4

2864 Parole
4 In realtà, per poco non le rovesciò il cavalletto, piombando su di lei gesticolando e gridando «Arditi cavalcammo», ma per fortuna con una brusca sterzata si allontanò al galoppo per morire gloriosamente — così immaginò lei — sulle alture di Balaclava. Mai nessuno era stato allo stesso tempo tanto ridicolo e tanto pericoloso. Ma finché continuava così, a gesticolare e gridare, lei era salva; non si sarebbe fermato a guardare il suo quadro. E questo Lily Briscoe non l’avrebbe sopportato. Perfino mentre osservava la massa, il disegno, il colore della signora Ramsay seduta alla finestra con James, Lily controllava con le antenne dritte la situazione nel timore che qualcuno si avvicinasse in punta di piedi e lei si ritrovasse qualcuno a osservarle il quadro. Proprio in quel momento, con tutti i sensi allertati, mentre osservava e si concentrava così tanto che il colore della parete e della jacmanna [5] retrostante le bruciavano negli occhi, avvertì la presenza di qualcuno che usciva dalla casa e veniva verso di lei; in qualche modo intuì, forse dal passo, che si trattava di William Bankes, e così, anche se il pennello tremava, non appoggiò la tela sull’erba, come avrebbe fatto se fosse stato il signor Tansley, oppure Paul Rayley, o Minta Doyle o chiunque altro, ma la lasciò al suo posto. William Bankes era in piedi vicino a lei. Abitavano tutti e due in paese e così, entrando o uscendo, salutandosi la sera sulla porta, avevano scambiato commenti — sulla minestra, sui ragazzi, su una cosa o l’altra — che li avevano resi alleati; tanto che ora lui le si stava vicino con l’aria di chi giudica (tra l’altro avrebbe potuto essere suo padre, era un botanico, vedovo, odorava di sapone, molto scrupoloso e pulito), lei non si mosse. Lui non si mosse. Indossava delle buone scarpe, osservò lui. Permettevano alle dita di distendersi in modo naturale. Abitando nella stessa casa, lui aveva notato anche la disciplina di Lily: in piedi prima di colazione e subito fuori a dipingere, da sola, così credeva; povera, presumibilmente, e certamente senza la bellezza e le attrattive della signorina Doyle, ma con il buon senso che la rendeva ai suoi occhi superiore a quella signorina. In quel momento, ad esempio, mentre Ramsay si dirigeva veloce verso di loro gridando e gesticolando, la signorina Briscoe, ne era certo, capiva. Quale funesto errore [6] . Il signor Ramsay li fissò. Li fissò, ma sembrava che non li vedesse. Questo li mise un po’ a disagio. Insieme avevano visto una cosa che non avrebbero dovuto vedere. Avevano violato un’intimità. Sì, pensò Lily, era sicuramente una scusa per allontanarsi, per non sentire, quando Bankes disse che si era fatto un po’ fresco e suggeriva una passeggiata. Sarebbe andata con lui, sì. Ma fu con una certa difficoltà che staccò gli occhi dal quadro. La jacmanna era viola scuro; la parete bianco abbagliante. Non le sarebbe sembrato giusto alterare il viola scuro e il bianco abbagliante, dato che così lei li percepiva, anche se dall’arrivo del signor Paunceforte era di moda vedere tutto pallido, elegante, semi-trasparente. E poi, oltre il colore c’era la forma. Lei vedeva tutto in modo così chiaro, così netto, quando guardava: era quando prendeva il pennello in mano che tutta la faccenda cambiava. Era in quel volo di un attimo tra l’immagine e la tela che si impadronivano di lei quei demoni che spesso la portavano quasi a piangere, e rendevano il passaggio tra il concepimento e l’opera tremendo come può esserlo un corridoio buio per un bambino. Spesso si sentiva così: in lotta contro terribili forze avverse per non perdersi d’animo; per dire: «Ma questo è quel che vedo; è questo quel che vedo» e stringersi così al petto qualche triste brandello della sua visione, che mille forze tentavano di strapparle. Ed era allora, in quel passaggio freddo e ventoso, mentre cominciava a dipingere, che si imponevano su di lei altre cose, la propria inadeguatezza, il suo essere insignificante, il dover badare alla casa di suo padre dalle parti di Brompton Road, e aveva il suo