Una storia di sassi
Nel baule le valigie, due scatoloni di libri di scuola, qualche romanzo che non ha ancora letto, il computer, le casse acustiche, due valige con vestiti e scarpe primaverili ed estivi.
“ Quelli invernali no, tanto a settembre tornerai ancora a vivere qui.” Aveva detto la mamma.
Il personale dell’albergo l’aveva salutata teneramente.
“ Se hai nostalgia vienici a trovare,” e lei, sempre sorridente, non aveva osato dire che non le sarebbe sicuramente mancata la sua casa/albergo.
Mentre aveva ascoltato tutte le frasi di circostanza, finalmente, come una liberazione, aveva visto l’auto del nonno. Si era diretta correndo verso di lui.
“ Ciao nonno, ti aiuto a caricare la mia roba.”
“ Hai fretta?”
“ No, è che… non sopporto questi saluti, sembra che stia andando lontana, in collegio, senza affetti, senza amore. Non sanno che sto andando dal mio nonnino, in una bella casa, dove mi troverò sicuramente bene.”
L’aveva preso sottobraccio, appoggiandosi al suo corpo.
“ Vieni, le mie valigie sono nella hall.”
“ La mamma?”
“ È di là con un signore, ha detto che dopo ci raggiunge.”
“ Ti spiace lasciare il tuo albergo?” Le aveva chiesto il nonno.
Lei si era fermata, l’aveva guardato seriamente.
“ Assolutamente no, non l’ho mai considerato mio, ma della mamma.”
Il nonno aveva sorriso, sapeva benissimo che da un po’ di tempo la nipote viveva con insofferenza il dover vivere in albergo.
Poi, non vedendola arrivare, erano entrati nell’ufficio della mamma per i saluti.
“ Ciao, fai la brava, mi raccomando, ubbidisci al nonno.”
Lei si era avvicinata e la mamma senza alzarsi dalla poltrona, aveva allungato il collo per un bacio frettoloso.
“ Ciao mamma, ci sentiamo.” Ed era uscita senza più girarsi.
Ed ora eccoli, nonno e nipote seduti sui sedili della vecchia Audi pronti per una nuova convivenza nella grande casa di Morbegno.
“ Bene, spero tanto che ti troverai bene nella città del Bitto, io sono vecchio, ma ancora autosufficiente…”
Federica lo interrompe, gli tocca delicatamente una gamba: “Nonno, tu non sei vecchio, sei ancora un giovanotto, anzi sono sicura che avrai anche qualche spasimante.”
“ Dai, non dire stupidaggini. Tu piuttosto, così carina, avrai sicuramente tanti ragazzi che ti corrono dietro.”
“ Sì, certo, però a me non interessano, tutti amici, per ora niente amore.”
Sono fermi a Madonna di Tirano per il passaggio del treno.
“ Se vuoi un po’ di musica… io però sono nostalgico, sono tutti cd un po’ datati.”
Federica fa passare i cd e sceglie il meglio dei Beatles .
“ Bello, mettiamo questo.”
La voce di John Lennon si espande nell’abitacolo. Il trenino rosso, con il suo fischio, passa lentamente davanti a loro. Il semaforo si spegne e le auto riprendono a muoversi sulla statale 38.
“ Il nostro trenino,” dice Federica mentre abbassa il volume della musica “sai che da quando è diventato Patrimonio Mondiale dell’Unesco in albergo abbiamo aumentato notevolmente le presenze?”
“ È sicuramente una grande attrattiva per il turismo valtellinese, un paesaggio stupendo che cambia di continuo da qui fino a 2300 metri… dai vigneti alle cime innevate.”
“ Un cliente un giorno mi ha detto che durante il viaggio gli era sembrato di essere entrato nel trenino elettrico che costruiva quando era bambino, con le piccole locomotive, le minuscole stazioni con il capostazione, i viadotti rettilinei che finivano con pezzi elicoidali, le gallerie, le curve strettissime, le pendenze spaventose.”
Giorgio sorride.
“ Non ci avevo mai pensato, è perfetta. Anch’io avevo un trenino, era proprio così.”
La voce di John Lennon si fa più intensa. Federica ascolta mentre guarda dal finestrino i terrazzamenti ormai vestiti di verde.
“ Ho saputo che ultimamente anche i terrazzamenti della Valtellina sono diventati patrimonio dell’umanità.”
“ Non è esatto. Non sono i terrazzamenti, ma l’arte nel realizzarli.”
“ Cioè?”
