Capitolo 1

2207 Parole
CAPITOLO 1 Taino, St. Marcos, Isole Vergini americane 20 aprile 2013 Non sapevo per quale motivo al mondo io avessi detto di sì. Stavo per avere la mia ora da protagonista come maestro di cerimonie per il concorso che avrebbe eletto la Signora St. Marcos. Esatto, ho detto Signora, non Miss. Avevo l’onore di condurre il concorso delle vecchie signore sposate. Perdonatemi se lo dico, ma non ero mai stata una grande appassionata di concorsi in generale, nonostante l’insistenza della mia cara amica Emily sul fatto che il titolo di Miss Amarillo l’avesse aiutata a pagare la sua laurea alla Texas Tech University, e quei concorsi per signore mi avevano portato a un livello completamente nuovo di ‘eh?’. Eppure ero lì. Era venuta anche metà della popolazione dell’isola. La metà chiassosa. Ero certa che l’oggetto del mio affetto non ricambiato e presumibilmente sepolto, un tizio del Texas di nome Nick, avrebbe detto che si stavano comportando come se fossero a una gara di trattori, non a un concorso di bellezza. O almeno così immaginavo, visto che non ci parlavamo da molte lune. Jackie, la direttrice del concorso, tirò l’orlo dei pantaloni blu mimetici a vita bassa oltre il suo considerevole sedere, quasi a coprire il tanga con la fascia da cinque centimetri che indossava. “Non posso credere che siamo tanto fortunati da avere una persona di talento come te a condurre il nostro concorso,” disse con entusiasmo. L’accento degli isolani era molto particolare, melodico, e la grammatica tendeva a essere grossolana e orientata al tempo presente. Le rivolsi un cenno di assenso, ma non riusciva a darmela a bere. Era solo sollevata di aver trovato qualcuno così fesso da mandare avanti il baraccone. Aveva cercato di ingaggiare la mia partner musicale, la sensuale Ava Butler, dopo aver visto una nostra esibizione canora al Lighthouse, sul lungomare del centro. A Jackie piacevano le nostre battute e la nostra presenza scenica ma preferiva Ava come baan ya (‘nata qui’) a me, che venivo dal continente. Ava aveva saggiamente trovato una scusa per non condurre il concorso e aveva raccomandato me. Gliel’avrei fatta pagare. I responsabili della manifestazione tenevano l’evento in un teatro ‘all’aperto’, ma quella definizione era solo un modo elegante per sottolineare che si trattava di un locale senza aria condizionata. Le porte di legno e le finestre oscurate erano tutte spalancate, ma all’interno non entrava alcuna luce o brezza percepibile. L’evento era programmato secondo l’ora locale. La folla di corpi accaldati stipata lì dentro da troppo tempo rendeva l’ambiente soffocante, anche dietro le quinte. Vivendo a St. Marcos avevo imparato ad apprezzare le proprietà detergenti del sudore, ma non potevo dire altrettanto delle altre cose che l’afa portava con sé, come le mosche e l’odore di corpi macerati dall'umidità. Scacciai uno di quei fastidiosi insetti. Il mio quasi fidanzato Bart, capo cuoco e uno dei proprietari del popolare Fortuna’s Restaurant in città, era seduto da qualche parte là fuori in quella zuppa di persone, che io lo volessi o meno. Una ragazza non poteva mangiare certe quantità del suo caratteristico branzino cileno marinato nel mango senza che le crescessero le branchie. Non ero nemmeno sicura del motivo per cui fosse venuto, visto che quella mattina aveva trovato morta la sua nuova responsabile di cucina. Pensavo che avrebbe avuto parecchie cose di cui occuparsi, ma evidentemente non era così. Ultimamente mi sembrava di non essere mai uscita dal suo campo visivo e dovevo rimediare. E in fretta. Avrei voluto viaggiare nel tempo e passare direttamente al giorno dopo, oltre la parte della serata in cui gli avrei detto che lui non era il principe azzurro e che la mia vita non era una favola. Forse. Se ne avessi trovato il coraggio. Scostai le tende di velluto rosso del palcoscenico di un centimetro e sbirciai oltre, ma non riuscii a individuarlo. Lasciai che la fessura si richiudesse. Jackie parlò di nuovo. “Sposta le tue cose laggiù, mi raccomando.” Si stava tirando giù la canottiera nera, che aderiva a ogni singolo rotolo adiposo sul suo addome e alle rientranze provocate dal reggiseno. Quell’operazione ne rese visibili le spalline di pizzo, che però almeno si abbinavano alla canottiera. Ma non alla bandana rossa. Era difficile prenderla sul serio conciata così, ma ci provai. Trascinai sul pavimento di assi la mia valigia con il