I-2

2856 Parole
“D’accordo, Bartolomeo, però io della tua percentuale statistica me ne batto i coglioni. Se ho trovato questo, posso trovarne degli altri! Tu mi dici così soltanto perché sei invidioso. Guardalo, è talmente bello che sembra un effetto speciale del Signore degli Anelli! Tu invece povero sfigato, hai trovato quei tre cosini, appena un gradino sopra le muffe unicellulari, che le ho studiate l’altro giorno, ecco sì, un po’ più grossi di un antibiotico, ah ah, un antibiotico!”. “Quindi vuol dire che per la mia età ci vedo ancora abbastanza bene!”. “Ah per quello senz’altro, ma non sta lì il problema: il problema piuttosto è l’invidia. Non avresti mai pensato che io, misera tapina, la prima volta che ho messo piede in un bosco, avessi una simile botta di culo, ti sembra una terribile ingiustizia e allora mi tiri fuori il discorso statistico!”. “Senti, bambina, non si va per funghi per sfida!”. “E perché no? Lo fanno tutti, per funghi, a caccia o a pesca! Si va avanti a colpi bassi, a manovre indegne… Hai mai sentito dire che un cercatore di funghi abbia rivelato i suoi ‘posti’? E se te li dice, te li dice sbagliati!”. “Guarda me per esempio! Non te li ho detti, ti ci ho addirittura portato!”. “E come avresti fatto a portarmi per funghi senza portarmi per funghi! Il punto è un altro: è che non avresti mai pensato che un’imbranata come me sarebbe letteralmente inciampata in una meraviglia simile! Questo m’incoraggia: posso trovarne altri! Riprendiamo! Io vado di lì, tu vai di là! Ti va bene?”. “No, io vado di lì e tu vai di là!”. “Va be’, fai un po’ come vuoi: vinca il migliore!”. “Sì, furbetta, però voglio che restiamo a tiro di voce, quindi non allontanarti troppo!”. “Va bene commissario… vicequestore!”. “Non ti va di fare uno spuntino? Sono suonate le undici già da un po’!”. “Lo fai per distrarmi, così mi scende il rendimento: se mai più tardi!”. Strappò una manciata di foglie ancora verdi da un ramo basso di castagno e allestì una specie di confortevole culla al suo porcino, perché non si rovinasse contro le pareti del canestro, poi si rialzò, baciò sulla guancia il suo avversario e ripartì decisa verso “di lì”. La nebbia s’era alzata, non faceva caldo ma nemmeno freddo e qualche raggio di sole filtrava tra il fogliame, si sentiva ancora il ronzio degli insetti e al naso arrivava il profumo del muschio tiepido. All’una fecero la pausa pranzo. La situazione s’era evoluta: sei funghi per il commissario, i tre successivi un po’ meno neonati, adolescenti(?), mentre Candida ad uno era e ad uno era rimasta. Chiacchierò poco mangiando, visibilmente con i musi, addentava il suo panino con la mortadella come se avesse voluto fargli male. Bartolomeo non poté non apprezzare la scelta della mortadella: niente prosciutto cotto o crudo, o sottiletta o qualche altro formaggio ceroso da fast food. La ragazza aveva dei numeri, poteva essere coltivata, prima o poi le avrebbe fatto conoscere la testa in cassetta o il lardo e niente coca cola, un bel bicchiere di dolcetto, uno solo s’intende, ma buono. Alle due, dopo aver raccattato i pochi rifiuti, si separarono di nuovo. Al rientro la chiacchiera di Candida fu più incontenibile di una piena del Tanaro, ma di quelle brutte, novembrine: aveva trovato altre due bocce nere ed un elegantone di faggio con il gambo da danzatore ed un bel cappello color caffelatte. Adesso era Bartolomeo che faceva i musi, guidando in silenzio verso il centro del paese, in direzione di Villarello. A tavola ogni tanto la spiava mentre mangiava con un entusiasmo poco adatto ad una signorina della buona società, quale lei, molto teoricamente avrebbe dovuto essere. Sembrava che fosse sempre vissuta in quei boschi, tra quelle