Capitolo 2

1500 Parole
2 Concluse le formalità di rito in Centrale, Mangiaracina fu condotto in carcere che albeggiava. Steppani si scatenò ad abbordare a velocità sostenuta le curve e i tornanti che portavano a Caltanissetta, la piccola Atene immortalata da Sciascia. Nella trasferta a sirene spiegate lo affiancò un giovane collega in forza alla Compagnia da poco tempo. Il malcapitato ignorava la guida sportiva del brigadiere e dopo quaranta minuti sulle montagne russe, toccò terra sottosopra e verdastro. Porcufinu, stravolto dalla guida di Steppani, varcò come uno zombie la soglia del Malaspina. Bonanno preferì sorvolare sulla galoppata fuori ordinanza di Steppani: presto gli avrebbe chiesto la contropartita, un consistente rapporto per archiviare una volta per tutte la pratica Mangiaracina. Non amava le scartoffie e delegava il sottoposto ad occuparsi delle pratiche da scrivano. Do ut des. Così andavano le cose nella caserma di Villabosco, cittadina medievale spersa tra i monti sicani da dove si dominava mezza Sicilia. Nelle notti di luna si potevano toccare le stelle e farci ghirlande di luce solo allungando un dito. Un posto baciato dal cielo, ma preso a calci dagli uomini. Aria pura e scempi di ogni genere. E a lui, maresciallo dei suburbi, toccava il compito di fare rispettare la legge, anche se Roma era lontana e nell’isola ognuno alimentava la propria personale concezione di diritti e doveri. Immerso in quelle considerazioni oziose, si rese conto con ritardo del bussare insistente alla porta del suo ufficio. “Avanti.” “Comandi, maresciallo, una visita per lei” si impalò il piantone sull’attenti. “Illustre maresciallo! Sono venuto appositamente per congratularmi a titolo personale. Come sindaco di questa città, invece, le farò ottenere un plauso formale per renderla partecipe della stima e della riconoscenza dell’amministrazione comunale che mi onoro di presiedere” parlò tutto d’un fiato Totino Prestoscendo. Bonanno fulminò l’incolpevole piantone per quell’attacco alla sprovvista e cercò di contenere l’entusiasmo di Prestoscendo. La porta aperta lasciava intravedere l’ufficio di fronte, da dove Bonanno vide Steppani intento a godersi la scena. “Non servono i ringraziamenti, sindaco, tutti servitori dello Stato siamo.” “Non sia modesto” disse ancora il primo cittadino di Villabosco, prendendo posto sulla sedia. “Se tutti fossero ligi al dovere come lei, esimio maresciallo, a Villabosco le cose andrebbero per il giusto verso, altroché se filerebbero! E invece ci tocca ogni giorno battagliare per educare mezza città al concetto di legalità, al rispetto dell’ambiente, all’osservanza delle regole. Lo sa cosa hanno combinato i soliti vandali nei giardinetti appena rimessi a nuovo? Tre lampioni spaccati e una panchina ribaltata. Un pacco di quattrini presi dal bilancio comunale ci avevo speso. Che cosa ci provano a rovinare dei beni comuni?” Sarà che sono targati Totino Prestoscendo e ognuno protesta a modo suo, pensò Bonanno, ma per amor di pace, ben altre parole tirò fuori: “Eh, la capisco, ci vuole pazienza.” Si pentì di quell’apertura solidale. Prestoscendo si infervorò e se la prese con la scuola che non assolveva più ai suoi compiti precipui, coi preti e i loro dogmi che allontanavano i giovani e con l’eccessivo permessivismo delle famiglie. Ma Bonanno era stanco e ne ebbe subito abbastanza. “In municipio non avete un apposito assessorato preposto alle problematiche giovanili?” Prestoscendo non si aspettava quell’appunto malevolo e rimase come un