bc

Paradiso

book_age12+
detail_authorizedAUTORIZZATO
2
SEGUI
1K
LEGGI
like
intro-logo
Trafiletto

Il "Paradiso" è la terza delle tre cantiche che compongono la "Divina Commedia" di Dante Alighieri, dopo l"Inferno e il Purgatorio. La struttura del Paradiso è costruita sul sistema geocentrico di Aristotele e di Claudio Tolomeo (al centro dell"universo sta la Terra e intorno ad essa nove sfere concentriche). Mentre l"Inferno e il Purgatorio sono luoghi presenti sulla Terra, il Paradiso è un mondo immateriale, etereo, diviso in nove cieli: i primi sette prendono il nome dai corpi celesti del sistema solare (nell"ordine Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno), gli ultimi due sono costituiti dalla sfera delle stelle fisse e dal Primo mobile. Il tutto è contenuto nell"Empireo.

L"autore

Dante Alighieri, o Alighiero, battezzato Durante di Alighiero degli Alighieri e anche noto con il solo nome Dante, della famiglia Alighieri (Firenze, tra il 22 maggio e il 13 giugno 1265 – Ravenna, 14 settembre 1321), è stato un poeta, scrittore e politico italiano. È considerato, al pari di Francesco Petrarca, il padre della lingua italiana; la sua fama è dovuta eminentemente alla paternità della Comedìa, divenuta celebre come Divina Commedia e universalmente considerata la più grande opera scritta in italiano e uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale.