montagne selvatiche e silenziose, in quel vecchio e sonnolento paesone piemontese. Ernestina aveva fatto lingua, zampino, coda e un pezzo di muscolo lessi, da gustare con la salsa verde e nella salsa verde aveva messo una letal dose di aglio, ma la giovane Candida non aveva fatto una piega. Aveva soltanto detto che quella sera non aveva da baciar nessuno e quindi anche se le avesse puzzato il fiato, sarebbe stato poco male, visto che era un problema comune a tutti. Non aveva chiacchierato tanto e per qualche tempo Bartolomeo aveva avuto paura che fosse triste, che i ‘corvacci neri’, i brutti pensieri come li chiamavano tra loro, avessero preso a svolazzarle nella testa, poi aveva capito che in realtà si stava gustando tutto quello che la circondava. La casa era arredata con il gusto dei primi anni sessanta, ma con una nota rurale, diversa dallo stile di città: c’erano i centrini sui mobili, la sveglia sulla credenza, la stufa economica a legna, il canarino appeso vicino alla finestra, il gatto nella cesta, un bestione pingue, guercio per passate traversie gattiche. Adele, la moglie di Giacomo ogni tanto le lanciava occhiate furtive e rapide, senza malevolenza, non riuscendo a nascondere la propria curiosità. Quella ragazza che adesso era seduta alla loro tavola e sembrava una persona qualunque era, invece, una di cui avevano parlato tutti i giornali, soprattutto quando aveva rifiutato di partecipare ad un talk show televisivo, perché le avrebbe fatto schifo, aveva detto, ‘stare seduta davanti ad una telecamera sperando di diventare famosa grazie alla morte di mia sorella! Quelli che hanno certe curiosità mi fanno vomitare, e chi fa i programmi ancora di più!’. A Bartolomeo era piaciuta quella grinta anche se sapeva che era tutta una finta, che sotto l’aria spavalda la ferita era aperta e sanguinante, sia per la sorella ammazzata senza colpe, senza aver avuto il tempo di sapere perché, sia per se stessa, per la propria vita senza una rotta, senza un porto. A chi glielo domandava rispondeva che avrebbe terminato il liceo classico, si sarebbe iscritta alla facoltà di giurisprudenza e chissà, avrebbe tentato il concorso da commissario anche lei, era abbastanza alta; un’amica di sua sorella, una intelligentissima, non aveva neanche provato perché era troppo piccola. E poi meno male che c’era Bartolomeo, no, non per una raccomandazione, ma perché sapeva ascoltarla e quando serviva la sgridava anche. Suo padre, l’illustre professor Elpidio, a casa ci stava il meno possibile e quando c’era facevano vite separate, perfino all’ora dei pasti. Il dolore per la perdita della figlia grande non l’aveva spinto a curarsi della più giovane, ma l’aveva imprigionato per sempre in quella specie di camera iperbarica che aveva al posto del cuore. Bartolomeo quei pensieri li sapeva e gli pesavano come macigni, aveva paura di non essere all’altezza del ruolo che la ragazza gli aveva imposto con la sua limpida invadenza. Suo fratello Giacomo, che era timido, sembrava interessatissimo al telegiornale, Ernestina raccontava posti segreti da trifole, quelle belle, quelle bianche, ma si sa per le trifole ci vuole il cane e lo zio Pietro lui sì, che ce l’aveva avuto un cane fantastico: Lilin, si chiamava Lilin e nel 1964 con i soldi delle trifole s’era comprato la seicento. La televisione borbottava che la situazione in Iraq peggiorava ancora, il simpatico e geniale presidente USA aveva deciso che questa guerra andava vinta a tutti i costi, così aveva inviato altri trentamila ragazzi a farsi ammazzare. Poi un bel servizio con facce d’illustri sconosciuti che si soffiavano il naso, mentre una voce fuori campo spiegava come sarebbe stata l’influenza di quest’anno. Di contorno al