guardaroba, troppo piena, fino all’angolo in fondo, sudando e facendo colare tutto il trucco nell’arco di quei venti secondi. Dentro c’erano i molti cambi d’abito che avevo portato su esplicita richiesta di Jackie. Aveva decretato che ci saremmo cambiate ogni volta che lo facevano le concorrenti, per ‘tenere alto l’interesse’. Ciò significava cinque cambi d’abito, che Dio potesse aiutarmi. Jackie si diresse verso un camerino contrassegnato da una stella di cartone ricoperta da un foglio di alluminio glitterato, che si era staccato da una delle punte. Ciabattava con le sue infradito producendo un rumore fastidioso a ogni passo. Controllai l’orologio. Erano ormai ufficialmente passati trenta minuti dall’orario di inizio annunciato. Jackie attribuiva la colpa del suo ritardo al dramma del giorno, dal quale si era dichiarata coinvolta. La responsabile di cucina morta, mi aveva informato, era una sua cugina di terzo grado da parte dell’ex marito di sua madre. Mentre entrava nel camerino, Jackie si voltò verso di me. “Se arriva la polizia e vuole parlarmi a proposito di Tarah, mi trovi qui,” disse, e chiuse la porta. Santo cielo. La folla in platea si faceva sempre più rumorosa. Sentivo i corpi agitarsi lungo le file di sedili pieghevoli in legno, mentre ventagli improvvisati sventolavano a più non posso e piccoli piedi correvano su e giù negli stretti corridoi del teatro buio. Un bambino strillò e io trasalii. Il mio trentaseiesimo compleanno si avvicinava rapidamente, ma il mio orologio biologico non teneva il passo. Mi tenni occupata sistemando abiti, scarpe e gioielli in ordine di apparizione finché Jackie non emerse dal camerino. In qualche modo era riuscita a superare se stessa, e il suo ultimo sbalorditivo outfit, strizzandosi in un abitino di tessuto crespo color mandarino troppo stretto e troppo corto. Un sorriso a trentadue denti si allargò sul suo viso d’ebano. “Ho indossato questo vestito per la mia incoronazione. Mi va ancora bene.” “Caspita,” dissi, tirando d’istinto la pancia in dentro. Anche Jackie era stata una Signora St. Marcos, una donna alta e bella, ma aveva acquistato una ventina di chili da quell’edizione del concorso, risalente a due anni prima. Certi ricordi semplicemente non erano fatti per essere rivissuti. E finalmente arrivò il momento di iniziare. Jackie salì sul palco e diede il benvenuto al pubblico, nominando i presenti uno ad uno, iniziando dagli ospiti più importanti della sala. “Buonasera… onorevole senatore Popo… senatore Nelson, la sua adorabile moglie e i loro tre deliziosi monelli…” esordì. Dieci minuti più tardi aveva completato la sua lista. “E auguro una bella e piacevole serata a tutti voi, signore e signori,” disse per concludere. Ormai ero abituata a quelle pompose circostanze, essendomi trasferita a St. Marcos in cerca di serenità già nove mesi prima. Serenità che avevo trovato soprattutto grazie alla casa non ancora finita che avevo comprato, abitata da un jumbie. Jumbie come lo spirito vudù. Sì, quel tipo di jumbie. Poteva sembrare strano se non si viveva ai tropici, ma la vita di tutti i giorni interconnessa alla dimensione soprannaturale era un’altra cosa a cui mi ero abituata. Casa Annalise era piuttosto famosa sull’isola, e tra le mie esibizioni come metà del duetto canoro con Ava e l’associazione mentale con quella casa, a quanto pareva lo ero anch’io. Alla fine Jackie passò a presentare me, e io salii sul palco sentendomi a disagio senza Ava a darmi manforte. Mi pentii del mio abito lungo e nero a spalline strette non appena lo spacco alto fino alla coscia mise in mostra le mie gambe magre e bianche procurandomi il primo fischio della serata. Non era ciò che mi ero prefissata. Tuttavia, il resto del pubblico rise bonariamente di chi aveva fischiato, e mi sembrò di aver iniziato bene. La gara in sé fu piuttosto penosa. C’erano solo tre concorrenti, cosa che trovai sorprendente. Dopo la prima parte dello spettacolo, ossia la sfilata in abito da sera, Jackie e io ci cambiammo velocemente nel camerino. “Perché non ci sono altre concorrenti?” chiesi, mentre pettinavo con le dita i miei lunghi capelli rossi e provavo a tenerli sollevati in una sinuosa acconciatura. No. Li lasciai sciolti e le onde tornarono a lambire il centro della mia schiena. Jackie lottò con la cerniera laterale del suo abito asimmetrico. Non sembrava possibile colmare la distanza tra i due lembi di stoffa che la cerniera avrebbe dovuto unire, e