chap-preview
Anteprima gratuita
Canto I
Canto I La gloria di colui che tutto move per l’universo penetra, e risplende in una parte più e meno altrove. 3 Nel ciel che più de la sua luce prende fu’ io, e vidi cose che ridire né sa né può chi di là sù discende; 6 perché appressando sé al suo disire, nostro intelletto si profonda tanto, che dietro la memoria non può ire. 9 Veramente quant’io del regno santo ne la mia mente potei far tesoro, sarà ora materia del mio canto. 12 O buono Appollo, a l’ultimo lavoro fammi del tuo valor sì fatto vaso, come dimandi a dar l’amato alloro. 15 Infino a qui l’un giogo di Parnaso assai mi fu; ma or con amendue m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso. 18 Entra nel petto mio, e spira tue sì come quando Marsia traesti de la v****a de le membra sue. 21 O divina virtù, se mi ti presti tanto che l’ombra del beato regno segnata nel mio capo io manifesti, 24 vedra’mi al piè del tuo diletto legno venire, e coronarmi de le foglie che la materia e tu mi farai degno. 27 Sì rade volte, padre, se ne coglie per triunfare o cesare o poeta, colpa e vergogna de l’umane voglie, 30 che parturir letizia in su la lieta delfica deità dovria la fronda peneia, quando alcun di sé asseta. 33 Poca favilla gran fiamma seconda: forse di retro a me con miglior voci si pregherà perché Cirra risponda. 36 Surge ai mortali per diverse foci la lucerna del mondo; ma da quella che quattro cerchi giugne con tre croci, 39 con miglior corso e con migliore stella esce congiunta, e la mondana cera più a suo modo tempera e suggella. 42 Fatto avea di là mane e di qua sera tal foce, e quasi tutto era là bianco quello emisperio, e l’altra parte nera, 45 quando Beatrice in sul sinistro fianco vidi rivolta e riguardar nel sole: aquila sì non li s’affisse unquanco. 48 E sì come secondo raggio suole uscir del primo e risalire in suso, pur come pelegrin che tornar vuole, 51 così de l’atto suo, per li occhi infuso ne l’imagine mia, il mio si fece, e fissi li occhi al sole oltre nostr’uso. 54 Molto è licito là, che qui non lece a le nostre virtù, mercé del loco fatto per proprio de l’umana spece. 57 Io nol soffersi molto, né sì poco, ch’io nol vedessi sfavillar dintorno, com’ferro che bogliente esce del foco; 60 e di sùbito parve giorno a giorno essere aggiunto, come quei che puote avesse il ciel d’un altro sole addorno. 63 Beatrice tutta ne l’etterne rote fissa con li occhi stava; e io in lei le luci fissi, di là sù rimote. 66 Nel suo aspetto tal dentro mi fei, qual si fé Glauco nel gustar de l’erba che ‘l fé consorto in mar de li altri dèi. 69 Trasumanar significar per verba non si poria; però l’essemplo basti a cui esperienza grazia serba. 72 S’i’ era sol di me quel che creasti novellamente, amor che ‘l ciel governi, tu ‘l sai, che col tuo lume mi levasti. 75 Quando la rota che tu sempiterni desiderato, a sé mi fece atteso con l’armonia che temperi e discerni, 78 parvemi tanto allor del cielo acceso de la fiamma del sol, che pioggia o fiume lago non fece alcun tanto disteso. 81 La novità del suono e ‘l grande lume di lor cagion m’accesero un disio mai non sentito di cotanto acume. 84 Ond’ella, che vedea me sì com’io, a quietarmi l’animo commosso, pria ch’io a dimandar, la bocca aprio, 87 e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso col falso imaginar, sì che non vedi ciò che vedresti se l’avessi scosso. 90 Tu non se’ in terra, sì come tu credi; ma folgore, fuggendo il proprio sito, non corse come tu ch’ad esso riedi». 93 S’io fui del primo dubbio disvestito per le sorrise parolette brevi, dentro ad un nuovo più fu’ inretito, 96 e dissi: «Già contento requievi di grande ammirazion; ma ora ammiro com’io trascenda questi corpi levi». 99 Ond’ella, appresso d’un pio sospiro, li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante che madre fa sovra figlio deliro, 102 e cominciò: «Le cose tutte quante hanno ordine tra loro, e questo è forma che l’universo a Dio fa simigliante. 105 Qui veggion l’alte creature l’orma de l’etterno valore, il qual è fine al quale è fatta la toccata norma. 108 Ne l’ordine ch’io dico sono accline tutte nature, per diverse sorti, più al principio loro e men vicine; 111 onde si muovono a diversi porti per lo gran mar de l’essere, e ciascuna con istinto a lei dato che la porti. 114 Questi ne porta il foco inver’ la luna; questi ne’ cor mortali è permotore; questi la terra in sé stringe e aduna; 117 né pur le creature che son fore d’intelligenza quest’arco saetta ma quelle c’hanno intelletto e amore. 120 La provedenza, che cotanto assetta, del suo lume fa ‘l ciel sempre quieto nel qual si volge quel c’ha maggior fretta; 123 e ora lì, come a sito decreto, cen porta la virtù di quella corda che ciò che scocca drizza in segno lieto. 126 Vero è che, come forma non s’accorda molte fiate a l’intenzion de l’arte, perch’a risponder la materia è sorda, 129 così da questo corso si diparte talor la creatura, c’ha podere di piegar, così pinta, in altra parte; 132 e sì come veder si può cadere foco di nube, sì l’impeto primo l’atterra torto da falso piacere. 135 Non dei più ammirar, se bene stimo, lo tuo salir, se non come d’un rivo se d’alto monte scende giuso ad imo. 138 Maraviglia sarebbe in te se, privo d’impedimento, giù ti fossi assiso, com’a terra quiete in foco vivo». Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso. 142

editor-pick
Dreame-Scelta dell’editore

bc

Passione a corte, Erotico fantasy - Raccolta 1

read
3.0K
bc

L'Alfa rifiutato

read
20.6K
bc

Una seconda possibilità

read
1.0K
bc

Inodore

read
8.2K
bc

Il Mio Compagno a Sorpresa

read
5.3K
bc

Rifiutata, ma non distrutta

read
4.0K
bc

L'Alfa senza cuore

read
27.2K

Scansiona per scaricare l'app

download_iosApp Store
google icon
Google Play
Facebook