XV

511 Parole
XV In quel mondo ovattato, Elia cresceva. Aveva imparato a convivere con il suo cuore ballerino. Sapeva quando doveva fermarsi e quali erano i limiti oltre i quali non poteva andare. Aveva anche accettato la sua diversità. Non capiva bene il perché, ma quando vedeva le foto di quand’era piccolo con i suoi genitori sentiva che c’era una nota stonata. Lui non assomigliava a loro e crescendo queste differenze erano ancora più evidenti. Tutto ciò, per quanto gli riguardava, non era un problema, loro erano la sua mamma e il suo papà, ma per il resto del mondo evidentemente lo era. Il colore dei suoi capelli, dei suoi occhi e i suoi tratti somatici lo facevano sentire in difetto, perché chiunque sottolineava il fatto che lui fosse l’opposto dei suoi genitori. Questo generava in lui un senso di inadeguatezza che lo accompagnava in sordina lungo i suoi giorni. Nonostante ciò si identificava in un bambino sereno e circondato d’amore. I suoi genitori erano molto presenti con lui e gli dedicavano tempo ed attenzioni, a volte anche esagerando, come se avessero paura che da un momento all’altro potesse non esserci più. Questa sensazione era cresciuta di pari passo con la sua altezza. Più le sue gambe si allungavano, più i suoi genitori diventavano apprensivi. «Tutto bene Elia? Ti vedo pensieroso». «Zia ma tu trovi che io sia così tanto diverso dai miei genitori? A volte mi sembra di non essere loro figlio». Quella dichiarazione arrivò come una pugnalata. «Elia come mai ti vengono in mente certi pensieri? Qualcuno ti ha detto qualcosa di brutto? Certo che sei loro figlio e mio nipote e il fatto che fisicamente siate diversi non è discriminante. Ti svelo un segreto. L’amore di un genitore va oltre la genetica. Un figlio è e sarà sempre tale nonostante tutto. Si sceglie di essere genitori ogni giorno. Tu cresci ma anche tua madre e tuo padre crescono con te. E si amplifica anche l’amore che provate l’uno per l’altro». «Hai ragione zia, scusa, è solo che a volte mi sento strano come se fossi in un posto che non è il mio». «Devo andare in bagno, aspetta qui». Un pianto soffocato lacerò il petto di Chiara. Non credeva che avrebbe dovuto fare i conti così presto con i suoi demoni. «Zia che succede?». «Niente tesoro arrivo, ho solo un po’ di mal di testa». «Ehi voi due è ora di cena, Tito è qui». Chiara era ancora scombussolata ma cercò di nascondere il suo stato d’animo come meglio poté. Anna non fu tratta in inganno. «Elia inizia a scendere, devo parlare un attimo con tua zia». «Ok mamma». «Non credo sia Tito il motivo del tuo turbamento». «Non ho voglia di parlare ora Anna, sono solo un po’ agitata dagli eventi, andrà meglio. Ora mi preparo e scendo. Lasciami sola». Anna avvertì un’insolita sensazione di disagio, un presagio funesto si insinuò nelle corde del suo essere. L’immagine di sua sorella avvolta nella tonaca nera con in mano un culla di vimini riaffiorò prepotente nella sua mente, togliendole il respiro.
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