mammalucco. Cercò di riacquistare la baldanza silurata da Bonanno, ma quando riprese a parlare sputacchiava. Provvidenziale, lo squillo del telefono interruppe la pantomima tra il sindaco e il maresciallo. “Chi parla?” soffiò Bonanno nella cornetta. “Stazione spaziale chiama pianeta terra, e se la terra è scaltra farà buon uso di questa chiamata stellare, io tiro fuori l’astronave” disse San Steppani. “Comandi, arrivo subito” disse Bonanno. Con faccia di circostanza, rivolgendosi a Prestoscendo, aggiunse: “Comunicazione di servizio urgente, il dovere mi chiama, devo lasciarla.” “Nulla di grave per la nostra comunità, voglio sperare” rispose il sindaco a labbra strette. “Normale servizio d’ordine.” “Non la trattengo, allora, arrivederci, maresciallo… ah, dimenticavo: ho deciso di ricandidarmi e volevo essere io a dirglielo.” “Un’altra volta?” Proprio non sapeva tenerla a freno la sua linguaccia. Dannata impulsività. Gli sovvenne il monito che sua madre, donna Alfonsina, gli ripeteva da quando portava i calzoni corti: a lingua nun havi ossu ma rumpi l’ossu. Quante volte l’aveva sottratto all’altrui impeto quando lui, schietto e fin troppo diretto, provocava reazioni scomposte nei destinatari dei suoi commenti inopportuni. Col passare degli anni aveva imparato a tenere la bocca chiusa, ma bastava un niente per abbassare la guardia e ritrovarsi nei pasticci, quando l’impulso prendeva il sopravvento. “Le dà tanto fastidio?” si irrigidì Prestoscendo. Bonanno cercò di metterci una pezza: “Non mi fraintenda, ma considerando, come lei ha sempre sottolineato, i tanti crucci che comporta amministrare una comunità così… complicata come Villabosco, pensavo che concluso il suo mandato non volesse più ricandidarsi, ma evidentemente mi sbagliavo.” “Evidentemente” sottolineò freddamente il sindaco. Cumannari è megghiu di futtiri pensò Bonanno, ma si guardò bene dal profferire un’altra sola sillaba. Lo salutò in fretta e uscendo incenerì con lo sguardo il piantone che gli aveva portato in ufficio tale jattura. Il maresciallo aveva un modo proprio di intendere l’impegno politico, e quel modo non coincideva né con la melliflua flemma di ominicchi plaudenti, né con l’arte dei compromessi di chi, ovviamente in nome e per conto della polis, faceva il bello e il cattivo tempo, trovando mille e un modo di intrallazzare e arricchirsi. Nulla di nuovo sotto il sole, ad ogni latitudine furbi e minchioni vengono su come funghi e la politica stessa diventa una deroga alla falsità. Ma a Bonanno proprio non andavano giù quei bipedi che si credevano meglio degli altri e continuavano a minchionare il popolo. “Steppà, decolla.” Steppani sorrise e pettinò l’asfalto con due dita di pneumatici: “Sorvoliamo tutte le Stazioni?” Era evidente che al brigadiere lo attizzasse il pensiero di misurarsi a briglia sciolta con le curve e le trazzere di campagna che collegavano i paesini della Montanvalle. “Non ti allargare.” “E dove vuole andare sua maestà, di grazia?” “A quest’ora abbisogno di zuccheri e caffeina.” “Ricevuto, capo.” Fecero un’abbondante colazione alla caffetteria del centro, aperta da pochi mesi da due gemelli che avevano recuperato e riadattato un vecchio stabile di famiglia. La gioventù che a Bonanno piaceva. Il maresciallo si concesse un dietetico cartoccio alla ricotta e un espresso così corposo che lo zucchero restava a galleggiare in superficie prima di essere inglobato in minuscole bolle scure. “Ah” disse, uscendo dalla caffetteria e infilandosi tra le labbra la sigaretta saluta caffè. Ma