Un grande favore
Come sempre è in anticipo. La puntualità è sempre stata un suo grande pregio.
Apre l’antico portone di legno del ristorante e subito il maître lo accoglie:
“ Buonasera professore. Solo?”
“ Buonasera. No, aspetto mia figlia.”
“ Benissimo, vi preparo il tavolo. Un prosecchino in terrazza?”
“ Certo, con una serata così non posso assolutamente rinunciare.”
Giorgio attraversa la sala, apre la porta a vetro del ristorante, si siede a un tavolino della terrazza. Il fascino silenzioso del panorama sottostante lo avvolge regalandogli un’emozione che come sempre gli riempie il cuore. Lo sguardo si allarga dalle prime luci della città di Sondrio al castello Grumello già rivestito dalla fioca luce dell’illuminazione, ai vigneti avvolti dalle prime ombre della sera e accarezzati da una leggera nebbia.
Guarda immobile il panorama, quasi estasiato, come se lo ammirasse per la prima volta.
Pensa a sua figlia, una donna complicata, sola, austera, spesso fuggente.
I tocchi di un campanile in lontananza che annunciano le otto lo riportano alla realtà.
Come sempre è in ritardo.
Il traffico, il vigile che l’ha fermata, il parcheggio non trovato. Tutte le volte una scusa per giustificare il suo cronico ritardo. Gusta il suo prosecco lentamente, accompagnato da alcune scaglie di Valtellina Casera invecchiato.
Poi sente passi decisi che attraversano la sala, guarda l’orologio, quindici minuti di ritardo.
“ Ciao papà. Scusa non ho ...” non aggiunge altro, ride, consapevole di non poter trovare una scusa.
“ Niente di grave, sai che su questa terrazza io sto bene anche in solitudine, il panorama da qui è stupendo soprattutto a quest’ora. Bevi un aperitivo?”
“ No grazie, sediamoci a tavola.”
Silvia si avvicina al tavolo indicato dal maître. Giorgio la segue e non può fare a meno di osservare il suo fisico robusto, mascolino, anche se mascherato da un abbigliamento molto femminile. Quando sono seduti continua a guardarla.
È da tanto tempo che non si trova così vicino per osservarle il viso.
È invecchiata, alcune rughe vicino agli occhi e alle labbra. Il viso ancora uguale, viso ordinario, gli occhi vicini, il naso schiacciato, le labbra fini, quasi assenti … era così anche da adolescente, quando al liceo non era riuscita a farsi nessuna amica e ovviamente nessun amico. Quando passava i pomeriggi in camera a leggere, a studiare. Mai nessuna telefonata. Nessuna compagna che s’interessasse a lei.
“ Allora cosa prendiamo?” chiede Silvia aprendo il menu.
“ Per me va bene un primo.”
“ Anche per me.”
“ Gnocchetti?”
“ Sì, benissimo, anch’io.”
Giorgio apre il piccolo scrigno della carta dei vini. Legge ad alta voce “un pasto senza vino è come un giorno senza sole,” poi sceglie un Sassella Grisone servito al bicchiere.
Silvia guarda il padre, seria, silenziosa, timorosa di introdurre l’argomento per il quale l’ha invitato a cena.
Lui muove il bicchiere con grazia. Delicatamente lo avvicina al naso, annusa. Guarda la figlia. Nei suoi occhi vede il desiderio di introdurre immediatamente l’argomento. Finge di non capire.
“ Profumi elegantissimi di viole, rose e lamponi,” poi un piccolo sorso in bocca “veramente peccato che tu sia astemia e non possa apprezzare la piacevolezza di questo vino.”
Lei non risponde, prende un grissino, lo spezza lo mette in bocca.
“ Sai perché si chiama Grisone?”
“ No, papà non lo so.” Risponde con un tono insofferente.
Giorgio sorride. “Una brava albergatrice come te dovrebbe sapere tutto sui nostri vini. Comunque, prende il nome da una vigna della zona Sassella, già citata nel 1616 da Giovanni Guler von Weinerk: s’innalza una collina rocciosa e soleggiata, ma fertile di vino, detta Grisoni; essa produce il vino migliore e più squisito di tutta la valle ...”
“ Papà, ti prego, non ho voglia di sentire le tue storie sul vino.”
Giorgio la guarda, avvicina le labbra al bicchiere.
“ Ottimo.”
Aspetta.
Aspetta che sua figlia inizi a parlare.
Le sue mani muovono e rimettono a posto le posate con una particolare agitazione. Ancora alcuni secondi di silenziosa attesa. Una situazione che Giorgio non sopporta e finalmente rompe il silenzio.
“ Federica come sta? È alcuni giorni che non la sento.”
“ Bene, studia, legge, sente musica, tipica adolescente non problematica.”
“ Certo, sei molto fortunata, anche quando stava con noi era una brava bambina. I nonni l’hanno tirata su bene.”
Silvia sorride.
“ Papà, ho bisogno di un grande favore.” Si ferma, lo guarda, il sorriso si spegne, un leggero tremolio appare sulle labbra.
“ Dimmi figliola, sai che sei la mia figlia preferita.”
“ Dai smettila. Le ritorna il sorriso “È una cosa seria,” e finalmente “mi hanno offerto un lavoro a New York, aprire e gestire per sei mesi un albergo italiano.”
Giorgio spalanca gli occhi:
“ Complimenti, è sempre stato il tuo sogno … e anche Federica sarà contenta, dice sempre che la Valtellina è troppo piccola. Un nuovo film, Due valtellinesi a New York.”
