capitolo 6

3750 Parole
capitolo 5 Il punto di vista di Jay-la Fare quella telefonata le richiese tutto il suo coraggio; aveva già deciso di chiamare il numero di Beta Jackson, e non il numero della casa del branco. Non riusciva a parlare con lui in quel momento. Erano passati sei lunghi anni e riusciva ancora a vedere la rabbia nei suoi occhi. A udire l'ordine che lui le aveva impartito. Il dolore le pizzicava il petto e lei se lo sfregava con noncuranza, cercando di farlo sparire. Aveva trascorso la giornata a fissare il numero, erano quasi le 17.00. La scadenza si stava avvicinando. Tony e Lauren avevano accettato di tenere i tre gemelli per qualche giorno mentre lei partiva per un viaggio di lavoro. "Ringrazio la Dea per loro”, inviò una benedizione alla Dea per loro. Saranno anche umani, ma per lei erano un dono inviato dalla Dea. Seduta sulla sedia del suo ufficio, compose il numero di Jackson che compariva in fondo alla lettera. La voce morbida e soave di Jackson le fece praticamente le fusa, calma e raccolta, e lui sembrava non avere alcuna preoccupazione al mondo. Lei sapeva che, essendo cresciuta con lui, era proprio così che si presentava. La rabbia e la collera che risuonavano nella voce di Alfa Nathan mentre urlava un ordine erano terribili, e non avrebbe mai pensato che sarebbe stato capace di indirizzarle verso di lei. “Manda il peggio del peggio”. La paura l'aveva penetrata fino alle midolla. Anche Kora mugolò, un rantolo di paura le sfuggì dalle labbra e chiuse la linea all'istante. Fissò il cellulare con orrore, mentre ogni fibra del suo corpo le urlava di scappare, di scappare subito e di non voltarsi mai indietro. Kora evitò qualsiasi discussione. Era ancora così arrabbiato con lei, così arrabbiato che sembrava odiarla completamente, totalmente. Come aveva potuto, dopo l'amicizia e la storia d'amore di tutta una vita, ignorare 20 anni di amicizia e rivoltarsi contro di lei così facilmente? Era bastato uno schiaffo e tutto era finito, tutto quello che avevano condiviso era sparito così. Per lui contava solo la sua Luna. Non le sue amicizie, o comunque non quella con lei. Fissò il telefono che squillava. Vide il numero, capì che si trattava di Jackson e premette il tasto di rifiuto della chiamata. Jay-la si alzò in piedi e strinse i pugni: dopo tutto, lei non era niente per lui, proprio niente. Sbatté il pugno sul telefono con tutta la sua forza di lupo e il telefono andò in frantumi e i frammenti volarono ovunque. È ora di andare”, mormorò, più che altro a se stessa. Prese la valigetta e si diresse verso casa. Avrebbe detto ai suoi cuccioli che sarebbero andati in vacanza e sarebbe salita sul primo volo per lasciare il Paese. Avevano tutti il passaporto, erano stati all'estero qualche volta, in vacanza, Singapore era bella e non si vedevano quasi mai lupi lì. Poteva essere un'opzione. Questa volta avrebbe dovuto trovare un posto più adatto a Kora. Aveva sofferto molto per il fatto di non essere in grado di trasformarsi così tanto, a causa del fatto di vivere sempre in città e di stare lontana da tutto ciò che riguardava la Società dei Lupi, e il territorio dei lupi canaglia era fuori questione. Era troppo pericoloso, per quanto Kora fosse veloce, ed era un rischio che nessuna delle due era disposta a correre, perché avrebbe potuto lasciare i loro cuccioli orfani nel mondo degli umani. Ora che si era trasferita più lontano, il viaggio in auto dall'ufficio a casa era lungo, più di un'ora, e doveva affrontare il traffico dell'ora di punta. L'unica cosa a suo favore in quel momento era che si trovava dall'altra parte del paese rispetto a lui, il suo Alpha. Ciò le avrebbe dato il tempo, almeno 10 o 12 ore, di fare i bagagli e andarsene, nel mentre lui avrebbe dovuto