UN DELITTO GRIGIO
(Roma, 23 agosto 1970 – Domenica – abitazione del commissario Umberto Soccodato)
«Stavolta ci sarebbe tutto: vittima e carnefice reo confesso! Ascolta: “Addì 26 giugno 1970 – questo è il verbale – lo studente universitario Lo Bianco Gianluca, di anni 22, originario di Mileto in Calabria, residente a Roma in Via eccetera, eccetera… uccideva con 22 colpi di coltello la studentessa diciannovenne Valente Carla. Immediatamente dopo, il Lo Bianco si recava in un bar limitrofo al luogo del delitto dove pregava il proprietario di chiamare la polizia e attendeva l’arrivo degli agenti a cui si costituiva”…»
«Beh, a parte lo stile con cui scrivete i rapporti, non vedo dove sia il problema! L’avete preso, ha confessato… sbattetelo in galera e buttate la chiave!»
«Eh, no… troppo facile! Sei moglie di un commissario da vent’anni e ancora non hai imparato! Se “il soggetto in parola”, per dirla ancora in poliziottese, fosse stato un poveraccio, forse… Ma si dà il caso che il ragazzo provenga da una delle famiglie più importanti e facoltose di Mileto: il padre è il farmacista e la madre discende da antichi feudatari del luogo. Nobiltà calabra.»
«E allora?»
«E allora mamma e papà si sono rivolti a un professorone di psichiatria forense con l’intenzione di far risultare il ragazzo infermo di mente. Se la cosa andrà in porto, il malatino eviterà l’ergastolo, e tra una perizia e un ricovero coatto, tra qualche anno potrebbe pure tornarsene a casa.»
«Finale all’italiana…»
«In un certo senso sì. Anche se questo caso ha un suo aspetto singolare…»
«Cioè?»
«Può sembrarti assurdo, lo so: il ragazzo vuole stare in galera! Ma più insiste, più lo specialista pagato dai genitori ha elementi per dimostrarne l’infermità mentale che potrebbe rimetterlo in libertà.»
«Credo di essermi persa…»
«Insomma, il giudice istruttore, come puoi immaginare, non se l’è sentita di liquidare il caso alla spicciolata dopo che gli è arrivata sul tavolo la perizia firmata da un cattedratico con tanti di quei titoli che quasi non gli c’entrano sul biglietto da visita! Perizia di alta scuola, non c’è che dire, ma che al di là delle conseguenze sul futuro penale dell’omicida, mi ha lasciato l’amaro in bocca. Una profonda angustia dinanzi al tragico incontro della giovane con un uomo incolore, incartato e risentito contro il mondo al punto da vedere anche nella donna che gli piace una minaccia per la propria patologica, illusoria stabilità.»
«Mi par di capire che “il soggetto in parola” non ti faccia pena!»
«Mi fa pena una ragazza di diciannove anni che pensava di essere amata e invece s’è ritrovata ventidue coltellate in corpo!»
«La perizia l’hai letta?»
«L’ho letta e ho letto il memoriale dell’assassino. Sono un commissario di vecchio stampo, i giovani colleghi laureatini c*m laude mi giudichino pure sorpassato, ma ti confesso che non so decidere se ritenere più delirante l’una o l’altro!»
«E io ti confesso che mi hai incuriosita.»
«Allora sta’ a sentire. Appena arrestato, lo studente è stato interrogato e senza reticenze ha riferito di aver conosciuto Carla più o meno un mese prima e di aver provato per lei viva attrazione. Lui stesso, poi, si è definito un tipo “geloso e possessivo”. Poiché, a suo dire, il comportamento di Carla, napoletana spigliata ed estroversa, non aveva corrisposto alle sue attese, i due avevano cominciato presto a bisticciare e alla fine lei aveva deciso di interrompere la relazione…»
«Poveretta! L’avesse fatto subito!»
«Adesso arriva l’aspetto inquietante. Sempre stando a ciò che l’omicida ha detto e scritto, non ha sofferto troppo per la decisione della ragazza, piuttosto ha cominciato a essere ossessionato dall’idea che la propria intera esistenza fosse fallita e che avrebbe avuto a pentirsi per tutta la vita di aver perduto Carla la quale, ricordo a memoria, “sarebbe risultata insostituibile da un punto di vista estetico”…»
«Estetico?! E che significa?»