la cosa mi fece improvvisamente venire in mente il testo della canzone The River’s Too Wide nel punto in cui parla di fiumi impossibili da attraversare. “È difficile trovare una donna sposata originaria di St. Marcos,” spiegò. Non potevo obiettare su quell’affermazione. Alzò la voce e, con essa, il dito indice. “Mia cugina Tarah non si è mai sposata, e solo perché ha dato tutta se stessa al lavoro.” Tarah, appena scomparsa, si era già guadagnata la sua aureola e le sue ali. Tornai sul palco per presentare la sfilata di moda, poi mi spostai su un lato per lasciare spazio allo spettacolo. La prima concorrente avanzò impettita con indosso un top corto a manica lunga completamente aperto sul davanti. Non riuscii a richiudere la bocca per tutto il tempo in cui rimase sul palco. La folla l’applaudì con slancio. Eravamo passati dalla gara di trattori allo spogliarello. La testa bionda di Bart ora spiccava nel mare di capelli neri. Lui attirò il mio sguardo e agitò il pugno in aria. Dio, ti prego, fa’ che questa serata finisca presto, implorai. Jackie mi fece segno di rientrare per un altro cambio d’abito, ma quando mi presentai con l’outfit successivo si fermò a guardarmi e mise le mani sui fianchi. “Katie, cambia quel vestito,” abbaiò. “È troppo simile a quello che indosso io.” Accidenti, com’erano cambiate le cose da quando i giudici di gara avevano nominato quella donna Signora Simpatia. Avevo caldo. Ero sudata. Stavo svogliatamente impersonando Nicole Kidman, con i miei capelli rossi e il vestito di alta sartoria. Non ero felice di essere lì e non mi piaceva farmi comandare a bacchetta. Inoltre, il mio abito a tunica di Michael Kors blu ardesia era il mio capo preferito in assoluto e quella era l’unica occasione di indossarlo che prevedevo di avere sull’isola. Non mi avrebbe privato dell’unica piccola gioia della serata. “Cambiati tu,” ribattei. “Il mio calza perfettamente, e la cucitura posteriore del tuo si è appena strappata.” Girai sui tacchi e mi diressi verso lo specchio, raddrizzando la schiena per sfruttare al meglio il mio metro e settantacinque di altezza più otto centimetri di tacco. Lanciai un’occhiata al riflesso di Jackie. Era rimasta a bocca aperta e stava allungando il collo per guardare alle sue spalle la cucitura colpevole. Chiunque poco prima fosse stato a portata d’orecchio dietro le quinte mi stava rivolgendo pollici in su e altri segnali di apprezzamento. Katie, l’eroina del momento. Proseguii tornando sul palco per dare il via alla parte intellettuale della competizione, che vide la prima concorrente dedicare il tempo a sua disposizione a una dissertazione sull’importanza dell’allattamento al seno. “Il seno cascante è una paura infondata,” spiegò alla folla estasiata. “Sto ancora allattando il mio bambino di otto mesi e non mi pare di vedere cedimenti, voi cosa ne pensate?” Il pubblico apprezzò molto il discorso e parecchi risposero esponendo ad alta voce le alte opinioni che avevano del suo seno (o sarebbe stato più appropriato parlare di ‘opinioni sul suo seno alto’?). In ogni caso, assistere a quello spettacolo fu una tortura. Non fu peggio del mio ultimo processo a Dallas, durante il quale crollai sul pavimento e mi misi a miagolare come un gattino, scena immortalata su YouTube per le generazioni a venire, ma fu comunque un momento piuttosto brutto. Mi proiettai mentalmente nel mio luogo della felicità, immaginando il rilassante rumore della risacca sugli scogli di Horseshoe Bay. In qualche modo il tempo passò. Ci stavamo avvicinando alla conclusione dello spettacolo, dopo quattro ore estenuanti. Avrei sudato meno in una sauna. Mentre aspettavo dietro le quinte il verdetto finale dei giudici di gara, calcolai la piccola fortuna che avrei speso per il lavaggio a secco di tutti i vestiti che avevo usato. Indossai nuovamente il mio abito di Michael Kors solo per tormentare Jackie, e stavo recuperando il rossetto per un rapido ritocco quando il mio iPhone si mise a vibrare nelle profondità della mia borsa. Lo presi e diedi un’occhiata. Era un messaggio. ‘Voto per il MC’. Che strano. Era di Bart? Guardai il numero. No. Uno dei giudici? Impossibile. Il prefisso era 214, quello della zona di Dallas dalla quale provenivo. Lessi nuovamente il numero e provai una stretta allo stomaco. ‘Chi sei?’ scrissi, conoscendo già la risposta. ‘Nick’. Persi il fiato e faticai a recuperarlo.
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