prenotare un volo per i suoi uomini e organizzare il trasporto. A quel punto, Jay-la sarebbe stata già lontana, era finita, non si tornava più indietro. Stavolta avrebbe dovuto tagliare completamente i ponti con il branco, ma avrebbe aspettato a farlo fino all'aeroporto. Troppe tracce da seguire in un aeroporto e una volta che lei fosse stata dichiarata una canaglia, lui non sarebbe più stato in grado di seguire quella traccia particolare che apparteneva al suo branco, una traccia che tuttora poteva usare per trovarla. "Ci farà male" "Lo so, ma cos'altro possiamo fare... il peggio del peggio Kora. Ciò significa che gli uomini che arriveranno, chiunque manderà, potranno farci quello che vorranno, senza conseguenze.' Sentì Kora rabbrividire di disgusto, 'Ucciderò chiunque pensi di poterci toccare, Jay-la.' 'So che ci proveremo, ma...' sapevano entrambe che sarebbero state in inferiorità numerica, e ciò nonostante si fosse allenata per tutta la vita e continuasse a farlo una volta alla settimana. Gli uomini che avrebbero dovuto affrontare, come dimensioni sarebbero stati probabilmente il doppio di lei, e si allenavano ogni giorno. Avrebbero avuto un lato sadico malato, per cui amavano infliggere dolore. La sua resistenza li avrebbe aizzati ancora di più. Jay-la parcheggiò la macchina davanti all'edificio, invece che nel parcheggio custodito. Sarebbe rimasta a casa solo il tempo necessario per preparare una valigia per ciascuno di loro e prendere i loro passaporti; un'ora al massimo, sperabilmente anche meno. Scese dalla macchina, persa nei suoi pensieri di fuga. Dove andare? Una volta diventata una canaglia, non c'era più modo di tornare indietro, perciò scegliere un posto senza lupi era probabilmente l'idea migliore. Quindi, un paese che non avesse una popolazione naturale di lupi sarebbe stato l'ideale. Altri mutaforma non l'avrebbero disturbata, finché non fosse stata una minaccia per loro. Da qualche parte fuori mano, in qualche luogo raccolto, con una bella foresta per Kora e i suoi figli dove, una volta cresciuti, avrebbero potuto muoversi e correre liberamente. Avrebbe potuto usare la sua laurea per trovare un lavoro. Se non fosse riuscita a occuparsi di diritto di famiglia, avrebbe potuto sfruttare la sua conoscenza del diritto contrattuale, che era sempre richiesto, e visto che parlava tre lingue, uno qualsiasi di quei paesi sarebbe andato bene. Quindi, se non fosse riuscita a lavorare nel campo legale, avrebbe potuto trovare un lavoro come traduttrice presso una società; sarebbe stato un vantaggio. All'improvviso si sentì coprire la bocca con un panno e avvertì una stretta feroce attorno alla vita, mentre veniva tirata all'indietro; avvertì il contatto contro un corpo duro. Sussultò. Era così persa nei suoi pensieri che non aveva visto, sentito o annusato nulla di insolito. Il cloroformio che aveva inalato profondamente le stava rendendo confusa la vista. Kora ringhiò all'istante e mentre i suoi artigli si staccavano dalle dita di Jay-la pronti a combattere, avvertì una forte fitta sul lato sinistro del collo e un intenso bruciore nelle vene. "No", cercò di urlare, ma l'oscurità la stava già avvolgendo. La sua peggiore paura si stava avverando, il suo ultimo pensiero prima che sprofondasse nell'oscurità totale fu rivolto ai suoi figli: "bambini miei, mi dispiace". Si sentiva ancora gli occhi pesanti, era così stanca e cercare di aprirli sembrava la cosa più difficile al mondo. Ci vollero diversi minuti prima che riuscisse a tenerli aperti e a concentrarsi su ciò che la circondava. Era sdraiata sul lato destro, a malapena in grado di muoversi, e aveva le braccia legate dietro la schiena. "Kora", provò a chiamare il suo lupo, ma non ottenne risposta, non riusciva a sentirla