia, il quale, pel grande amore che portava ad una damigella, si era vantato di essere andato lassù, ma di non essere entrato all’interno per i grandi venti che spiravano dalla bocca dell’entrata, oltre che pei grandi ostacoli di pietre, rovine, burroni, sbalzi, precipizi e vallate che qua e là intercettavano ai passanti il cammino.
Ivi, osservò quell’ardito che una gran montagna, fessa in due lati, precludeva quasi il passo, sebbene nel suo mezzo fosse pur necessario mettere il piede se si voleva giungere alla meta prefissa.”
Compiuto costui il suo dire, al Guerrino parve convenevole ringraziarlo assai, e lo avrebbe ben volentieri condotto seco all’albergo d’Anuello per fargli onore, se quegli, con bel garbo, non vi si fosse rifiutato.
Capitolo III (140)
In qual modo l’oste confortasse il Guerrino, il quale, confessatosi e comunicatosi, dispose tutto l’occorrente che gli abbisognava per proseguire il suo viaggio.
Il Guerrino era rimasto assai contento di quello che aveva udito dire della Sibilla: nondimeno se ne tornò all’albergo, andò in camera e mentre sospirava restò lì tutto pensoso. L’oste all’ora di mangiare apparecchiò l’occorrente pel pasto e vedendo il Guerrino così pensoso ne ebbe compassione perché gli sembrava una persona gentile e nell’occasione non disse nulla. Giunta però la sera, mentre Guerrino era in camera, prese a confortarlo alquanto dicendogli: “Gentiluomo dabbene, per qual cagione dacché foste qui alloggiato, siete rimasto così serio e pensoso?”
E il Guerrino, rispondendogli, disse: “Per la mia fede, se io potessi essere certo che tu volessi mantenere il segreto, forse te lo direi!”
Anuello gli rispose: “Se non è che per la mia fede, non vi sarebbe gran cosa al mondo che io non mantenessi celata ad ognuno.”
“Ebbene, giuralo,” replicò il Guerrino.
E quello lo giurò, con sacramento.
Il Guerrino allora cominciò a dirgli tutto, dal principio: dal momento in cui si trovò schiavo di Epidonio; tutto quanto gli era accaduto nella città di Costantinopoli e la cagione per cui aveva fino allora viaggiato pel mondo, i pericoli corsi, le cose vedute, le battaglie vinte, insomma tutto per ordine gli raccontò, non escluso ciò che aveva sentito dire quella mattina stessa, nella maggior piazza della città. L’oste, all’udire siffatte avventure e vicissitudini, per commozione piangeva assai; ma alla fine, dando tregua alle lacrime, così gli disse: “Messere, comanda pure quel che vuoi, che io, per quanto posso, tutto per te son pronto a fare.”
Il Guerrino in tal modo gli rispose: “Senti, io ti lascerò in custodia fino al mio ritorno il cavallo e le mie armi, ed insieme a queste cose, tanto danaro in oro e argento, da poter far le spese per due anni intieri. Ti raccomando soprattutto di voler tenere bene il mio nobile destriero, affidandolo alle mani di qualche familiare che se ne prenda cura, governandolo in quello che gli occorre. Lo farai tu?”
L’oste si profferse volenteroso a mantenere le richieste del Guerrino; e questo non si sa bene se lo facesse per suo buon cuore, o per la intenzione di vedersi padrone di tutto, sperando, forse in sé, che il cavaliere non ritornasse dalla pericolosa impresa che si accingeva a intraprendere.
Il Guerrino si rallegrò molto di questa cosa, indi chiese all’oste: “Vorrei, se si potesse, avere una guida che mi accompagnasse fino al romitorio.”
Ed Anuello gli replicò: “Altri che me sarà la tua guida fin là e io solo prendo impegno di accompagnarti. Però se tu vuoi ascoltare un ottimo consiglio, dissuaditi dal recarti colà, perché chi ci va non è amico di Dio.”
Il Guerrino soggiunse: “Questo non sarà mai, perché non posso fare a meno di andare a rintracciar mio padre.”
Anuello, sempre consigliando, rispose: “Ho sentito dire che colui che va fin là non ne esce più vivo: però, se tu vuoi andarci in ogni modo, io ti prometto di attenderti per tre anni, anziché due, come mi hai detto.”
Il Guerrino l’accettò per sua guida e l’oste promise di seguirlo fino al romitorio: indi, abbandonando ogni altro pensiero, disposero il tutto per recarvisi la mattina di poi.
Giunto l’indomani, il Guerrino consegnò ad Anuello le armi e il cavallo, non che molto argento e oro; però l’oste, ebbe consiglio con certe persone di quello che bisognava portare e fece acquisto di una quantità di candele di cera, non che di una tasca contenente esca, pietra e acciarino.
Capitolo IV (141)
Come il Guerrino e Anuello entrarono in cammino ed arrivarono al castello e poi andarono ad un romitorio, dove, da un romito, ebbero consiglio.
Dopo aver posto in ordine l’occorrente pel viaggio, giunto il mattino, l’oste prese seco alcuni panni, del formaggio e una grossa fiasca di vino, apparecchiando al tempo stesso due buone cavalcature: due ronzini!! Fatta colazione montarono ambedue a cavallo, dirigendosi verso la rocca della Sibilla. Giunti al castello, che trovavasi distante da Norcia circa sei miglia, smontarono, presentandosi ad un ufficiale il quale, non appena li vide, cominciò aspramente a rimproverarli, e tanto più il Guerrino, a cui disse che era disperato e che, andando in quel luogo, sarebbe stato scomunicato. Tutto quanto poteva dire per distoglierlo da siffatto proponimento il Rettore lo disse, ma sempre invano, perché il cavaliere non gli dava ascolto. Allora quegli, vie più infervorato nella propria idea, gli disse: “Deh! non fate, o gentiluomo, che una persona di considerazione come voi sembrate, abbia a perdersi così miseramente! Come mai vi è venuto in idea di andare dove stanno solamente ribaldi e gente disperata?”