I-1

2010 Parole
I‘La nebbia agl’irti colli piovigginando sale...’, e dal fondovalle saliva sfilacciandosi tra i dorsi delle colline, e colmava i fossi, lasciando vedere solo le chiome dei castagni più alti e qualche punta aguzza di abete. Nell’aria c’era odore di fumo di legna e di umidità. Bartolomeo di tanto in tanto si fermava e tendeva l’orecchio per ascoltare il rumore dei passi di lei. Non la vedeva, ma la sentiva muoversi lentamente, tra i tronchi, e quando sostava, le foglie cadute frusciavano mosse dal suo bastone. Le aveva insegnato come fare, cosa guardare, come svelare nel sottobosco bagnato la sommità tondeggiante di sua maestà il porcino. A lei era parsa subito un’idea fantastica come spesso appaiono le novità quando si è tanto giovani. Nessuno le aveva mai insegnato l’arte fine e silenziosa della cerca dei funghi, intendendo con il termine ‘fungo’ soltanto il boleto e disdegnando la moltitudine di muffe più o meno accattivanti che affiorano dal terreno. La sublime amanita caesarea è l’unica che possa contendergli il prestigio, con la sua eleganza, i suoi colori caldi, come quelli dell’aurora di un giorno sereno, giallo e arancio, e con la sua fragranza: se si è in possesso di un fegato in ghisa la si può mangiare anche cruda, con olio e prezzemolo. Gli ovuli a Ceva si chiamano ‘cucune’ e i boschi di Castelnuovo, tra castagni e antiche vigne espiantate, sono il loro reame. Mentre guidava, Bartolomeo le aveva spiegato le divine gerarchie con lo stesso tono reverente che avrebbe usato per quelle angeliche e lei non aveva mai fiatato, cercando di fissare nella memoria i vari modi ‘d’essere porcino’: di quercia, di castagno, di faggio, di nocciolo. Al di sotto, la plebe: i galletti, le colombine, i sanguin, i cecalotti, ma solo con il freddo dopo Ognissanti, e al selvatico nelle costiere di pini, i quali non van del tutto disdegnati in caso di ‘cappotto’ come si dice in gergo, perché sott’olio, da aprirsi per le feste natalizie, anche i funghi plebei fanno la loro figura, diciamo che son sempre meglio che niente. Candida aveva capito bene la lezione, aveva annuito in silenzio con marcati assensi del capo, aveva calzato gli scarponi sui calzettoni spessi, tutto nuovo, e aveva teso le mani: lui in una le aveva messo il bastone, nell’altra il cavagno. Ci si vedeva appena, erano partiti da Albenga con il buio e a Bartolomeo aveva fatto uno strano effetto aspettarla sulla via, guardando quella villa tanto bella e tanto triste, mentre dal finestrino gli arrivava l’ansito salato della mareggiata. Lei aveva chiacchierato per un bel pezzo, agitata dalla novità, aveva parlato di scuola, dei libri che le piacevano, di un cantante di rap, aveva evitato l’argomento ‘padre’ né a Bartolomeo era venuta la malsana idea di proporlo, aveva curiosato tra i suoi cd trovandoli ‘roba fossile’, insomma era stata una chiacchiera continua, come una radiolina fino al colle di Garessio, incantata dai colori delle montagne autunnali, dai fulvi e vermigli, dall’oro dei primi larici, come se invece di risalire la strada provinciale verso il Piemonte fosse stata a Yellowstone. E per farla felice perfino un rapace di grandi dimensioni s’era librato in volo proprio davanti a loro e s’era allontanato con grande solennità verso la valle attigua, quella del monte Galero. Poi, come una bambolina, al momento d’immettersi sulla statale del col di Nava in direzione di Ceva, aveva appoggiato il capo al poggiatesta e s’era addormentata, di botto, senza neppure aver finito il discorso che durava da mezz’ora, cullata dalla regolarità dei lunghi rettilinei. Bartolomeo ne aveva subito approfittato per infilare un cd di arie di Mozart, di Rossini e Shubert cantate da Cecilia Bartoli, in sordina, in modo da non svegliarla, non solo per riguardo verso di lei, ma soprattutto per potersi gustare quel paesaggio amato a suon di musica, la sua musica. Eran forse passati quindici giorni dalla soluzione del caso che aveva visto per tragica protagonista proprio la sorella, quando aveva ricevuto una telefonata in ufficio. Il centralinista non essendo rimbambito, al sentire quel cognome gliel’aveva passata senza discutere. Il commissario Rebaudengo era rimasto perplesso per qualche istante, gli sfuggiva il fine, il disegno che avrebbe potuto celarsi dietro quella