affatto, non riusciva a percepirla minimamente. Drogata con l'aconito, senza l'aiuto del suo lupo e con una sensazione di bruciore che le proveniva dai polsi: le avevano messo delle manette d'argento, ora era indifesa come un essere umano. In quel momento le era precluso qualsiasi aiuto. Prese un respiro profondo, cercò di comprendere la situazione. Giaceva su quello che sembrava il pavimento di un furgone in movimento. Indossava ancora i suoi vestiti e non avvertiva dolore tra le gambe, quindi non era stata aggredita mentre era incosciente. Ringraziò la dea. Ma da quanto tempo era lì? Poche ore, tutta la notte, 24 ore o più? Non ne aveva idea. I tre gemelli erano rimasti con la loro tata. Quanto avrebbe aspettato per chiamare la polizia e denunciare la sua scomparsa? Sarebbe rimasta con i bambini per tutto il tempo o li avrebbe lasciati da soli? Troppi se, troppe congetture. Suzzy è una tata fantastica. La paghiamo bene, la trattiamo con rispetto e ama i tre gemelli, resterà con loro. Jay-la si disse che doveva cercare di mantenere la calma. Doveva rimanere calma. Era d'obbligo per sopravvivere e trovare il modo di scappare. Era metà settimana, se non fosse tornata a casa e poi non si fosse presentata al lavoro, qualcuno avrebbe chiamato la polizia e denunciato la sua scomparsa. La polizia degli umani non aveva molta influenza sulla Società dei lupi, ma i lupi dovevano tenerli buoni di tanto in tanto. Un piede le toccò il petto e la spinse sulla schiena. "Ah, sei sveglia, vedo", le disse una voce maschile roca, in tono divertito. "Cosa hai fatto, mi chiedo", ridacchiò. Jay-la lo fissò, era buio dentro il furgone, ma non aveva idea se fosse buio fuori o se il furgone fosse stato progettato in modo che nessuno potesse vederci dentro. Indossava solo una gonna e una camicetta, che questo lupo non avrebbe avuto problemi a toglierle per farle quello che voleva. La sua unica difesa ora erano il suo cervello e i suoi tacchi a spillo. "Per favore", sussurrò, "ho dei figli". Sperava di fare appello al suo naturale senso familiare. I lupi erano creature che avevano per natura un forte senso paterno, i loro compagni e la loro prole significavano tutto per loro, sarebbero morti per proteggerli. "Tre bambini, per favore lasciami andare". Lui la guardò accigliato per un minuto intero, poi scrollò le spalle "Mi dispiace, sono stato già pagato". La sua voce sembrò all'improvviso priva di emozioni, come se avesse dovuto isolarsi dalle sue emozioni, ignorare le sue suppliche. "Hanno solo 5 anni, e sono senza padre". supplicò Jay-la. Di nuovo, lui aggrottò la fronte e la fissò. Era turbato e lei lo sapeva, stava funzionando. Poi scrollò le spalle "Non è un mio problema, signora". Sebbene sembrasse preoccupato, forse non lo era davvero, o forse la ricompensa era troppo buona per lasciarsela sfuggire. Jay-la si mise a sedere con difficoltà. Lui la guardò stancamente, sembrava non rappresentare una vera minaccia, non aveva al suo fianco il suo lupo e non aveva idea di quanto tempo ne sarebbe rimasta priva. Era stata ammanettata con manette d'argento, che probabilmente non le sarebbero state tolte finché non fossero arrivati a destinazione. Poteva sembrare indifesa e non aveva un lupo, ma suo padre era un addestratore di alto rango e l'aveva addestrata da quando aveva cinque anni. Era preoccupato che la sua preziosa principessa potesse farsi del male, e voleva assicurarsi che sapesse difendersi, perciò l'aveva addestrata ogni giorno senza lupo, finché, a 16 anni, non ebbe Kora; quindi se quell'uomo aveva intenzione di combattere, lei non si sarebbe tirata indietro. Questo era il giorno su cui suo padre l'aveva messa in guardia, il giorno per cui l'aveva addestrata. Avrebbe fatto ciò che suo padre le aveva