lesso alla piemontese c’erano patate cotte nella cenere. S’era poi deciso per il brodo, il sugo con i ‘buren’ l’avrebbe fatto Ernestina all’indomani, per festeggiare l’arrivo di Ardelia. L’anziana signora non aveva fatto commenti, non ne aveva fatto nemmeno quando Bartolomeo si era separato, certo che trovarsi una fidanzata che scava dentro le pance dei morti per capire come sono morti e magari anche se c’è stato qualcuno che ha favorito il trapasso, mah… Il figlio minore era sempre stato un po’ strano, diverso da Giacomo. Bartolomeo era capace di guardarti in silenzio, lo faceva già da piccolo, era quasi una sfida e non riuscivi proprio a capire cosa stesse pensando. Ernestina aveva fatto anche il bunet con il cioccolato, si sa che i ragazzi vanno matti per il cioccolato e Candida se n’era presa una bella fetta. Adele la guardava con un po’ d’invidia, lei sempre in lotta con forchetta e bilancia, ma aveva poco da cantar vittoria, la ragazzetta, i sedici anni sarebbero volati anche per lei e avrebbe imparato cosa vuol dire campare d’insalata e bresaola per non dover allargare le gonne! “Cosa ci mette signora, nel sugo di domani, a parte i porcini che ho trovato io?”, e lanciò un’occhiata a Bartolomeo. “Cioè, anche quelli che ha trovato suo figlio, solo che adesso non me li ricordavo, sono così piccoli!”. La vecchia rise. “Non li metto tutti nel sugo. Solo quelli di Bartolomeo: faccio rosolare il burro, poi ci metto uno spicchio d’aglio, una carota, un cipollotto, ma piccolo, un gambetto di sedano, tutto finemente tritato, il pomodoro e se ne ho ancora una manciata di pinoli. I tuoi, invece, li taglio a fettine fini, li passo nell’uovo e nel pan grattato e li faccio friggere!”. “Wow, devono essere buonissimi!”. “Sì, per essere buoni sono buoni, diciamo che non devi avere problemi di stomaco o di fegato… Io non sono più abituato a quei mangiari lì, sai mamma”. “E cosa mangi laggiù…?”. “Laggiù sarebbe la Liguria?”, domandò la ragazza. “Sì perché per lei i liguri son giù un po’ terùn”, commentò Giacomo e fu l’unica volta in cui intervenne nella conversazione. “Chissà come sarebbe contenta Ardelia se lo sapesse!”, rise Bartolomeo. “Oh ma Bertumé non volevo... Sei tu Giacomo che l’hai detto!”, ma Giacomo aveva già spento i contatti con i presenti e ristabilito quelli con il televisore. “Ahahah Bertumé, che figata! Ti posso chiamare Bertumé quando non c’è nessuno? Ti prego, ti prego!”. “Non ho bisogno di pensarci: assolutamente no!”. “E perché?”. “Perché sei una ragazzina un po’ svanita e se ti abitui poi ti scappa magari in ufficio o davanti alla gente!”. “E allora, cosa ci sarebbe di male?”. “Ci sarebbe che è confidenziale e privato, è un modo antico e anche mia mamma sa benissimo quando usarlo e quando chiamarmi con il mio nome per intero!”. In realtà era sempre stato un capriccio di sua madre chiamarlo Bertumé, lui detestava essere chiamato in quel modo. Quando Ardelia, in situazioni molto intime aveva pensato bene di far lo stesso, gli aveva provocato un istantaneo cedimento strutturale, recuperato solo dopo una rianimazione abbastanza accanita. Insomma la mamma poteva soltanto perché lui non sapeva impedirglielo, e quel nomignolo era talmente collegato alla figura materna che sentirlo tra le labbra di un’altra donna, della sua compagna e perfino di una ragazzina, gli evocava un fastidio prossimo alla sofferenza. Era impensabile raccontare a Candida tutta questa faccenda, arricchita dei suoi peduncoli inconsci. “Non puoi e basta, oh!”