«Non saprei spiegartelo. Dice il luminare che la personalità di Lo Bianco aggrega un’altissima autoconsiderazione con una percezione fallimentare e ignobile della propria esistenza. Forse intende dire che la ragazza, che era davvero molto bella, era per questo degna di lui… boh! Io, da ignorantone che sono, scommetterei che “ci fa”, come si dice a Roma, per convincere i periti di essere pazzo; ma questo è in contraddizione con i suoi reiterati appelli a essere lasciato in pace in carcere… Ad ogni modo, andiamo avanti: sopraffatto dalla gelosia e dal senso di fallimento, Lo Bianco si convince di avere due sole vie d’uscita, uccidere Carla o uccidersi. Dice che per lui era indifferente morire o passare il resto della vita in prigione, l’importante era non dover continuare a vivere “con gli altri”.»
«Guarda un po’! Dice che è indifferente uccidere o uccidersi, però alla fine sceglie di uccidere… A me questo non sembra tanto scemo!»
«Ma te l’ho detto: lui non ha intenzione di passare per scemo, almeno in apparenza! Sono i genitori che con la dichiarazione di infermità vorrebbero risparmiargli, o piuttosto risparmiarsi, l’onta del carcere… Quanto alla dinamica del delitto, lo studente dice che sulle prime aveva deciso di strangolare Carla. Ha raccontato che aveva intenzione di acquistare un gran mazzo di rose rosse, poi l’avrebbe uccisa e avrebbe cosparso il cadavere di fiori. Successivamente si è convinto che il suo piano fosse soggetto a troppi imprevisti: Carla avrebbe potuto opporre un’inattesa resistenza, ad esempio. Allora ha optato per il coltello. Scelto, ha tenuto a precisare, tenendo sempre in conto le esigenze “estetiche”.»
«In che senso?»
«Ha scelto un coltello la cui silhouette fosse simile a quella di Carla. Dice di aver trascorso un buon tempo a contemplare l’arma scorgendovi parecchie analogie con il corpo della futura vittima e, prima di andare a uccidere, ha profumato e baciato la lama.»
«Sarò cinica, ma a me sembra la trama di un film horror di quart’ordine!»
«Purtroppo non è un film! Lo Bianco si è recato a casa di Carla, che proprio come lui viveva in una camera in affitto, ha chiacchierato con la padrona di casa fin quando Carla si è presentata e appena ha avuto modo di restare solo con lei ha estratto il coltello e lo ha conficcato ventidue volte…»
«Ventidue. Il numero dei suoi anni. Degli anni di lui, dico.»
«Eh! Può darsi che il numero di coltellate non sia stato a caso. Da un complessato ossessivo compulsivo pare ci si possa aspettare questo e altro! Comunque: ha infierito su Carla e poi è scappato al bar sotto casa, come ti ho detto. Ai poliziotti ha rivelato subito di sentirsi “liberato”, addirittura felice alla prospettiva di trascorrere il resto della vita in cella, lontano dalla “insopportabile presenza degli altri”.»
«Sbaglio o il suo problema è il rapporto con gli altri?»
«Hai fatto centro! Perché invece che la moglie di un commissario qualunque non hai fatto la criminologa? Pensa che il professore si è beccato otto milioni per la perizia…»
«A proposito, dimmi un po’ che s’è inventato il professore per salvare ’sto disgraziato?»