insegnato, combattere e non arrendersi mai, ignorare il dolore il più possibile e combattere con ogni strumento a disposizione, che si trattasse di arguzia, fascino, seduzione o anche una piccola scheggia di legno; qualsiasi cosa, dovevi solo cogliere i tuoi nemici di sorpresa, per ottenere un vantaggio. Il furgone iniziò a rallentare, l'uomo distolse lo sguardo da lei e lei ne approfittò per sollevarsi sulle ginocchia e poi alzarsi in piedi faticosamente, appoggiandosi alla parete del furgone. Quando lui si voltò a guardarla, Jay-la si spinse via dalla parete con un piede e sbatté il suo corpo contro di lui, cogliendolo completamente di sorpresa, proprio come le aveva insegnato suo padre. Sentì la testa dell'uomo sbattere contro l'altra parete del furgone, con uno schianto così forte che probabilmente gli aveva causato una commozione cerebrale, un ringhio provenne dal suo lupo mentre lei tentava disperatamente di rimettersi in piedi tenendosi a distanza, ma perse l'equilibrio e cadde all'indietro. Lui si alzò rapidamente e urlò "Che cazzo", mentre allungava la mano verso di lei, lei gli diede un calcio forte nell'addome con entrambi i piedi e sentì uno dei suoi tacchi a spillo affondare nella sua carne con un suono di risucchio nauseante. Il suo piede si era improvvisamente bagnato di un liquido caldo, era il sangue che proveniva dalla ferita che gli aveva inflitto. L'urlo di dolore che emesse le disse che era arrivata in profondità. Grazie alla Dea, indossava sempre tacchi da 10 cm. Tirò via il piede e il tacco dal corpo, mentre il sangue gli colava liberamente dalla maglietta. Il furgone si fermò all'improvviso mentre lui cercava di allungare la mano e afferrarla di nuovo, ma la brusca frenata lo fece cadere. Jay-la sollevò un ginocchio per proteggersi dal suo peso mentre lui le cadeva addosso. Lei sussultò, era pesante. L'uomo si tirò su, imprecando "Puttana, guarda cosa mi hai fatto." le ringhiò, afferrandola con la sua forza da lupo, entrambe le mani intorno alla sua vita mentre la tirava su dal pavimento. "Che diavolo è successo?" gridò un altro uomo dalla parte anteriore del furgone. "Quella maledetta lupa mi ha attaccato." sbottò, con una nota di dolore nella voce mentre la allontanava da sé, non volendo rischiare un altro attacco. Jay-la sentiva che anche la sua camicetta era ora bagnata del suo sangue, avvertiva una fastidiosa sensazione appiccicosa sul tallone del piede destro e giù fino alla pianta del piede, mentre il sangue si raccoglieva nella scarpa. Anche lei riusciva a sentirne l'odore ora che era stretta a lui, la sua camicetta si stava bagnando del sangue dell'uomo sulla schiena, la sua ferita non era ancora guarita, anche se pensava che sarebbe passato troppo tempo prima che il suo lupo iniziasse a guarirlo. Ora la teneva stretta, più stanco di prima. La portiera sul lato del furgone si aprì e un altro uomo le apparve davanti, alto e magro, tutto muscoli. Indossava abiti anonimi, jeans blu e una semplice maglietta blu, i suoi occhi marrone scuro osservavano la scena, era il suo lupo in prima linea pronto ad aiutarlo. Poteva vedere il leggero bagliore verde dietro il marrone dei suoi occhi, pronto a prendere il controllo se lei fosse stata troppo difficile da gestire. Jay-la non era poi così alta, 1 metro e settanta, era minuta ma in forma, e in quel momento probabilmente sembrava piccola e fragile. Lo osservava, cercando attentamente di valutare l'entità del pericolo. Cercava di sembrare indifesa e debole allo stesso tempo. Il suo lupo non doveva aver pensato molto a lei mentre si ritirava, lasciando che la sua controparte umana si occupasse di lei; con un sorriso sul volto le disse "Vieni qui, bella. Siamo quasi a destinazione. Stai buona ora". Jay-la si spinse