chiamata, non riusciva a capire il senso di quelle frasi confuse, imbarazzate, poi si era reso conto che Candida di Blasi non voleva niente di strano. Lui, lo sbirro era stato l’unica figura buona, affidabile, in un mare in tempesta, nell’attraversamento di quei giorni d’incubo e lei non voleva perderlo, non voleva che, una volta cessato il suo ruolo di sbirro, cessasse anche la sua presenza nella sua vita, insomma lo voleva come amico. Era una cosa un po’ insolita che una ragazzina si scegliesse come amico del cuore un commissario di polizia di trent’anni più vecchio, ma quella non era una ragazzina qualsiasi: le avevano ammazzato la sorella di poco più grande, la mamma viveva in America, dove era tornata poco dopo il funerale ed il padre era un pallone gonfiato imbecille che sarebbe riuscito a risvegliare istinti omicidi perfino in Sigmund Freud. Se Bartolomeo fosse stato abbastanza abile da evitare che la ragazzina si prendesse una cotta edipica, forse la strada dell’amicizia tra loro due sarebbe stata percorribile. Con una mirabile manovra all’apparenza del tutto casuale, le fece conoscere Ardelia e naturalmente la dottoressa dei morti seppe affascinarla: durante una cena in pizzeria si chiacchierò d’indagini e di differenze tra realtà e finzione letteraria o cinematografica, senza che mai la mente di Candida avesse modo di soffermarsi a ricordare che proprio quelle mani e quegli occhi davanti a lei avevano frugato nel corpo di sua sorella in cerca di risposte. Il ghiaccio era stato rotto, la cotta forse era stata schivata o sarebbe rimasta talmente subliminale da non arrecarle dolore e l’amicizia poteva davvero cominciare. Era arrivato l’autunno, qualche provvidenziale pioggia e la nebbia, e con queste tre condizioni, nei boschi, si sa, nascono i porcini e tutti gli altri. Così s’era preso un giorno di riposo e s’era portato dietro la mascotte. Ardelia quel venerdì lavorava e li avrebbe raggiunti durante la mattina del sabato. Bartolomeo s’era offerto di scendere in riviera a prenderla, per non avere due auto al momento del ritorno, ma lei non aveva voluto saperne, aveva deciso per il treno, uno di quei treni con l’aria un po’ da far west, che avevano garantito il pane al padre del commissario e gli avevano permesso di farlo studiare. Il giorno dopo sarebbero andati ai boschi della Pedaggera, era già Langa, uno di quei luoghi dell’anima che con il loro declivio, e le vigne, le cascine, le nebbie raccontano molto più dei loro abitanti di quanto non saprebbero fare loro stessi, peraltro parchi di parole e poveri d’immagini retoriche. Quella sera avrebbero mangiato alla casa del Villarello, la casa dei ferrovieri, dove viveva ancora il fratello di Bartolomeo e la madre, la donna dalle dita magiche che facevano il ‘plin’ ai ravioli più elegante di tutta la val Tanaro. Non era detto che sarebbero riusciti a mangiarli con il sugo di funghi, bisognava vedere come procedeva la giornata, ma sarebbero andati bene anche con la fonduta di raschera o nel brodo, purché i ravioli fossero estremamente numerosi ed il brodo estremamente esiguo. La mamma di Bartolomeo, Ernestina, che aveva ottantadue anni ed un cervello di una quarantenne e per certi versi anche meglio di tante quarantenni, conosceva la storia di Candida, di sua sorella e della sua famiglia, e s’era offerta di ospitare la ragazza: le avrebbe preparato la camera di Bartolomeo da giovane. Aveva letto tutti i giornali, ma alla fine aveva voluto sapere dal figlio, per capire meglio. Lui era diventato un mito durante le partite a carte dei vecchietti all’osteria o quelle di bocce che si tenevano nell’ampia bocciofila, ma anche durante le code dal medico, tra tinte e permanenti delle signore dal parrucchiere, nelle conversazioni della gente: “Adesso ce l’abbiamo anche noi il nostro Montalbano, oh basta là, e anche più bravo e quando parla si sente che è piemontese: così imparano a dire che quelli di Cuneo sono tonti!”