“ I beni culturali Unesco si dividono in beni materiali e in beni immateriali. Materiali quando sono fisicamente tangibili, esempio il trenino Rosso del Bernina o le incisioni rupestri della Valcamonica. Immateriali quando non sono fisicamente tangibili, come una lingua o un dialetto, una manifestazione folkloristica o anche una ricetta. Prendi la pizza, per esempio. È l’arte del pizzaiolo napoletano che è diventato patrimonio dell’Umanità, non la pizza. ”
“ E i terrazzamenti?”
“ Anche. Non sono i muretti a secco a diventare patrimonio dell’umanità, ma l’arte nel costruirli. Sono patrimonio immateriale. I muretti sono così perché c’è qualcuno che li ha costruiti con quell’arte. E l’Unesco ha voluto riconoscere questo ingente lavoro, ma soprattutto la capacità, l’arte di realizzarli.”
“ Non mi ero mai accorta, sono veramente belli, sembrano disegnati sulla montagna.”
“ Certo e farli conoscere ed apprezzare sarà sicuramente una grande occasione per promuovere iniziative e valorizzare il nostro territorio, la nostra enogastronomia, soprattutto i vini che nascono sui terrazzamenti. Sarà importante raccontare la storia, spiegare ai turisti come sono fatti i muretti e soprattutto fare in modo che questo saper fare venga trasmesso alle nuove generazioni, che non si perda, che non venga dimenticato, perché è patrimonio storico, perché sono stati i nostri antenati, perché rappresenta un’antica tradizione.” Gira la testa verso la nipote. “Guarda come sono belli.” Dice indicando alcuni muretti.
“ È vero. Uno spettacolo.”
“ Sai quanti chilometri di muretti a secco ci sono in Valtellina?”
“ Non so, da Morbegno a Tirano ci sono circa 50 chilometri …”
“ Quindi?”
“ 150, 200.”
“ Devi pensare di mettere in fila tutti i muretti di ogni terrazzamento, uno dopo l’altro e arriviamo a...?”
“ 500?”
“ No, molti di più, anzi moltissimi di più. In Valtellina c’è l’area vitata di montagna più estesa di tutta Europa ed è composta da terrazzamenti sorretti da 2.500 chilometri di muretti in sasso tutti costruiti a secco.”
“ Ma cosa vuol dire muretti a secco?”
“ Vuol dire costruire un muro senza l’uso di calce e cemento, solo un lavoro di incastro di sassi e un po’ di terra. Una costruzione laboriosa, un lunghissimo lavoro fatto tanto tempo fa da uomini pazienti, tenaci che, adagio adagio, sono riusciti a realizzare un capolavoro architettonico inusuale. Uomini e donne che hanno recuperato materiale pietroso da quello esistente sul posto, derivante da frane, da vecchi muri, ma anche ricavandolo dalla roccia riuscendo a costruire muri che, pur con una doverosa manutenzione, hanno retto all’usura di secoli di storia. Un lavoro certosino che ha permesso di creare degli spazi tra la roccia e la nuova costruzione, riempiti poi con terra.”
“ E la terra dove l’hanno presa?”
“ Sul fondovalle, trasportandola a spalla o con i muli. Pensa ancora quanta fatica. È stato un lavoro grandissimo fatto da uomini e donne.
Avevano capito che l’unico modo per poter coltivare in certe zone era costruire dei contenitori, riempirli di terra e formare così delle piccole superfici leggermente inclinate. Ma i muri avevano anche la funzione di trattenere le acque in caso di siccità, permetterne il deflusso regolare e creare le condizioni più idonee per evitare frane.”
“ In che periodo siamo?”
“ Bella domanda. Sembrerebbe che i primi a coltivare la vite in Valtellina siano stati i romani. Quindi?”
“ I Romani raggiunsero Como nel 196 a. C., ma conquistarono le Alpi solo due secoli dopo.”
“ Brava, ma la vite fu forse introdotta anche prima, con i liguri ed etruschi che formarono i primi insediamenti urbani nella valle. Quindi?”
“ Età del ferro, se non ricordo male gli etruschi si insediarono sulle Alpi centrali nel 500 a.C. e i liguri ancor prima.”
“ Sempre più brava. Sembrerebbe anche che furono i liguri, conoscitori della coltura della vite a costruire i primissimi terrazzamenti che in realtà sono molto simili a quelli dei famosi vigneti delle Cinque Terre.
