GIULIO DEVE MORIRE!
GIULIO DEVE MORIRE!
(Roma, ottobre 1976)
L’unione fra l’avvocato Giulio Abelardi e la moglie, Irene Masino, ha assunto da tempo le tinte fioche dell’abitudine. La nascita di Alessandra, otto anni fa, non ha migliorato le cose. Anzi. Le responsabilità e gli imprevisti venuti con la bambina hanno esasperato la routine trasformandola in sopportazione. La sopportazione è l’anticamera dell’odio.
Silenzioso, l’odio vive come una creatura aliena nel ventre di Irene. Lei quasi non lo percepisce. Sì, qualche volta lo “sente” muoversi dentro, ma lo nega con il suo super-ego esatto. Però lo nutre. Quotidianamente. Con il rigore, con le censure, con i cedimenti, con il livore. E la “bestia” cresce.
Giulio no. Lui non odia. Per odiare qualcuno bisogna conoscerlo, considerarlo: quantomeno… vederlo. Giulio la moglie non la vede proprio. Irene per lui è un animale domestico che ben ha assolto alla funzione riproduttrice generando Alessandra, per cui stravede. Ogni tanto il testosterone lo spinge ad avvicinarla. In quel momento la vede. Ma non è tipo da coccole, carezze o preliminari il parafangaro. Li chiamano così a Roma gli avvocaticchi che si occupano di Codice stradale. Quando ha voglia, ai suoi occhi Irene smette i connotati dell’animale domestico e veste quelli della puttana. Per il tempo strettamente necessario...
Irene si sente rinascere quando il dottor Varriale, amico del suo datore di lavoro architetto Girotti, prende a farle il filo. È un medico cinquantenne, garbato, elegantissimo. Tutto un altro tipo rispetto a Giulio, ma anche a Carmelo, il collega impacciato. L’allocco. Il Fracchia dello Studio Girotti. L’irpino con la voce flebile e le mani sudate che la ama segretamente (secondo lui!), torturato dalla presenza del dottor Varriale con cui sa di non poter competere.
Ma anche Varriale delude Irene. Dopo mesi di rose, versi e galanterie, quando lei gli rivela la propria situazione coniugale e azzarda auspicare un consolidamento del loro rapporto, il medico si irrigidisce, glissa e si eclissa per giorni.
La sera di uno di questi giorni Giulio torna a casa e Irene gli legge in viso un’insulsa allegria. L’aria futile da peccatore veniale che conosce su quel viso stupido da zucchina quando ha certi appetiti…
Alessandra, come ogni venerdì, è a casa dei nonni. Ci rimarrà fino a domenica mattina. Da otto anni Irene e Giulio concentrano in queste trentasei ore ciò che resta della loro coppia.
L’avvocato estrae dalla borsa un disco. Un 45 giri.
«Voglio farlo con questa musica» dichiara. Senza romanticismi.
Irene si avvicina con occhi di speranza. Gli occhi sono l’ultima parte di Irene che racchiuda un po’ di speranza. Il resto è invaso dalla metastasi dell’odio. Solo fra le lunghe ciglia corvine filtra la luce d’una speranza ostinata fra macerie di sogni infranti.
Lui le consegna il disco: Un amore così grande, canta il tenore Mario Del Monaco1.
«Mettilo», dice. E comincia a spogliarsi come fosse in un ambulatorio.
Irene ha già ascoltato il brano alla radio. Le piace. Del Monaco l’ha registrato prima dell’estate. Dell’estate ’76 le è rimasta impressa Non si può morire dentro, di Gianni Bella. Il titolo le sembrava un invito a non cedere. Del Monaco, invece, canta un amore perfetto. L’amore perfetto vagheggiato da bambina e cercato da ragazza. L’amore perfetto che Giulio ha sgretolato con la ruggine dell’indifferenza.
Sento sul viso
il tuo respiro,
cara come sei tu,
dolce sempre di più,
per quello che mi dai
io ti ringrazierei
ma poi non so parlare…
…
Un amore così grande, un amore così…
La copula accompagnata dalla voce del tenore assesta l’ultimo colpo alla speranza che baluginava negli occhi di Irene. Giulio la prende con freddezza, come sempre. Senza concederle la minima partecipazione, come sempre. L’idea di far l’amore a suon di musica deve essergli venuta chissà come. Forse suggerita da un collega, da un film, da un libro… Si è incuriosito e ha deciso di metterla in pratica con la donna che ha a disposizione. Tutto qui. Entusiasmo e foga si spengono nel tempo della canzone: 4 minuti e 52 secondi.
Irene capisce. Capisce mentre Giulio gode meccanicamente. Capisce mentre Del Monaco canta l’amore che le è negato.
I crescendo, gli acuti, le note tenute con disinvoltura fino allo spasimo le entrano in testa e non la lasciano. Neppure dopo che il giradischi tace e Giulio si allontana a farsi la doccia.
…Un amore così grande, un amore così
Tanto caldo dentro e fuori
intorno a noi…
Le parole, la musica accompagnano le lacrime di Irene mentre Giulio è in bagno. Le martellano la mente durante la notte, sveglia accanto al corpo addormentato dell’estraneo con il viso stupido da zucchina. E non la abbandonano quando s’accende il giorno. Un altro finesettimana di consuetudini, incomprensioni, arretramenti. Lenta autodistruzione resa più dolorosa dalla voce di Del Monaco che la mette al muro indicandole un’altra realtà. Quella ottusamente attesa dall’uomo con il viso stupido da zucchina.
