Chapter 8

1091 Parole
L’arrivo di entrambi i suoi fratelli, che fino a quel momento non aveva mai conosciuto, sembrò produrre una fortissima impressione su Alëša. Con il fratello Dmitrij Fëdoroviè, che pure arrivò più tardi, egli instaurò subito un rapporto più intimo che con l’altro fratello (suo fratello uterino), Ivan Fëdoroviè. Gli interessava moltissimo conoscere il fratello Ivan, ma erano già due mesi che vivevano sotto lo stesso tetto, e sebbene si vedessero abbastanza spesso, non avevano per niente familiarizzato: Alëša, da parte sua, era taciturno e sembrava che aspettasse qualcosa, che fosse intimorito da qualcosa, mentre Ivan, anche se Alëša aveva notato all’inizio i suoi lunghi sguardi curiosi, ben presto non lo aveva più degnato di attenzione. Alëša notò questo con un certo turbamento. Egli attribuì l’indifferenza del fratello alla differenza d’età esistente fra di loro e soprattutto al diverso grado di istruzione. Ma Alëša si domandava se quell’assenza di curiosità e simpatia nei suoi confronti fossero causati da qualcosa che egli ignorava del tutto. Gli sembrava, per qualche ragione, che Ivan fosse assorbito da qualcosa, qualcosa di interiore e importante, che egli mirasse a uno scopo, forse, molto arduo da raggiungere, e che quindi non avesse tempo per lui, e che quello fosse l’unico motivo per il quale fosse così distratto nei suoi confronti. Alëša si domandava anche se non si trattasse pure di disprezzo, il disprezzo di un colto ateo nei confronti di uno stupido novizio. Egli sapeva benissimo che suo fratello era ateo. Non poteva offendersi di quel disprezzo, se di disprezzo si trattava: tuttavia, con un certo allarmato turbamento, a lui stesso incomprensibile, aspettava il momento in cui il fratello avrebbe desiderato avvicinarsi a lui. Il fratello Dmitrij Fëdoroviè mostrava una profondissima stima nei confronti del fratello Ivan e parlava di lui con una certa gravità, tutta speciale. Alëša aveva appreso da Dmitrij Fëdoroviè tutti i particolari di quella importante faccenda che aveva legato i due fratelli negli ultimi tempi in un rapporto stretto e straordinario. L’opinione entusiastica di Dmitrij sul fratello Ivan era tanto più significativa agli occhi di Alëša in quanto il fratello Dmitrij, in confronto a Ivan, era quasi del tutto privo di istruzione ed entrambi, messi l’uno accanto all’altro, costituivano un tale netto contrasto di personalità e carattere che, forse, sarebbe stato impossibile concepire due persone più diverse di loro. Fu proprio in quel periodo che ebbe luogo l’incontro o, per meglio dire, la riunione fra tutti i membri di quella dissestata famiglia nella cella dello starec, riunione che doveva avere una portentosa influenza su Alëša. Il pretesto di quella riunione in realtà era inconsistente. In quel periodo il disaccordo tra Dmitrij Fëdoroviè e Fëdor Pavloviè, in merito all’eredità e alla valutazione dei beni, era arrivato a un livello intollerabile. I loro rapporti si erano inaspriti ed erano diventati insostenibili. Pare che Fëdor Pavloviè avesse lanciato per primo, e per scherzo, l’idea che tutti si riunissero nella cella dello starec Zosima, allo scopo, se non proprio di ricorrere alla sua diretta intermediazione, almeno di giungere ad un accordo in maniera più decorosa, sotto l’influenza ispiratrice e riappacificatrice della dignità e della persona dello starec. Dmitrij Fëdoroviè, che non aveva mai visitato né visto lo starec, pensò ovviamente che il padre in quel modo lo volesse spaventare, ma poiché si era più volte rimproverato in cuor suo di molti suoi recenti scatti d’ira nella disputa con il padre, accettò l’invito. Noteremo a proposito che egli non viveva in casa del padre, come Ivan Fëdoroviè, ma per conto proprio, all’altro capo della città. Accadde che anche Pëtr Aleksandroviè Miusov, che in quel periodo viveva nella nostra città, si attaccasse in modo particolare a quella idea di Fëdor Pavloviè. Liberale degli anni ’40 e ’50, libero pensatore e ateo, egli, forse per noia o forse per frivolo passatempo, ebbe un ruolo eccezionale in quella vicenda. Gli venne improvvisamente voglia di vedere il monastero e il “santo”. Dal momento che ancora si protraevano le vecchie dispute con il monastero ed andava per le lunghe la causa sul confine fondiario dei suoi possedimenti, sui diritti di taglio nel bosco e di pesca nel fiume e via dicendo, egli si affrettò a sfruttare la situazione con la scusa di volersi mettere d’accordo di persona con il padre igumeno per vedere se fosse possibile ricomporre i loro contrasti in maniera pacifica. Avrebbero certo accolto con maggiore attenzione e considerazione un visitatore animato da tali lodevoli intenzioni, piuttosto che un semplice curioso. In seguito a tutte queste considerazioni, si poté organizzare una specie di pressione interna al monastero sullo starec malato che, negli ultimi tempi, non abbandonava quasi mai la cella e, a causa della malattia, non riceveva neanche i visitatori abituali. Andò a finire che lo starec dette il suo consenso e si fissò la data. «Chi mi ha messo a fare da giudice fra di loro?», si limitò a commentare con un sorriso ad Alëša. Quando Alëša venne a sapere dell’incontro, ne fu molto turbato. Egli capiva che, in mezzo a quei litiganti e contendenti, l’unico che potesse prendere sul serio quel convegno era senza dubbio il fratello Dmitrij; tutti gli altri sarebbero venuti con propositi fatui e forse anche offensivi nei confronti dello starec. Il fratello Ivan e Miusov sarebbero venuti mossi dalla curiosità, e probabilmente della specie più volgare, mentre suo padre sarebbe venuto forse allo scopo di recitare qualcuna delle sue farse. Oh, anche se non parlava, Alëša conosceva a fondo suo padre! Lo ripeto: quel ragazzo non era affatto così ingenuo come molti lo consideravano. Attendeva con apprensione la data prefissata. Senza dubbio egli si preoccupava molto, nel profondo del suo cuore, di come potessero concludersi quei disaccordi familiari. Nondimeno era più di tutto preoccupato per lo starec: egli trepidava per lui, per la sua fama, temeva gli oltraggi alla sua persona, soprattutto l’ironia sottile e garbata di Miusov e le mezze reticenze sprezzanti del colto Ivan: ecco come prevedeva che sarebbe andata a finire. Egli voleva quasi azzardarsi a mettere in guardia lo starec, anticipargli qualcosa sulle persone che sarebbero potute venire, ma ci ripensò e tacque. Mandò soltanto a dire al fratello Dmitrij, attraverso un conoscente, alla vigilia dell’incontro che gli voleva molto bene, e che si aspettava che lui mantenesse la promessa. Dmitrij stette lì a pensare, perché non riusciva assolutamente a ricordare quale promessa gli avesse fatto e rispose per lettera che avrebbe fatto del suo meglio per resistere «davanti alla bassezza», ma per quanto rispettasse profondamente lo starec e il fratello Ivan, era convinto che quell’incontro sarebbe stato un tranello per lui oppure un’indegna farsa. «Tuttavia, ingoierei la lingua piuttosto che mancare di rispetto a quel santo uomo che tu stimi tanto»: così concluse Dmitrij la sua missiva. Alëša non ne fu gran che sollevato.
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