indietro contro il lupo, tenendola già stretta come se lei non volesse che la toccasse. Scosse la testa. "Non toccarmi", sibilò, preparandosi ad attaccarlo. "Dai, sei troppo carina per fare confusione". rispose, sporgendosi nel furgone per afferrarla. Jay-la sollevò di scatto il piede destro e lo colpì. Lui non se l'aspettava e il tacco della sua scarpa affondò dove lei si aspettava, in profondità nel suo collo. I suoi occhi si spalancarono per lo shock e si staccò da lei, liberandosi dal tacco. Si afferrò il collo con le mani mentre il sangue iniziava a sgorgare, la vita lo stava abbandonando, lei non aveva mancato il bersaglio. Il tacco gli aveva tagliato la carotide. Niente avrebbe potuto salvarlo ora, se non un miracolo della Dea. L'uomo che la teneva imprecò così violentemente da farle male alle orecchie. Fu improvvisamente e bruscamente spinta fuori dal furgone senza riguardo per il fatto che non poteva trattenersi o fermare la caduta; non riuscì nemmeno a prepararsi all'impatto. Cadde sulla strada sterrata fuori dal furgone a faccia in giù e tutto ciò che poté fare fu voltare la faccia di lato. La strada sterrata le squarciò il viso, lacerandole la pelle, dalla tempia al mento; il dolore era lancinante. Sentì altro dolore lacerarle la spalla e l'anca, il petto era invaso dal dolore mentre sentiva il suo corpo scivolare lungo la strada sterrata. Le lacrime le sgorgavano dagli occhi per il dolore e riusciva a malapena a respirare per l'impatto improvviso a terra. Giaceva lì indifesa e troppo dolorante per muoversi e cercare di scappare. Non ne avrebbe avuto comunque il tempo: si sentì sollevare per i capelli, da terra, un urlo le uscì dalla bocca e pensò che stesse per essere scotennata. Poi fu sbattuta violentemente contro l'esterno del furgone e due mani le erano già attorno al collo e le stavano togliendo la vita. Era apparso un terzo uomo che stava cercando di ucciderla, i suoi piedi erano sollevati da terra per la forza con cui la stava spingendo su e strangolando. Cercò di dargli un calcio, ma era troppo vicino per fargli davvero male. "Quello è mio fratello, stronza, ti ammazzo." le urlò, mentre la saliva le schizzava sulla faccia. Jay-la non aveva niente con cui difendersi, aveva ancora le mani legate dietro la schiena con delle manette d'argento, lui stava usando il suo corpo per bloccarla mentre scalciava e la mancanza di ossigeno le stava rapidamente prosciugando le forze. Le era mancato il fiato quando era caduta a terra e ora non riusciva più a respirare perché quell'uomo stava cercando di strangolarla a morte. Poi l'uomo all'improvviso si staccò da lei, lei non fu in grado di reggersi in piedi e le sue ginocchia cedettero sotto il suo stesso peso, mentre cadeva a terra. A poca distanza era iniziata una lotta, e lei riusciva a sentirne i rumori. Si sforzò di restare sveglia mentre cercava di riprendere fiato, di vedere attraverso l'oscurità, di rimettersi in piedi, e i suoi polmoni bruciavano, tutto il suo corpo era dolorante e ogni movimento le causava sofferenza. Volse lentamente lo sguardo verso gli uomini che combattevano, uno di loro le sembrava vagamente familiare. Sentiva urlare "Te l'avevo detto, non dovevi farle del male". Jay-la girò la testa; era appoggiata al furgone, e stava finalmente inspirando correttamente aria nei polmoni. L'uomo a terra era davvero morto e quello che prima era con lei nel retro del furgone era ora seduto a cullare il suo corpo senza vita. Non le importava davvero, quei bastardi l'avevano drogata, l'avevano presa contro la sua volontà, lasciando i suoi preziosi bambini soli e indifesi. Traendo un altro respiro, Jay-la colse l'occasione, mentre tutti erano distratti, per girarsi e correre, lungo la strada lontano dal furgone, lontano