“ Non scherzare, non è così semplice. Federica non può abbandonare la scuola, il suo inglese non le permette di trasferirsi in una scuola americana.”
“ Ma figurati, ci sono scuole apposta per stranieri.”
“ Ma poi io non ho tempo per seguirla, sarò impegnata tantissimo… e lei dopo la scuola sarebbe sempre sola.”
“ Ok, va bene, ma anche là potrà trovare amici, amiche …”
“ Papà, io ho paura, lavorerei malissimo e poi io vivrei in albergo, non mi danno l’appartamento. Io lo faccio anche per lei, è un ottimo contratto e avrò sicuramente opportunità di nuove conoscenze, magari utili per la sua carriera.”
“ E quindi?”
“ Quindi,” lo guarda, cerca di abbozzare un sorriso per essere più convincente “potrebbe stare con te.” Riesce a dire velocemente come se avesse avuto paura a pronunciare quelle parole.
“ Con me?” Giorgio diventa serio, lo sguardo agitato, scuote la testa, alza leggermente la voce.
“ No, no, non se ne parla proprio, tu sei pazza, non puoi chiedermi questo, io ho quasi settant’anni non posso occuparmi da solo di una bambina, io ho la mia vita tranquilla da pensionato, l’orto, il giardino, la mia bicicletta, i miei amici … la mia vita. Non puoi chiedermi di cambiare le mie abitudini, da solo con una bambina, no, no, non posso.”
“ Papaaaà … guarda che la bambina ha quasi diciassette anni, non le devi cambiare il pannolino, non la devi mettere a letto, devi seguirla, prepararle da mangiare, così magari trovi il tempo per cucinare e cominci a mangiare bene, evitando i tuoi pranzi e cene acquistati in gastronomia.”
“ Guarda che io sono un ottimo cuoco e se non fosse per l’età farei la selezione per Master Chef e magari riuscirei a stupire anche Cracco.”
“ Va bene, lo so, ma tu cucini solo per gli amici.”
“ Certo, non sciupo il mio talento per un pranzo o una cena da consumarsi in solitudine e poi i piatti della gastronomia son anche curati, buoni e dietetici.”
Il cameriere porta gli gnocchetti. La discussione si interrompe.
“ Buoni.”
“ Sì, ottimi.”
Mangiano silenziosi per qualche minuto accompagnati solo dal rumore delle posate che toccano i piatti. Giorgio appoggia la forchetta, alza lo sguardo, cerca gli occhi di lei e li trova pensierosi, stanchi.
“ Silvia, io sono vecchio, potrei prendere un infarto.”
“ Smettila, quando vai da solo in bicicletta non pensi mai all’infarto, anche quando pedali su sentieri isolati. Guarda che lo so che lo fai e poi mi racconti bugie, che vai con Giacomo, che fai solo strade frequentate, ma poi chissà perché ti hanno visto da solo a Castello sopra Gerola mentre prendevi il sentiero per l’alpe Tagliate.”
Giorgio ride.
“ Io sono vecchio, non posso rapportami con gli adolescenti. Federica ha bisogno di una mamma, del papà, non può raccontare al nonno i suoi problemi adolescenziali.”
“ Appunto, il papà che non ha mai avuto. Lei è sempre stata bene con te, ti adora, le piace la tua casa, il tuo giardino. Ti ricordi come era contenta quando aiutava la mamma nel giardino? E poi non eri tu il dirigente scolastico di una scuola superiore che quando è andato in pensione si è trovato un grande cartello con scritto grazie per averci ascoltato, grazie per averci capito, grazie di averci fatto crescere ?”
“ Sì, ero io, ma sono passati dieci anni, non ho più avuto rapporti duraturi con i giovani… Sono giù di allenamento. Lo so che lei sta bene con me, che parliamo molto, che è contenta di aiutarmi in giardino. Ma è un giorno, poi torna da te.
Quelle volte che si è fermata a dormire a Morbegno da me è uscita con una sua amica e io ho aspettato davanti alla televisione, guardando in continuazione l’orologio. No, Silvia, sinceramente, adesso mi sento vecchio, sono diventato apprensivo, mi agito subito, non me la sento. Trova un’altra soluzione, portala con te o rinuncia all’incarico.”
Silvia sembra arresa.
“ Prendiamo il dolce?” chiede.
“ Certo.”
Consumano in silenzio il dolce, i visi piegati sul piatto, quasi avessero paura a guardarsi. Giorgio è pensieroso, ogni tanto scuote la testa.
Silvia mette in bocca l’ultimo cucchiaio della “creme brûlé” all’albicocca e vaniglia con gelato all’amaretto.
“ Facciamo così,” dice con un mezzo sorriso sulle labbra, “io dovrei partire fra una decina di giorni. Per la metà di giugno tornerò, mi fermerò una settimana, vedremo come è andata, se ci sono problemi cercherò un’altra soluzione.”
“ A Federica l’hai già detto?”
“ Certo, le ho detto che mi hanno offerto questo lavoro e che lei non può venire con me e che quindi prima di accettare dovevamo trovare una sistemazione.”
Si ferma vorrebbe continuare ma aspetta. Ormai sa che è riuscita a convincerlo.
“ E lei ha detto che non c’erano problemi, mi trasferisco a Morbegno dal nonno e tutte le mattine prendo il treno come fa Alessia. Mamma, lo sai che il nonno ed io andiamo perfettamente d’accordo.”