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I misteri delle soffitte

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Trafiletto

Nella Torino di fine ‘800, una misteriosa dama mascherata, avvolta in un elegante domino, si aggira per le strade della città durante la notte del giovedì grasso, forse in cerca di un’avventura. È la contessa Bianca Rossano, tradita dal marito e desiderosa di vendetta. La sua scelta cade su Aldo Pomigliano, giovane bello e povero, che la conduce nella sua soffitta. Ma proprio lì, quella notte stessa, viene consumato un delitto. I sospetti si incentrano su misterioso Pierrot insanguinato, in fuga dalla stanza della vittima...

Efferati delitti, tradimenti, punizioni, amori inconfessabili e rivelazioni in extremis: ancora una volta Carolina Invernizio esce indenne dalle sfide delle mode e del tempo e dal biasimo dei critici benpensanti per regalarci una vicenda ricca di mistero e di suspence, precorritrice del moderno genere poliziesco, con qualche tocco di gotico. Scritto in maniera chiara e scorrevole, senza pretese di alta letteratura ma pieno di colpi di scena, “I Misteri delle Soffitte” riesce a tenere legato alla pagina anche il lettore contemporaneo più smaliziato e lo coinvolge in un crescendo di tensione fino all’ultima riga.

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PARTE PRIMA Dramma-1
PARTE PRIMA Dramma I. Era la notte del giovedì grasso. Nessuno si ricordava di un inverno mite come quello, e il carnevale aveva uno sfogo inusitato. I ricchi se la spassavano nei palazzi; il popolo nelle osterie, sotto i portici, alla fiera, ai balli pubblici. I veglioni erano affollati e, come il solito, più di tutti si mostrava animato quello dello Scribe. Fra le maschere che avevano fatto il loro ingresso colà dopo la mezzanotte, vi era un domino femminile elegantissimo, troppo elegante, che stonava in quell’ambiente volgare. Veniva forse in cerca di un’avventura galante? Aveva un appuntamento? Una folla di studenti le fece cerchio. – Cerchi me, bella principessa? – gridò uno di essi, un giovane allampanato, giallo come un limone. – Io sono disposto a darti tutto il mio cuore. – Va’ là, poeta da quattro soldi! La bella è in cerca di un Trovatore dei tempi antichi, che sappia difenderla dagli audaci, piegare il ginocchio dinanzi a lei, e forse gli mostrerà appena la punta del suo bel nasino. – Il domino, che fissava i suoi occhi grigi su quel gruppo di giovani e pareva studiasse la fisionomia di ognuno, disse con voce armoniosa: – Hai indovinato, mio caro, ed ecco su chi faccio cadere la mia scelta. – E posò la mano inguantata sulla spalla di un bel giovane dal volto leale, con occhi nerissimi e capelli biondi. Scoppiò un evviva assordante, e per qualche minuto attorno alla coppia venne eseguita una danza folle, sfrenata, Poi ognuno si sbandò per proprio conto, gridando: – Buona fortuna, Aldo! – Ma il giovane non pareva soddisfatto di quell’inattesa avventura galante. Tuttavia, volgendosi alla sua compagna, le chiese con accento gentile, dandole del voi: – Dove debbo condurvi, signora? – Fatemi fare un giro per il teatro, – rispose la maschera – poi conducetemi a casa vostra. – Lo studente sussultò. – A casa mia? – ripetè, come se non prestasse fede ai suoi orecchi. – Sì. Che ci trovate di strano? Non avete una casa, voi? Vivete forse in famiglia? – Aldo si era già rimesso. – No, – rispose – vivo solo. Ma sono povero, ed abito in una soffitta. – Che m’importa? – Aldo rivolse al domino uno sguardo, tra il diffidente ed il corrucciato. Ma l’ammirazione che destava nel pubblico la sua elegante compagna, finì col lusingare il suo amor proprio. Egli pensava: – Costei dev’essere molto bella, e sarei un pazzo se me la lasciassi sfuggire. Forse è una gran signora, che in questa notte di carnevale vuol soddisfare un morboso capriccio. Contentiamola; io nulla ci perdo; anzi, ho tutto da guadagnare in quest’avventura! – Prima di uscire dal teatro, Aldo passò nella guardaroba a prendere il suo soprabito. Aldo abitava sul corso San Maurizio. Egli e la sua compagna salirono le scale umide e sporche. Confusi rumori turbavano la sconosciuta. Erano pianti di bambini, bestemmie di uomini, grida soffocate di donne. – Che casa è mai questa? – chiese ella. – È una specie di alveare. – rispose Aldo – nè può garbare a voi, avvezza forse ad una palazzina quieta, senza inquilini. In questa casa abitano molte famiglie, quasi tutte composte di onesti operai, che lavorano dall’alba alla sera, e solo alle feste alzano un po’ il gomito e fanno chiasso. Però vi è di buono che nessuno si occupa dei fatti altrui, ognuno vive a sè, ed io mi trovo