d’improvviso si paralizzò, incapace perfino di respirare. Rosalia Santacroce gli apparve quale mirabile visione da incorniciare. L’assistente sociale transitava a bordo della propria utilitaria. Il sangue a Bonanno si rimescolò, il cuore prese a pompare con più forza. Agitò la mano senza allungare il braccio, combattuto tra irrisolti complessi e la voglia di farsi notare. La Y10 rallentò e si fermò nel parcheggio. Rosalia gli andò incontro sorridente, incedeva solenne e magnifica come la Madonna dei Miracoli portata in processione. Bonanno boccheggiò. Le braccia abbandonate sui fianchi rigogliosi accompagnavano il ritmo naturale del portamento. Rosalia Santacroce non camminava, incedeva con naturale sensualità sul basalto di Villabosco e a ogni passo le anche baciavano il bacino rotondo e pieno. Bonanno non poté fare a meno di mangiarsela con gli occhi, risalendo alle spalle ben fatte e al petto florido. E lì i suoi occhi indugiarono un secondo di troppo. Deglutì per l’emozione, tentando di non farsi notare. “Saverio, che bello incrociarti così. Quasi non ti vedevo, come stai?” disse, baciandolo sulla guancia infuocata. “A posto.” “Mi hanno detto di ieri notte. Finalmente lo avete preso quel tipo, era ora” disse ancora Rosalia. “Eh sì.” A Bonanno le frasi uscivano a mozziconi. Con la coda dell’occhio, vide Steppani che, dal posto di guida, salutava con gesto galante l’assistente sociale e si godeva la scena. Davanti a Rosalia Santacroce il maresciallo non riusciva a profferire parola, diventava paonazzo e si imparpagliava come un ragazzino alla prima cotta. “Non essere modesto: la falsa modestia appartiene a chi è piccolo qua dentro” disse Rosalia, puntandogli l’indice sulla tempia. “Mangiaracina ha fatto penare anche i nostri servizi sociali con le sue pretese di contributi a non finire. Se non hai altri impegni, ti va di venire a cena? Così mi racconti” aggiunse Rosalia. Eccome se gli andava, ma come dirglielo senza squagliarsi? “Non so, devo verificare, i turni di servizio” farfugliò. “Chiamami se ti liberi, allora” disse Rosalia. Sembrava delusa. Si allontanò con quella grazia innata che la rivestiva come una seconda pelle e la rendeva irresistibile. “Gnam gnam, mi sa che Gatto Silvestlo vuole pappalsi a Titti” lo punzecchiò Steppani. Bonanno lo fissò truce. “Equipaggiata con quella carrozzeria, Titti, però, avrà la fila di pretendenti, e se Gatto Silvestlo continua a peldele tempo, qualcun altlo allivelà plima”, continuò Steppani, imitando il famoso personaggio animato. Bonanno preferì non rispondere, ma le mani cominciarono a muoversi a violino. Senza replicare, si avvicinò al lato guida, fece smontare il brigadiere, prese il suo posto e artigliò il volante. “Guido io” sibilò a labbra serrate. Colpito e affondato, ghignò Steppani. Rosalia era risalita in macchina, mise in moto e partì con la sua tipica sgommatina. “Parlando adesso seriamente, maresciallo, non penso serva dirlo, io non sono Gatto Silvestro, ma quando sorride con quella bocca, viene voglia di fermarla e controllarle tutto l’armamentario” lo provocò ancora il brigadiere. Il maresciallo ingranò la marcia e partì sparato, lasciando due dita di copertoni sull’asfalto. Gli bruciavano quei commenti maliziosi. Rosalia gli aveva risvegliato emozioni da troppo tempo sopite e non era più abituato a convivere con quel tipo di sentimenti. Steppani sorrise sornione. Altri occhi avevano osservato la scena. Gli occhi liquidi e penetranti di Agatina Barresi.
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