. “Ti avevo chiesto cosa mangi laggiù, che non digerisci più i buren impanati? Magari quelle robe surgelate che fan vedere alla televisione”, intervenne Ernestina, anche per chiudere l’argomento. “No, mamma, stai tranquilla… Però è vero, il mio modo di mangiare è un po’ cambiato”. “E come?”, domandò la signora lievemente irritata, sorridendo per non farlo vedere. “Be’, per esempio non uso più il burro, ma solo l’olio d’oliva, anche per fare le patate al forno, non ricordo d’aver mangiato ultimamente una fetta di Castelmagno, mi faccio il pesce almeno due volte la settimana, sai per il cuore, e poi tanta verdura e frutta, insomma un mangiare più sano di quello di qui”. Non l’avesse mai detto! Iniziò una diatriba che vide suocera e nuora schierate insieme contro la straniera, senza mai nominarla, che aveva rovinato il gusto e l’alimentazione del povero Bertumé, costretto ad ingoiare brodetto di triglie spinose piuttosto che brasati e risotti alla fonduta. Candida li guardava con un po’ d’invidia. Stava faticosamente imparando a non provare pena per se stessa e per non aver avuto la fortuna di nascere in una famiglia all’antica, d’accordo nevrotica – e perché la sua non lo era forse stata? – ma almeno divertente. Ci provava a vincere quel ‘rosicchio’ vicino al cuore che precedeva di poco il magone e non sempre ci riusciva, ma quella sera doveva riuscirci, per Bartolomeo, per sua mamma, per tutti loro e anche per se stessa. “Il passato non si può cambiare”, le aveva detto il commissario, ops! vicequestore nel frattempo, “bisogna separarsene”. Il giorno dopo diluviava e andarono insieme alla stazione, che era poco distante dalla casa dei ferrovieri, a prendere Ardelia. Se ne stettero a casa, a chiacchierare, come conigli all’ingrasso, disse Bartolomeo, a guardare la pioggia dietro i vetri, mentre il mondo aveva perduto tutti i suoi colori e sfilacci di nebbia fredda scivolavano sui boschi. Subito dopo il pranzo, qualcosa di simile ad un blocco di marmo di Carrara costituito da: ravioli al sugo di porcini, funghi impanati e carote al burro, ovviamente, e tanto, crostata con la marmellata di lamponi per dare la mazzata finale, decisero di sfidare le condizioni meteo e di fare comunque due passi. Stretti tutti e tre sotto un unico ombrellone a spicchi colorati, Bartolomeo in mezzo, camminarono spediti per raggiungere i portici di via Marengo, in una Ceva deserta e silenziosa, a parte il chiocciare delle grondaie. In giro non c’era anima viva, sembrava che fossero le tre di notte. L’umidità gelida entrava dalle maniche dei cappotti fino a raggiungere le spalle e la pancia. Per un po’ il commissario Rebaudengo pensò che non fosse stata una buona idea, Ardelia con la sua infinita pazienza non protestava, ma la sentiva rabbrividire, stringendosi al suo braccio. Candida invece si guardava intorno come se davanti a lei fosse sfilato il paesaggio di un altro pianeta. Guardava le vecchie case, le soglie lucenti di pioggia sotto i lampioni già accesi, le botteghe con gli scuri di legno chiusi. “Sai, Ardelia, cosa mi ricorda questa città?”, e a Bartolomeo piacque che si fosse rivolta a lei, certo che non si fosse trattato di una decisione razionale, ma di uno slancio spontaneo. Lui voleva che Candida assecondasse il proprio bisogno di comunicare anche con una figura femminile, lei che dalle donne di casa aveva avuto soltanto dolore. Non ambivano a farle da genitori, ma ad essere amici un po’ più vecchi degli altri, sui quali contare in un modo diverso, senza essere tagliati fuori da occasionali ribotte. “Raccontamelo”. “Be’ è una storia complicata, quindi devo cominciare dall’inizio. Sto facendo amicizia con un ragazzo un po’ più grande di me”. “Ma ti piace?”, e la prese a braccetto, indicando con un’occhiata che non ammetteva repliche, la vetrina spenta di un negozio di caccia e pesca. “Mi fermo un attimo a guardare queste balestre, voi andate pure avanti…”, e si mise a fissare