benissimo. – Avevano già salito cinque piani e si avviavano verso la stretta scala che conduceva alle soffitte. Il corridoio a destra e a sinistra sembrava interminabile. Aldo volse a sinistra, e dopo pochi passi sì trovò, a faccia a faccia con un uomo vestito da pierrot, col volto infarinato. Costui si trasse da un lato senza dire parola, e lo studente strinse il braccio della sua compagna, come per dirle che non aveva nulla da temere. Erano giunti dinanzi all’uscio della soffitta di Aldo. Egli accese un cerino, aprì con una chiave inglese e fece passare il domino. Quando, entrato egli pure, si voltò per chiudere, vide il pierrot quasi vicino all’uscio; ma, Aldo non parlò, per non spaventare la compagna, e chiusa la porta, tirò il catenaccio. Fatto ciò, accese un lume che era sul tavolino, indi si volse alla sconosciuta. Costei si era seduta sopra un divano e si guardava intorno con sorpresa. Tutto era modesto, di una pulitezza eccezionale. Le due finestre avevano cortine bianchissime, come la coperta del letto. Sul tavolino stavano i libri ben allineati; l’armadio aveva i battenti lucidi come specchi; un paravento cinese nascondeva il lavabo; la stufa di maiolica rendeva un delizioso tepore. – Siete alloggiato come un principe! – disse la sconosciuta. Aldo sorrise. – Io stesso – rispose – tengo in ordine la mia roba, rifaccio il letto, spazzo, pulisco dappertutto ogni giorno per conservare bene questi quattro mobili che mia madre ha comperati con molti sacrifizi. Perchè io sono povero, signora, e non lo nascondo. Ma voi non siete venuta qui per sentire la mia storia. Perdonatemi. – Sedette accanto a lei, e con voce sommessa: – Perchè non vi levate la maschera? – disse. Ella mormorò: – Lasciatemi, signore, ve ne supplico! – Poi si piegò, svenuta. Aldo ne fu spaventato. Per farle riavere il respiro, le tolse la maschera dal viso, e mandò un grido d’ammirazione. Com’era bella! A un tratto la sconosciuta aprì gli occhi, due occhi grigi ornati di lunghe ciglia nere, e disse con l’accento della più sincera disperazione: – Mio Dio, che cosa ho fatto? Perchè sono venuta qui? – Aldo, stupito, rispose: – Ci siete venuta di vostra volontà, signora. Ma io credo di avervi usato tutto il rispetto che meritate. – No, non lo merito; ma voi siete buono, signore, e lo sarete ancora. Ah! la mia scelta è caduta bene, altrimenti sarei stata perduta per sempre! – Si passò una manina sulla fronte e con voce interrotta: – Se sapeste!... – proseguì. – Stasera ero come pazza: ho scoperto un tradimento che spezza tutta la mia vita di amore, di devozione, di fedeltà, e volendo calpestare l’onore di colui che mi tradisce, mi sono recata al veglione dello Scribe. Era mia intenzione di darmi al primo uomo che mi fosse piaciuto, qualunque fosse, per poter gridare oggi all’altro: «– Anch’io ho avuto un amante! – «Ma all’uscire con voi dal teatro ero già esaurita dallo sforzo fatto; poi, nell’entrar qui, ho avuto vergogna di me ed ho perduto i sensi. – La giovane scoppiò in lacrime, nascondendo il bel volto sul divano. Aldo, commosso, le rivolse parole di conforto. La sconosciuta si era a poco a poco calmata; ella rialzò la testa, stese le mani al giovane, che le strinse fra le sue con viva simpatia. In quel momento un grido acuto, terribile, un grido di morte risvegliò tutti gli echi del casamento e fece balzare in piedi Aldo e la sua compagna. Al tempo stesso si udì uno sbattere di uscì, voci che chiamavano aiuto, altre che gridavano: – All’assassino! – Aldo si slanciò fuori e la sconosciuta lo seguì con la lucerna accesa. E fu bene. A quel chiarore, lo studente vide il pierrot che gli passava dinanzi come una freccia, dirigendosi verso il pianerottolo per raggiungere la scala. E dietro a quegli una voce ansante gridava: – Fermatelo, è lui l’assassino! – Di un salto Aldo gli fu sopra, poi, aiutato da altri inquilini sopraggiunti, lo legò come un salame. – Bisogna ricondurlo nella stanza della sua vittima finchè giungano le guardie, – disse un uomo. – Chi ha assassinato? – chiese Aldo. – Giulietta, la poverina, così buona e onesta! – Ed è morta? – domandò la sconosciuta, che tutti guardavano con sorpresa, sembrando loro una strana apparizione, – Essa non dà più segni di vita; – rispose una donna canuta – è crivellata di ferite. Mio figlio è corso a chiamare il medico. – Andiamo a vederla; – soggiunse la sconosciuta – forse potremo soccorrerla. – Quando la giovane apparve, seguita da Aldo, sul limitare della soffitta dove era successo l’assassinio, tutti fecero largo. La soffitta era rischiarata dai molti lumi portati dagli inquilini, in un angolo gemeva l’assassino, steso a terra, tutto legato. Intorno