dai lupi. Sicuramente avrebbe potuto fermare un'auto di passaggio. Vedendola in quello stato, coperta di sangue, con ferite multiple e legata, qualcuno si sarebbe fermato e l'avrebbe aiutata. Chiunque si sarebbe fermato e avrebbe aiutato una donna in quello stato, sanguinante e scarmigliata. Passarono solo pochi minuti, e venne sbattuta di nuovo a terra, il dolore sempre più acuto, mentre si procurava altre ferite alla pelle già danneggiata. Le sue ginocchia avevano erano rimaste danneggiate nella caduta. Sentiva il dolore scorrerle dentro. Due lupi la sollevarono da terra e iniziarono a trascinarla indietro, nella direzione da dove era venuta. Cercò di scalciare, ma aveva troppo dolore. Loro erano anche più grandi e più forti e continuavano ad andare avanti, i suoi occhi erano rivolti verso la strada davanti a lei e la paura le aveva invaso ogni fibra; era a casa. Riusciva a vedere oltre il furgone fino ai grandi cancelli neri che indicavano l'ingresso principale della casa del Branco della Luna di Sangue. Il furgone si era fermato a circa 300 metri di distanza a causa dell'improvvisa lotta sul retro. Il lato sinistro del cancello era aperto, quello destro ancora chiuso, ma lei riconobbe subito il cerchio rosso sulla metà chiusa del cancello che rappresentava la Luna di Sangue da cui il branco prendeva il nome. Cercò di nuovo di liberarsi, ma non servì a nulla, poiché i due uomini le afferrarono un braccio ciascuno, stringendola sempre più forte, e la condussero verso il cancello semiaperto e l'auto in attesa che era visibile dall'altra parte del cancello. La porta sul retro era aperta e la stavano aspettando. Notò che i rumori dei combattimenti erano cessati, le lacrime le scorrevano ancora sul viso, il dolore era troppo forte, e poi c'era la sua paura di essere a casa, la paura di ciò che sarebbe successo, che questo fosse solo l'inizio. Non voleva pensare al dolore che l'avrebbe ancora colpita, o a come sarebbe stato gestito, o da chi. Le sfuggì un singhiozzo, sapeva chi sarebbe stato, e il suo cuore si riempiva di dolore al solo pensiero. Avrebbe mai rivisto i suoi figli? Una mano si posò sul suo gomito sinistro e i due uomini che la tenevano la lasciarono andare all'istante. "È bello rivederti, Jay-la" sentì la voce di Beta Jackson accoglierla con un tono dolce e gentile. "La prenderò in consegna dai ragazzi." Quindi la accompagnò lungo la strada verso il cancello e l'auto in attesa. Non lo attaccò, un tempo era stato uno dei suoi amici più cari; ora non più. Ma non poteva combattere con lui, c'erano solo una o due persone nel Branco della Luna di Sangue che potevano sconfiggerlo in un corpo a corpo, e lei non era una di loro. Le faceva male tutto il viso, le ginocchia erano sul punto di cedere per il dolore, ma continuò a camminare, era coperta di ferite e non aveva Kora a curarla o ad aiutarla ad alleviare il dolore. Doveva semplicemente sopportarlo, sottomessa alla loro volontà. Lui la stava fissando, lei poteva sentire i suoi occhi su di sé, e teneva gli occhi bassi a terra, cosa poteva dire a quest'uomo per convincerlo a lasciarla andare e a tradire il suo Alfa, il suo migliore amico. Niente, e lo sapeva, quindi non disse nulla, lasciò solo che quelle lacrime silenziose le scendessero sul viso insanguinato e rovinato, doveva sembrare completamente infelice, ed era esattamente come si sentiva. Lo sentì sospirare mentre arrivavano alla macchina. La fece salire e scivolò accanto a lei, poi ordinò all'autista di andare dritto alla casa del branco. Il suo destino era ormai segnato, poteva solo pregare la Dea affinché proteggesse i suoi bambini dal male. Inviò la preghiera con tutto l'amore che aveva per loro, i suoi bambini.
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