daffare per controllare l’impulso di gettarsi (grazie a Dio fino a quel momento aveva sempre resistito) ai piedi della signora Ramsay per dirle — ma che cosa si poteva dirle? «Sono innamorata di lei?» No, non era vero. «Sono innamorata di tutto questo» indicando la siepe, la casa, i bambini? Era assurdo, era impossibile. Non si può dire ciò che si pensa. Così mise i pennelli in ordine nella scatola, uno accanto all’altro, e disse a William Bankes: «S’è fatto freddo all’improvviso. Il sole sembra scaldare meno» disse, e si guardò intorno, perché c’era ancora abbastanza luce, l’erba era ancora di un verde morbido e intenso, la casa costellata nel verde di fiori purpurei della passiflora, e corvi che lanciavano grida gelide dall’alto azzurro. Ma qualcosa si mosse, brillò, agitò un’ala d’argento nell’aria. Dopo tutto era settembre, la metà di settembre, ed erano già le sei passate. Così presero la solita direzione, oltre il campo da tennis, oltre il ginerio, fino a quel varco nella siepe fitta dove a guardia c’erano cespugli di bastoni-di-fuoco [7] simili a bracieri di carboni ardenti, tra i quali le acque blu della baia sembravano più blu che mai. Vi andavano ogni sera, regolarmente, attratti da una qualche necessità. Era come se l’acqua portasse al largo e smuovesse pensieri che sulla terraferma erano diventati stagnanti e regalasse ai loro corpi persino una specie di sollievo materiale. All’inizio il pulsare del colore inondava di blu la baia, e il cuore con esso si espandeva e il corpo nuotava, solo per essere un istante dopo imbrigliato e raffreddato dal nero appuntito sulle onde increspate. Poi, dietro la grande roccia nera, quasi ogni sera zampillava in modo irregolare, tanto che era necessario fissare il punto ed era una delizia quando arrivava, una fontana di acqua bianca; e poi, mentre si aspettava che arrivasse, si guardavano sulla pallida spiaggia semicircolare le onde che una dopo l’altra versavano man mano dolcemente un velo di madreperla. Sorrisero entrambi, fermi, in piedi. Entrambi provavano la stessa allegria, eccitati dalle onde in movimento; e poi dalla rapida corsa tagliente di una barca a vela che, dopo aver descritto una curva nella baia, si era fermata; aveva rabbrividito; aveva lasciato cadere la vela; e poi, con l’istinto naturale di completare il quadro, dopo questo movimento rapido, entrambi guardarono le dune lontane, e invece che dalla contentezza si sentirono invadere da una certa mestizia: in parte perché la cosa era conclusa e in parte perché i panorami lontani sembrano sopravvivere (pensò Lily) di un milione di anni a chi li guarda ed essere già in comunione con un cielo che contempla una terra interamente a riposo. Guardando le dune di sabbia lontane, William Bankes pensò a Ramsay: pensò a una strada nel Westmoreland, pensò a Ramsay che camminava a grandi passi lungo quella strada, da solo, avvolto in una solitudine che pareva essere il suo umore naturale. Ma d’un tratto tale visione fu interrotta, e William Bankes lo rivide (e questo doveva riferirsi a un episodio reale) accanto a una gallina con le ali aperte per proteggere una i suoi pulcini, contro la quale Ramsay, fermandosi, aveva puntato il bastone e detto: «Carina… carina». Una strana illuminazione del suo cuore, aveva pensato Bankes, che dimostrava la sua semplicità, la sua simpatia per le cose semplici; ma gli sembrò che la loro amicizia fosse finita lì, su quel tratto di strada. Dopo, Ramsay si era sposato. Dopo ancora, per una cosa o per l’altra, la loro amicizia si era svuotata. Di chi fosse la colpa non sapeva dirlo: dopo un po’ di tempo la ripetizione aveva preso il posto della novità. Era per ripetere che essi s’incontravano. Ma in questo muto colloquio con le dune di sabbia, Bankes sosteneva che il suo affetto per Ramsay non era in nessun modo diminuito; ma come il corpo di un giovane, conservato per un secolo dalla torba, con le labbra ancora rosee, così era la sua amicizia, conservata in tutta la sua intensità e realtà oltre la baia tra le dune di sabbia. Ci teneva, nell’interesse di