al letto, dove era distesa l’assassinata, molte donne si accalcavano ansiose, tentando invano con gli asciugamani di arrestare il sangue che sgorgava copioso dal petto della vittima. L’assassinata era assai giovane, e nonostante il pallore cadaverico del volto, appariva sempre bellissima. Si capiva che era stata colpita mentre dormiva e, svegliata all’improvviso, aveva sostenuto una fiera lotta con l’assassino. Aveva ancora fra le mani contratte alcuni lembi dell’abito del pierrot. Ma ciò che più di tutto straziava, è che presso al letto dell’assassinata, inconscia del dramma terribile ivi successo, dormiva in una culla una bambina di forse due anni, bionda come la madre, bella come un amore. – Sarebbe bene toglierla di lì; – disse la sconosciuta ad Aldo – la porterò nella vostra stanza e veglierò su lei. – Sollevò la bimba senza svegliarla e, tenendola stretta al suo petto, si mosse per uscire da quella stanza. Ma in quell’istante entrò il medico. Dietro a lui venivano guardie, delegati, un ispettore, e una folla enorme che non si riusciva a tenere indietro. La signora non potè uscire dalla soffitta. II. La storia di Giulietta, detta la Bionda, era un romanzetto semplice, ma triste. Figlia di un antico militare decorato, passò l’infanzia e l’adolescenza in convento, protetta da alcune pie dame alla morte della mamma. Tornata a casa a quindici anni, essendo il padre vecchio, acciaccato, ella divenne il suo conforto, la sua guida. Siccome la meschina pensione del pover uomo non bastava a sopperire a tutte le spese, Giulietta si mise a ricamare per un negoziante, cui la madre superiora del convento l’aveva raccomandata. Scorsero due anni d’una vita abbastanza tranquilla. Giulietta ora buona quanto bella, Ebbe proposte di matrimonio, ma essa rispose che non si sarebbe accasata finchè vivesse suo padre. Un giorno, mentre lavorava, cantando allegramente, vennero ad avvertirla che il povero vecchio era stato colto da una sincope sulla via e l’avevano trasportato all’ospedale. Giulietta non doveva rivederlo che morto. La povera fanciulla pianse molto, ma a poco a poco il suo dolore si calmò ed ella potè riflettere alla sua situazione, La pensione del padre cessava. Giulietta doveva ormai vivere col suo lavoro. Fin da quel momento la sua vita fu ancora più modesta e più laboriosa. Usciva soltanto la domenica, recandosi al Valentino. Per certo, non le mancavano i corteggiatori, ma la bella bionda passava indifferente in mezzo a tutte le seduzioni. Tuttavia un giorno sì notò che Giulietta era stata accompagnata fino sulla porta di casa da un bel giovane sui venticinque anni, dall’aria seria e distinta. D’allora in poi, quando essa usciva, il bel giovane era ad attenderla. A chi le domandò chi fosse costui, rispose: – È il mio fidanzato, un bravissimo giovane impiegato in una banca. Ci sposeremo presto. – Ai coniugi Pavin, suoi vicini più intimi, lo presentò perfino. Scorsero tre mesi: era d’inverno. Una sera, Lorenzo Pavin, tornando a casa, trovò la moglie Teresa molto inquieta. – Che hai? – le chiese stupito. – Sono due giorni che non vedo Giulietta, e ciò mi turba. Non è mai stata tanto senza venire da noi. – Perchè non vai da lei? – Ho bussato poco fa al suo uscio, non ha aperto. – L’operaio si grattò la testa. – Tu mi metti una pulce negli orecchi; vado io stesso a vedere. – Uscì nel corridoio e si recò a bussare all’uscio della Bionda. Nessuno rispose. L’operaio non pose tempo in mezzo. Corse a prendere un ferro e con quello diè di leva all’uscio della soffitta di Giulietta. Si slanciò nella stanza, seguito da Teresa. La giovane era stesa sul letto e gemeva: aveva ingoiato del laudano; voleva morire. La moglie del falegname preparò subito un caffè carico, mentre il marito correva a chiamare un medico, Due ore dopo, Giulietta ora fuori di pericolo e raccontava piangendo: – Sono stata disgraziata o colpevole. Mi sono fidata di un uomo che mi ha ingannata. Lo amavo, e siccome mi giurava di sposarmi, mi lasciai trattare come se fossi già sua moglie. Ero felice, e non scorgevo l’abisso. «Quattro giorni fa, egli non venne all’ora solita; lo attesi inutilmente tutta la sera. «La mattina mi venne un pensiero: che fosse ammalato? «Risolvetti di andare a chiedere sue notizie nella casa dove abitava. «Non ero mai andata a casa sua, perchè mi diceva che stava in pensione da una vecchia signora, amica della sua famiglia, la quale si sarebbe scandalizzata se fossi andata a trovarlo. «Ma sapevo il nome della via e il numero della casa. «Vi giunsi in pochi minuti. «Entrai dal portinaio e chiesi: «– È in casa il signor Fabio Ribera?

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