«Ha ricostruito la sua storia. Fino alla fine del liceo Gianluca vive a Mileto. Qui, come capita nelle piccole realtà provinciali, la vita dei ragazzini e dei giovanotti si svolge perlopiù in strada. Si formano gruppi, vere e proprie bande che non di rado arrivano a scontrarsi. Lui, mercé le nobili origini della madre, si ritiene predestinato al ruolo di leader ma non riesce a conquistarsi il rispetto sul campo perché nelle risse si rivela pusillanime e propenso a battere in ritirata. Ha persino paura di un ragazzino più piccolo che lo aspetta in strada per sbeffeggiarlo e picchiarlo. L’angoscia che gli deriva dall’incontro-scontro con gli altri sul palcoscenico della strada scompare solo quando entra nella farmacia del padre. Al di là del fatto che, come si sa, nei paeselli il farmacista è tra le principali autorità insieme con il sindaco, il parroco, il medico condotto e il maresciallo dei carabinieri, il sollievo gli deriva, come lui stesso precisa, dal fatto che “lì dentro ogni cosa è in ordine, al suo posto”. La farmacia è un luogo rassicurante in cui non c’è spazio per novità o imprevisti destabilizzanti e dove l’inevitabile incontro con gli altri non avviene in una zona neutra come la strada bensì in una dimensione burocraticamente stabilita con il padre massima autorità da una parte e gli altri dall’altra parte del bancone. Un’oasi, insomma, anche rispetto alla realtà domestica dove Lo Bianco, quarto di otto figli tra maschi e femmine, si sente continuamente minacciato e vessato dalle soverchierie dei fratelli maggiori, dai capricci dei più piccoli, dall’invadenza e dalle improvvise liti che scoppiano tra la madre e i figli o tra quella e una zia paterna convivente… Casa e strada, in definitiva, si equivalgono quali istanze ansiogene per Gianluca Lo Bianco. La affollata realtà domestica, secondo lo psichiatra, gli ha precluso persino un normale sviluppo sessuale. I primi rapporti, infatti, Gianluca li avrebbe avuti intorno ai sedici anni con una cugina che contemporaneamente concedeva le sue grazie a Gianrico, uno dei fratelli maggiori.»
«Brava zozzetta!»
«Già! Questa ulteriore frustrazione, secondo il perito forense, ha contribuito a costruire nella psiche labile di Lo Bianco un ritratto ostile dell’altro-da-sé, rendendolo incapace di amare in maniera sana, cioè con un reciproco scambio di sentimenti e di piacere. Un blocco che trova la sua emblematica metafora in un sogno ricorrente riferito dall’omicida: fin dalla prima adolescenza, Gianluca sogna di abbracciare e baciare una donna di cui non distingue gli occhi; appena realizza che la donna lo sta guardando, si accorge che dalle labbra di lei fuoriesce una sorta di ripugnante sostanza collosa da cui riesce a liberarsi a fatica provando nel contempo disgusto e il forte impulso di picchiare la donna.»
«Sai, non so quanto il perito enfatizzi certe cose a discolpa del suo cliente, però… pur non giustificandolo per quello che ha fatto, c’è da credere che malato di mente lo sia sul serio!»
«Malato o no, per me è un assassino. Quantunque anch’io sia convinto che abbia più di una rotella fuori posto. Secondo l’esperto, in estrema sintesi, tutto scaturisce dalla situazione domestica, con una madre costretta a dividersi tra otto figli senza aver modo per forza di cose di dedicarsi pienamente a ciascuno e un padre autoritario ma assente; dalla casa alla strada, idem con patate: Lo Bianco continua a sentirsi osservato, giudicato, invaso… Il dramma scatta quando la sua mente sconvolta computa la povera Carla nel numero di quegli altri ritenuti una costante minaccia. Incapace di amare, pensa di usare Carla per raggiungere il suo ideale allontanamento dal mondo: uccidendola si garantirà l’isolamento del carcere e la tanto agognata invisibilità…»
«Una storia davvero plumbea. Ma secondo te dove sta la verità?»
«Ti ripeto: sono digiuno di psicologia. Probabilmente le conclusioni del professore rispondono a verità scientifiche che non discuto, ma l’idea che su tali basi resti impunito uno che ha reciso una vita appena sbocciata proprio non mi piace! Esclusa la perizia, però, c’è un particolare che mi convince dell’insanità mentale di quel ragazzo. Una cosa che rivela la sua disperata volontà di scomparire…»
«Cosa?»
«Il suo armadio.»
«Il suo… armadio?!»
«Sì. L’ho visto io: c’erano una mezza dozzina di abiti: fumo di Londra, antracite, grigio ferro, uno solo blu; le camicie tutte celesti, due bianche; tutte le cravatte a tinta unita: nero, blu, grigio, e così i calzini. Stessi colori per le magliette e i pantaloni estivi. Insomma non c’era, a cercarlo col lanternino, che so, un rosso, un verde…»
«Cosa studiava ’sto tipo all’università?»
«Legge.»
«Un uomo… grigio.»
«Un delitto grigio.»