La costruzione dei nostri muretti è però più recente. Iniziò nel Medioevo, ma la diffusione sul versante retico è successiva al 1500, con un grande impulso quando i Grigioni si impossessarono della Valtellina. Anno?”
“ Dal 1512 al 1797. Giusto professore?” Ride, lo guarda e gli accarezza la mano che in quel momento è posizionata sul cambio. I loro occhi si incontrano e Giorgio non può fare a meno di notarne il colore verde, luminoso, occhi che dimostrano contentezza, gioia di ascoltare, con nessuna nostalgia per l’albergo di Tirano, per la mamma che non vedrà per diversi mesi.
“ Sai che i tuoi occhi hanno il colore delle prime foglie delle viti che proprio in questi giorni cominciano a formarsi?”
“ Grazie nonno, un complimento bellissimo, un paragone stupendo, dovresti fare lo scrittore.”
“ Lo diceva sempre anche tua nonna. In realtà quando c’era lei ho scritto diversi racconti, ma dopo la sua morte non sono più riuscito, ho perso la concentrazione o forse semplicemente era il sapere che lei non avrebbe potuto leggermi.”
Con un dito si asciuga l’umidità di un occhio. Federica nota il gesto, cerca subito di cambiare discorso.
“ Quindi eravamo rimasti ai Grigioni.”
“ Certo. Il dominio svizzero da parte dei Grigioni diede un grosso impulso alla viticoltura valtellinese soprattutto con il commercio e l’esportazione di vino in tutta Europa, che purtroppo terminarono con la fine dell’amministrazione svizzera. Allora si cercarono e si trovarono nuovi mercati, come quello della Lombardia, ma per la viticoltura cominciò una lunga crisi che culminò a metà del diciannovesimo secolo. Ricorda però che la vite non si coltivava solo sui terrazzamenti retici. Anche nei paesi del fondovalle e in diversi paesi orobici c’erano vigneti.
Nei primi anni del 1800 ne risultavano censiti oltre 6000 ettari, di questi solo 1700 erano terrazzati. Ma come dicevo a metà del diciannovesimo secolo iniziò il declino. per una serie di calamità di natura climatica e a causa di gravi malattie delle piante: oidio, peronospora, filossera.
Per un decennio la produzione di uva si annullò quasi del tutto portando ad una crisi economica gravissima tanto che l’intera Lombardia si commosse di fronte a questa situazione, e l’arciduca Massimiliano, viceré del Regno Lombardo-Veneto, promosse una lotteria a favore dei «poveri di Valtellina».
Lentamente si ricominciò, ma poi sopraggiunsero la prima e la seconda guerra mondiale che portarono alla forte diminuzione della manodopera maschile reclutata al fronte.
La superficie vitata diminuì sempre più. Gran parte dei vigneti coltivati sui conoidi furono riconvertiti a meleti o anche sottratti all’agricoltura per la forte urbanizzazione.
Anche gli ettari vitati terrazzati diminuirono. Il dopo guerra, con la ricostruzione, con le prime industrie in provincia, richiese sempre più mano d’opera e portò all’abbandono dell’agricoltura come attività principale che diventò sempre più un’attività svolta come secondo lavoro. E ovviamente anche la viticoltura diventò un’attività secondaria. Negli ultimi decenni del secolo scorso il settore riprese gradatamente grazie soprattutto alla collaborazione fra enti, istituzioni e a grossi investimenti di imprenditori che investirono nella qualità e nella professionalità soprattutto in cantina. Arriva anche il riconoscimento dei nostri vini come DOC, poi come DOCG, ci sono importanti interventi anche economici per nuove politiche di comunicazione, di marketing e oggi possiamo dire con orgoglio che la nostra viticoltura è diventata una grande protagonista dell’enologia nazionale e internazionale”.
“ Ma quanto vino si produce in Valtellina?”
“ Già eravamo rimasti ai 6.000 ettari di vigneti. Oggi si stimano circa 1250 ettari di vigneto, tutti terrazzati, di cui 850 dedicati alla produzione di vino DOCG, DOC e IGT, con una produzione totale di circa tre milioni e mezzo di bottiglie all’anno.”
“ Una bella storia che andrebbe raccontata a tutti i giovani valtellinesi.”
“ Certo. Ricordati che la Valtellina è oggi la più grande area viticola terrazzata di montagna in Italia, e quindi quando attraversi la valle, alza gli occhi verso le Alpi Retiche, e lasciati trasportare dal fascino dei secoli di storia e tradizione che c è dietro ogni muretto.”