. Ernestina curava ancora il minuscolo orto che ornava la casa dei ferrovieri, ognuno aveva il suo pezzo, ma non si può vivere soltanto di verdura. Così quando si avventurava in centro per fare le commissioni con il suo passo da bersagliere e la sporta della spesa, una retina rossa, sempre la stessa da più di trent’anni, poteva quasi immaginare il tenore dei commenti. Il suo giro non era sempre uguale, dipendeva dalle necessità di casa, ma prima o poi le tappe si ripetevano: ritirare le scarpe dal calzolaio, comprare la canfora per gli armadi, un salto in macelleria per il lesso da metter su nel pomeriggio perché piaceva a Giacomo, il figlio che aveva continuato la tradizione ferroviaria e che viveva con moglie e due figli nell’appartamento accanto. Quand’era di nuovo sul marciapiede, avrebbe voluto attardarsi un attimo per ascoltare, ma poi si allontanava, tanto indovinava ugualmente: “Ma non era l’Ernestina Rebaudengo? La madre del commissario, quello che lavora in Riviera?”. Adorava quella sensazione, soprattutto come risposta a quanti avevano mormorato che suo figlio avesse ordito oscure trame per finire ad Alassio a far niente, tra belle donne e ombrelloni. Bartolomeo amava sua madre e, restaurato da una bella psicoanalisi, adesso poteva permettersi di amarne anche i difetti e le manie. Ora non soffriva più quando riconosceva la sua pretesa di controllare le esistenze dei figli, quando li trasformava nei bersagli del suo amore un po’ ossessivo, o quando riusciva a risvegliare i loro sensi di colpa senza mai lamentarsi apertamente, anzi, di solito fingendo di scherzare sulle proprie debolezze. Ma non era stata solo lei a spingerlo sul lettino di un analista, ci aveva pensato anche papà, uomo buono fino al midollo, ma oppresso da un senso del dovere cupo, senza spiragli trasgressivi e senza allegria. Le ultime pennellate al quadro le aveva date la nonna paterna, vero spauracchio della sua infanzia, donna secca e agra, pregna di una religiosità che avrebbe fatto tremare i cardinali riuniti per il concilio di Trento. Meno male che poteva ricordare anche l’altra nonna, quella svanita, chissà, magari aveva l’Alzheimer, va a sapere, che parlava col cane e stava al buio come le mosche, diceva lei. In quel posto quei ricordi avevano una naturale dolcezza, altrove gli sarebbero sembrati di sicuro più malinconici. Intanto che ruminava, con un orecchio ascoltava i passi della ragazzina e con l’altro i rari rumori che arrivavano dalle strade lontane: una motosega, un cane che abbaiava, il campanile che suonava le undici del mattino... Il grido di Candida lo fece sobbalzare e forse se l’avesse avuta, avrebbe posato una mano sulla pistola, ma non l’aveva, non l’aveva mai, e poi non si va per funghi con una calibro nove incastrata nelle braghe sopra una chiappa. Il cuore gli diede un sussulto e prese a correre come un forsennato. Non disse niente, non la chiamò, non gridò per non attirare l’attenzione finché non la vide. Era in ginocchio, con le mani giunte sulla bocca in senso di meravigliata contemplazione, come una statuina della Vergine del presepio, che nella stessa posizione contempla il Bambin Gesù. Solo che al posto del Bambinello c’era un porcino d’inusitata fierezza, una semisfera color del cioccolato con un gambo obeso e sodo: un capolavoro di michelangiolesca maestà! E lui che nel cesto aveva tre graziosi boccioli, quei porcinelli che si mettono sott’olio interi, provò un moto d’invidia: ‘Il solito culo dei principianti!’, pensò, ma non disse niente perché una lacrima di commozione sulla guancia della ragazza glielo impedì. Forse non pensava di essere degna di un simile privilegio, o forse aveva soltanto i nervi a pezzi, dopo tutte le sue traversie, così piangeva per un porcino. Anche il sentimento evocato in Bartolomeo fu di profondo struggimento e, chissà perché, si ritrovò a vedere in quell’adolescente la figlia che non aveva avuto. Asciugata la lacrima, quel premio inaspettato le diede una carica più energica di una pista di cocaina, la riempì di euforia cercatoria e decise che sarebbe riuscita a colmare il cesto di esemplari uguali. “Candida vola basso, reperti come questo sono rari anche nella vita di cercatori anziani e più esperti di te, abituati a farsi strada tra rovi e pietraie, come fossero cinghiali. Tu hai trovato questa meraviglia senza soffrire: è statisticamente impossibile che un miracolo simile si ripeta, devi credermi!”. “Va bene commissario, anzi no, adesso vicequestore”. “E non chiamarmi commissario, e lascia perdere il vicequestore, porca paletta, almeno non in mezzo a un bosco!”.
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