Il rumore del caffè nella moka
Federica apre gli occhi. Subito realizza di essere in una camera diversa, la camera dei nonni. La luce che filtra dalle gelosie crea una tiepida luminosità che le permette di guardarsi intorno e soffermarsi sugli oggetti della sua infanzia, posizionati ancora come allora. Le bambole, i peluche, il coniglietto arancione che abbracciava tutte le sere nel letto per addormentarsi, sembrano guardarla.
Rimane immobile nel letto, osserva il soffitto ancora tinteggiato d’azzurro con molte stelline fosforescenti e i suoi pensieri cercano nonna Domenica.
Quanto le manca la sua voce dolce, tranquilla che raccontava le storie di fiori, di gnomi, che le chiedeva come stava, se si sentiva felice.
La nonna l’ascoltava, rispondeva sempre alle sue domande infantili, le faceva le coccole, la teneva stretta davanti alla televisione mentre guardavano insieme i cartoni animati.
Da quando Domenica era morta non aveva più avuto quelle tenerezze. Sì, il nonno, le poche volte che aveva passato qualche giornata a Morbegno, era stato molto affettuoso e lei adorava passare i pomeriggi con lui, ascoltare le sue storie, sentire le sue mani che le accarezzavano il viso, il suo braccio che le cingeva la spalla.
Il nonno era attento, la guardava, si fermava nei suoi occhi, ha sempre capito il bisogno di tenerezze della nipote, il desiderio di parlare con una persona adulta, di essere ascoltata, di raccontare a qualcuno i suoi sogni o semplicemente la sua quotidianità scolastica fatta di professori, di compagne che passavano con lei molte ore della giornata e allora era giusto raccontare di loro a qualcuno.
Ricorda quando gli aveva parlato dei suoi primi successi scolastici, delle belle parole delle insegnanti riguardanti i suoi temi e aveva subito visto negli occhi del nonno grande soddisfazione.
Il nonno leggeva sempre i suoi temi con interesse, con curiosità, e poi la baciava sulla fronte. Un bacio leggero, soffice, che a lei piaceva tantissimo. “Brava la mia scrittrice,” le diceva con gli occhi lucidi.
Era bello parlare con lui, pensare ad alta voce, sentirsi ascoltata, guardata negli occhi.
Lei era cresciuta senza padre, con una mamma indifferente, assente, sempre occupata nel lavoro, lontana dai suoi bisogni, dai suoi interessi, dal suo desiderio di calore umano, di parlare, di condividere la sua contentezza per un bel voto.
“ Brava,” le diceva la mamma, senza nemmeno guardarla negli occhi, senza mai leggere quei temi così interessanti.
C’era solo un brava , obbligato, doveroso, per il voto, non per il contenuto.
La mamma, le aveva sempre dedicato solo il tempo necessario per i bisogni essenziali. Anche da bambina, la lasciava sempre sola con la baby-sitter, senza mai dedicarle un momento per un gioco, una storia, una gita, un pomeriggio al luna park.
Era stata la nonna a cercare di colmare il vuoto, a cercare di darle un’infanzia giocosa, divertente, ad aiutarla nei primi conflitti con le compagne di scuola.
Federica, sdraiata sul letto, immobile, con le mani appoggiate sul petto, pensa all’ultima volta che mamma le ha regalato un sorriso, un bacio, una stretta per dimostrarle che le voleva bene. E purtroppo non riesce a ricordare. Pensa anche al freddo saluto del giorno prima. Pensa a quella camera d’ albergo dove ha passato tanti anni, allo squillo del telefono sul comodino che le annunciava che la cena era pronta, alle amiche che venivano a trovarla ed erano costrette a stare in quella piccola cameretta, e poi al bar dell’albergo per il tè, per la merenda, vicino a persone sconosciute.
I pensieri sono interrotti dalla sveglia del cellulare. È ora di alzarsi. Un nuovo giorno, un giorno diverso, una nuova vita con il nonno, un viaggio diverso per raggiungere la scuola.
Federica si alza velocemente, sposta lentamente indietro i capelli e si avvia verso la scala per scendere nella zona giorno. Le piace fare colazione in camicia da notte. Non ha mai potuto a Tirano, obbligata a presentarsi in sala da pranzo dell’albergo perfettamente vestita e pettinata.