“ Fascino, ma anche sudore e fatica dei nostri antenati che hanno costruito questo gigantesco vigneto.”
“ Sì, ma ci sono diversi motivi che giustificano l’immane fatica, la caparbietà …” risponde Giorgio alzando il volume dello stereo come per chiudere il discorso.
Federica lo guarda, rigira la manopola, “No, dai raccontami, mi interessa tantissimo quello che dici.”
“ Ok, dicevo, diversi motivi. Primo perché nel periodo invernale non avevano molto da fare e quindi cercavano sempre qualche lavoro che potesse aumentare la superficie coltivabile. Ma poi devi sapere che i contadini non erano padroni dei loro terreni.
I terreni e boschi erano tutti in mano a poche famiglie aristocratiche o a enti religiosi ed erano dati ai contadini attraverso un contratto d’affitto di durata indeterminata. Se il contadino riusciva ad aumentare la produttività attraverso il miglioramento del fondo, il contratto non cambiava e la maggiore produttività era interamente goduta dal contadino. Questo portò a realizzare terrazzamenti proprio sui terreni più inospitali, ripidi pendii, quelli più impervi. Adesso però ti lascio sentire la tua musica.”
E con un movimento deciso alza il volume dello stereo.
Federica guarda dal finestrino, la testa girata verso le montagne, verso i terrazzamenti, che ormai si fanno sempre più erti. Un grande spettacolo che Federica guarda con occhi diversi, più attenti. Un fascino paesaggistico che non aveva mai notato nella sua completezza, nei particolari. Adesso sente il profumo di storia, di tradizioni, di fatica. E poi guarda la disposizione dei filari, tutti rivolti da nord a sud. Seguendo la linea di pendenza. Anche questo è un particolare che non aveva mai notato.
Abbassa il volume dello stereo.
“ Nonno, perché i filari sono tutti orientati così?”
Giorgio la guarda, sorride.
“ Voi giovani d’oggi siete strani, avete gli occhi continuamente su quel pezzetto di metallo che tenete sempre in mano, ma se qualcuno riesce ad interessarvi a qualcosa di diverso, subito scaturisce la vostra curiosità. Prova a cercare su Google. Anzi non cercare perché sicuramente non trovi niente.”
“ Quindi?”
“ Quindi, ragiona. Il sole nasce ad est e tramonta ad ovest.” Si ferma.
“ Questo lo sanno anche i bambini.”
“ Ma probabilmente non sanno che la Valtellina è una delle pochissime valli alpine con orientamento Est-Ovest, se i filari fossero stati orientati da est a ovest avrebbero ricevuto il sole solamente dalla parte esposta. O no?”
“ Chiarissimo come sempre prof,” dice Federica regalandogli un grande sorriso.
“ E perché allora lì,” dice indicando un altro vigneto, “i filari sono stati posizionati diversamente?”
“ Domanda intelligente, bambina. Perché in questo modo è possibile l’intervento di piccoli trattori, ma questo si può fare solo nei terreni leggermente pianeggianti.
Questo nuovo sistema porta a meccanizzare in parte la coltivazione. Si riesce a passare dalle 1.300 ore annue di lavoro per ettaro a 800/900.”
“ Sono tante 1300 ore di lavoro per ettaro?”
“ Tantissime, pensa che in pianura con la meccanizzazione integrale si può arrivare a 100 ore.”
“ Allora è per questo che i nostri vini costano tanto.”
“ Sicuramente, ma anche perché il quantitativo prodotto per ettaro è basso. Nei nostri vigneti DOCG è di 80 quintali di uva. Per un vino di pianura, per esempio per la Bonarda DOC è di 120 quintali, ma per altri vini si può arrivare anche a 200.”
“ Però, guarda quante notizie ci son dietro una bottiglia di vino. Spesso i nostri clienti, soprattutto quelli italiani, si lamentano del prezzo alto, bisognerebbe raccontare la storia, le fatiche… ma soprattutto bisognerebbe essere capaci di raccontarla in modo semplice, come hai fatto tu.”
“ Sì, certo, oppure bisognerebbe partecipare direttamente almeno al momento della vendemmia. È un’esperienza bellissima, solo vivendola si può capire il valore del nostro vino.”
“ Mi piacerebbero partecipare.”
“ Non ci sono problemi, a ottobre ti chiamo.”
“ Davvero?”
“ Certo, ti telefono.”
Ormai, sono arrivati a Morbegno.
“ Grazie nonno, è stato un viaggio bellissimo.”