una graziosa piccola balestra da caccia, pensando, da sbirro, a quanti guai sarebbero riusciti a procurare a sé e al prossimo i possibili acquirenti di quel grazioso, micidiale giocattolo. Poi si soffermò a contemplare mosche finte dai colori sgargianti, stivali di gomma e giacconi da spaccalegna canadese. Le due s’erano intanto allontanate di una decina di passi, ma riusciva ancora a sentire perfettamente la loro conversazione, amplificata dallo spazio raccolto dei portici. “No, non mi piace e non lo dico così, solo perché mi vergogno. Se mi piacesse qualcuno te lo direi e magari e te lo farei anche vedere, per avere il tuo parere di donna. È tanto caro… È, o meglio era, un amico di mia sorella, anche se io penso che lui le morisse dietro e lei, stronza com’era lo prendesse per il culo e basta, ma va be’, lo sappiamo, era fatta così… Chissà, magari in me cerca qualcosa di lei, anche se lui dice di no… Però è buono e mi passa libri di poesia e di grandi scrittori. Adesso sta scoprendo Georges Simenon. È uno scrittore francese, a scuola non si studia. Ha inventato un commissario, si chiama Maigret e quando leggo le sue storie non riesco a non pensare a Bertumé…”. “Per l’amor del cielo, piantala di chiamarlo così! Lo può fare soltanto sua madre e la cosa lo disturba moltissimo. Qualche volta l’ho fatto anch’io ed il risultato è stato bruttino”. “In che senso?”, domandò Candida, mentre Ardelia rimase per qualche istante con la bocca semiaperta e l’aria annaspante, come se la risposta potesse arrivarle dall’esterno. Dietro di loro, Bartolomeo non sapeva se ridere o piangere. “Mah, in nessun senso particolare… Non gli piace e ti prego di non farlo!”. “Neanche per farlo arrabbiare?”. “Lui non è che si arrabbi, gli dà fastidio. Se vuoi farlo arrabbiare trovati un altro sistema”. “Per esempio?”. “Secondo me è soltanto questione di tempo: non c’è bisogno che te lo suggerisca io, prima o poi ci riuscirai benissimo da sola. Ma non me ne frega niente di ’sto discorso: va avanti con quello di prima. Mi stavi raccontando del tuo amico. E di Maigret”. “Ah sì. Insomma questo Simenon ha scritto tante avventure con il commissario, ma anche dei libri dove il commissario non c’è. Sono tutte storie un po’ tristi, devo ammetterlo, ma molto affascinanti e Ceva oggi mi fa venire in mente un romanzo, piccolino…”. “Piccolino?”. “Sì, corto ed è anche piccolo il libro. Si intitola: La pioggia nera e racconta di un posto come questo, sembra che il tempo si sia fermato, anche se lo capisci che è una storia molto, molto vecchia…”. “E di che cosa parla?”, domandò Ardelia, voltandosi per richiamare a sé con lo sguardo il pover’uomo che aveva continuato a camminare dieci metri indietro. Il momento delle confidenze era passato o forse non era ancora arrivato. La dottoressa era sicura che il misterioso ragazzo che prestava i libri sarebbe ricomparso in qualche altra occasione. “Parla di un posto dove sembra che sia sempre inverno, piove sempre, una pioggia che tinge tutto di scuro, e di un bambino che passa il suo tempo a giocare accanto al tubo di una stufa, il bambino si chiama Jerome, e di una zia vecchia, grassa e cattiva…”. Alla sera ripartirono verso la Liguria con il bagagliaio dell’auto pieno di conserve sott’olio, vino, marmellata, un bel pezzo di formaggio, un po’ di dolcetto, un sacco di patate e una fetta di crostata, di quella che era avanzata dal pranzo. Non erano ancora arrivati al casello dell’autostrada che Candida, raggomitolata sul sedile posteriore, dormiva già mentre fuori continuava a piovere.
Lettura gratuita per i nuovi utenti
Scansiona per scaricare l'app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Scrittore
  • chap_listIndice
  • likeAGGIUNGI