Le è sempre mancato camminare scalza per la casa, sedersi a tavola con i capelli spettinati, con le gambe semi nude coperte solo dalla camicia da notte, sentire il rumore del caffè che sale lentamente, aprire il coperchio della moka e apprezzarne il profumo.
Mentre muove i piedi sui gradini di legno, sente rumore in cucina. Si ferma, la mano stringe il corrimano, pensa che la camicia da notte sia un po’ corta, ma poi alza le spalle, il nonno è il nonno, sicuramente non si scandalizza e apre la porta della cucina.
“ Buongiorno nonno, già alzato?”
“ Buongiorno piccola, sì, mi alzo presto e poi questa mattina non potevo perdere il tuo debutto come cittadina provvisoria del comune di Morbegno.”
Federica si siede mettendo una gamba piegata sotto il sedere, si aggiusta la camicia da notte sopra le gambe e guarda tutto quello che il nonno ha preparato sul tavolo: miele di castagno, fette biscottate, burro e anche un vaso contenete un rametto di erica fiorita.
Finalmente i profumi di una cucina viva, abitata quotidianamente, una finestra aperta su un giardino, il cinguettio degli uccelli … e un viso familiare che le sta preparando la colazione.
Giorgio è davanti al fornello, si gira leggermente per osservarla, per ammirare la sua bellezza selvaggia, i lunghi capelli leggermente arruffati, gli occhi grandi ancora pieni di notte, le cosce mezze nude, i piedi scalzi, la dolcezza dei suoi movimenti nel prendere una brioche dal centro del tavolo, le labbra delicate e gentili che si aprono.
Si avvicina con la moka appena tolta dal fuoco, si piega leggermente e le versa il caffè nella tazza. Il ciuffo grigio, quasi bianco, si ferma sull’ occhio sinistro. Lei guarda quel viso familiare, i capelli ancora folti, gli occhi vivi che la guardano, che le trasmettono sicurezza, amore.
“ Latte?” Le chiede.
Federica con la bocca piena scuote la testa.
“ Nonno, guarda che io per colazione prendo solo il caffè e una brioche.”
Giorgio si siede di fronte a lei, avvicina la tazza del caffè alla bocca, un grande sorso, gli occhi sempre sul viso della nipote. Non c’è più quel faccino rotondo coperto dai ricci ribelli che spesso coprivano gli occhi, i lineamenti infantili sono scomparsi, sostituiti da tratti maturi, non più la piccolina che girava per la casa cercando sempre la nonna.
Prende una fetta biscottata, la ricopre di miele, poi l’avvicina a Federica.
“ Vuoi?”
“ No, nonno, grazie mi basta la brioche.”
“ Dai, su, mangia il miele che ti fa bene.” Le dice imitando la voce della nonna.
Federica sorride, pensa alla nonna che tutte le mattine la invitava a mangiare le fette biscottate ricoperte di miele o di confettura. Prende la fetta, la mangia.
“ Ti manca la nonna?” chiede con voce quasi commossa.
Giorgio diventa silenzioso.
“ Sì, mi manca tanto … poi in questa occasione la sua presenza sarebbe stata utile anche per te.”
“ Nonno, non devi preoccuparti, io sono abituata a stare sola, tu continua pure a fare la vita di sempre, non rinunciare a niente per me, ho quasi diciassette anni, posso benissimo fare da sola …”
“ Sì, lo so che sei una brava ragazza, ma con Domenica sarebbe stato diverso. Avresti avuto una persona con la quale confidarti, una donna che poteva meglio capire i tuoi problemi.”
Federica si alza, si avvicina al nonno, gli dà una carezza sul viso, e le sue labbra delicate si posano sulla guancia.
“ Ma io ho il mio nonnino, mi basta.” Dice prendendo le tazze dal tavolo per metterle nella lavastoviglie. Poi, finito di sbarazzare, si allontana e risale di corsa la scala che la porta alla zona notte.
Giorgio la segue con lo sguardo, i capelli arruffati le scendono sulle spalle esili, la camicia da notte leggermente corta mette in risalto due gambe bellissime, gli sembra di vedere Domenica, quando nei primi anni di matrimonio finita la colazione saliva le scale. Anche lei portava camicie da notte corte e saliva le scale lentamente, lui la guardava. A lei piaceva tantissimo essere guardata.