Poi la lite furibonda, qualche giorno dopo. Nasce, come sempre, da una sciocchezza: Alessandra sottrae un pennarello a una compagna e lo porta a casa nascosto nella tasca del cappottino. Irene la scopre e la sgrida con durezza. Alessandra piange. Promette che restituirà il pennarello. Irene rimane scossa dal piccolo furto. La sua mente travagliata, fra i cui pensieri s’accavalla ancora la musica dell’ultima frustrazione coniugale, ingigantisce il fatto. È come se con quel gesto Alessandra dichiarasse che non ha intenzione di crescere nella cinerea rettitudine che scolorisce la mamma! Quando Giulio rincasa, lei lo mette a parte dell’accaduto. Gli dice che pure lui dovrebbe rimproverare la figlia e magari astenersi dal consegnarle il regalino che suole portarle ogni sera. Al bar sotto casa Giulio ha comprato un lecca-lecca a fischietto.
Ma Giulio non prende la cosa sul serio. Non solo dà alla piccola il lecca-lecca, ma le dice di non preoccuparsi del pennarello: se l’amichetta è stata così fessa da lasciarselo fregare, merita che lei se lo tenga! Così straccia del tutto la vacillante autorità di Irene. Alessandra, infatti, forte dell’appoggio paterno, le rivolge un irriverente sberleffo. Irene le molla un ceffone in pieno viso. Da qui l’alterco che si protrae ben oltre l’ora di cena. Solo Alessandra consuma il pasto. Giulio si chiude nel suo studiolo e Irene, dopo aver addormentato la bambina, si sistema sul divano in salotto. Non sopporterebbe neppure il calore del corpo estraneo nel letto.
Congestionata di ira e di pianto, al buio, adesso Irene sente nettamente l’alieno dentro lei. Pasciuto dalle lacrime, dai risentimenti, dalle frustrazioni… e dalla musica che rintrona il cervello:
Un amore così grande, un amore così…
Tanto caldo dentro e fuori
intorno a noi,
un silenzio breve e poi
in fondo agli occhi tuoi bruciano i miei
Quella stessa notte decide: Giulio deve morire!
Se l’uomo col viso stupido da zucchina continuerà a vivere, per lei non ci sarà speranza. Avvizzirà. Invecchierà. Finirà.
Giulio deve morire! Sennò passerà il tempo e lei si seccherà come una pianta dimenticata.
Giulio deve morire! Perché le ha sottratto il rispetto della figlia.
A nessuno importano i suoi sogni. Coraggio per tradire non ne ha. E poi… a che servirebbe tradire? Che senso ha il sesso clandestino con uno che in fin dei conti lo fa perché ha i tuoi stessi problemi?
Giulio deve morire! Con Varriale poteva venir fuori qualcosa? Ma è finita prima di cominciare per via delle insicurezze, dei timori, della sua maledetta disposizione a fare sempre e solo ciò che è giusto. Lo ha stancato, ecco.
Irene vuole indietro il suo tempo. Giulio deve morire!
Morto Giulio, ricucita la dignità, può sperare ancora di avere accanto qualcuno che la stimi, che la… veda? Forse. Con la mente libera potrebbe conquistare sul serio il dottor Varriale. Oppure un altro. Giulio deve morire!
…La notte impazzirò,
in fondo agli occhi tuoi bruciano i miei
Un amore così grande, un amore così…
Sta impazzendo? No. Chi vuol riprendere le redini della propria esistenza e smettere di subire non è pazzo. Sentirsi voluta da qualcuno che ti consideri una compagna di viaggio anziché un aspirapolvere non è follia. Irene non è pazza. Ha deciso di tornare a vivere. Giulio deve morire!
Adesso, però, bisogna accantonare le emozioni e pianificare l’azione. Calcolare tempi, stabilire mosse e contromosse, costruire risposte. Per prima cosa deve creare le premesse. Dall’indomani, e per il mese a venire, spedirà lettere minatorie all’indirizzo del marito. Gli avvocati ricevono minacce. Pure i parafangari come lui. Spesso si tratta di mitomani. Ma una testa calda può sempre passare alle vie di fatto. Spedirà almeno due lettere a settimana. Otto in totale. La polizia sospetterà di lei, è ovvio. Perché è la moglie, anzitutto. E perché molti sono a conoscenza dei loro rapporti deteriorati.
Giulio deve morire! E perché Giulio muoia, dovrà essere ucciso. Logico.
Troverà il coraggio per farlo? Il travaglio di Irene ruota intorno a questo interrogativo. Per giorni la determinazione gioca un impietoso tiro alla fune con la sua anima lacerata. Un’altalena snervante che rischia di scaraventarla nella paralisi e consegnare alla polvere ogni prospettiva di riscatto. Come le accade da tutta la vita. Certo, se qualcuno lo facesse al posto suo…
La soluzione arriva improvvisa. Ha il suono di una frase: “Per te potrei anche uccidere…”. Una frase buttata lì. Un’espressione comune. Un colpo a salve. Chi non ha detto almeno una volta “lo ammazzerei” rivolto all’avversario del momento? Una frase colta per caso. L’unica possibilità di realizzare un sogno altrimenti destinato a un cassetto già ricolmo di tranquillanti e singhiozzi. La sola chance di estirpare dal cervello la voce torturatrice di Del Monaco.
“Per te potrei anche uccidere…”. Una battuta da romanzo rosa, da film hollywoodiano. Nella vita stinta di Irene non ci sono gli eroi di Liala o i cavalieri di celluloide alla Humphrey Bogart. Il dottor Varriale, l’architetto Girotti… nessuno di loro ucciderebbe per lei. Nessuno. Eccetto chi ha detto, e non sembrava scherzare, “Per te potrei anche uccidere…”
«Pronto, Carmelo, sono Irene. No, anche oggi non verrò in ufficio, ma… avrei bisogno di vederti, di parlarti…»