quell’amicizia e forse anche per assolvere se stesso nella sua mente dall’accusa di essersi inaridito e rinsecchito — perché Ramsay viveva in una massa di figli, mentre Bankes era senza figli e vedovo — ci teneva molto che Lily Briscoe non disprezzasse Ramsay (un grand’uomo a modo suo) e tuttavia doveva capire come stavano le cose tra di loro. Iniziata lunghi anni prima, la loro amicizia si era esaurita su una strada nel Westmoreland, quando la gallina aveva spiegato le ali davanti ai pulcini; dopodiché Ramsay si era sposato, e dato che le loro strade avevano preso direzioni diverse, c’era stata, senza dubbio per colpa di nessuno, una certa propensione, quando si trovavano, alla ripetizione. Sì. Proprio così. Smise. Girò le spalle al panorama. E girandosi per tornare indietro lungo la strada su per il viale, il signor Bankes si rese conto di cose che non lo avrebbero colpito se quelle dune di sabbia non gli avessero rivelato il corpo della sua amicizia disteso, con le labbra ancora rosee, e conservato nella torba: ad esempio, vide Cam, la bambina, la figlia minore di Ramsay. Stava raccogliendo fiori lungo la riva. Era selvaggia e fiera. Non voleva «dare un fiorellino al signore», come le diceva la bambinaia. No, no, no! Non voleva! Stringeva i pugni. Pestava i piedi. E il signor Bankes si sentì vecchio e si rattristì come se quella bambina lo facesse sentire il colpevole in quell’amicizia. Forse si era inaridito e rinsecchito. I Ramsay non erano ricchi, ed era stupefacente che riuscissero a vivere così. Otto figli! Sfamare otto figli con la filosofia! Eccone un altro, Jasper questa volta, che andava a tirare agli uccelli, come disse con noncuranza, facendo dondolare la mano di Lily come il manico di una pompa mentre passava, il che indusse Bankes a dire con amarezza che era lei la preferita. C’era da considerare la spesa per la scuola (era anche vero che probabilmente la signora Ramsay aveva qualcosa di suo) per non parlare dell’usura quotidiana di scarpe e calze di quei “ragazzoni”, tutti giovincelli ben cresciuti, spigolosi e selvaggi. Quanto al riconoscerli uno dall’altro o nominarli in ordine di età, questo era troppo per lui. Tra sé e sé li chiamava con i nomi dei re e delle regine d’Inghilterra: Cam la Cattiva, James lo Spietato, Andrew il Giusto, Prue la Bella, perché Prue sarebbe diventata bellissima, pensò, — come poteva evitarlo? — e Andrew un genio. Mentre risalivano il viale e Lily Briscoe diceva sì oppure no e ampliava i commenti di lui (perché era innamorata di tutti loro, innamorata di quel mondo) egli soppesava il caso di Ramsay, lo compianse, lo invidiò, come se lo avesse visto spogliarsi di tutte quelle glorie di quell’isolamento e di quell’austerità che in gioventù lo avevano coronato di lodi per caricarsi per il resto della sua vita di ali svolazzanti e chiocciolii casalinghi. Questi gli donavano qualcosa, William Bankes lo riconosceva; sarebbe stato piacevole se Cam gli avesse messo un fiore all’occhiello o gli si fosse arrampicata sulle spalle, come faceva col padre, per guardare un quadro del Vesuvio in eruzione; ma gli avevano anche distrutto qualcosa, e i vecchi amici non potevano non accorgersene. Che cosa avrebbe pensato ora un estraneo? Che cosa pensava quella Lily Briscoe? Era possibile non notare che Ramsey stava diventando sempre più abitudinario? E forse anche non notare le sue eccentricità e le sue debolezze? Era incredibile che un uomo di tale intelligenza potesse abbassarsi tanto — ma queste forse erano parole troppo dure — da dipendere così tanto dall’apprezzamento altrui. «Oh, ma pensi al suo lavoro!» disse Lily. Ogni volta che lei «pensava al suo lavoro» vedeva sempre davanti a sé un grande tavolo da cucina. Colpa di Andrew. Lei gli aveva chiesto una volta di che cosa trattassero i libri del padre. «Soggetto e oggetto e la natura della realtà» aveva risposto Andrew. E quando lei aveva esclamato Cielo, perché non aveva idea di che cosa significasse, «Pensi al tavolo di cucina» aveva risposto lui «quando non è in cucina.» Così quando pensava al lavoro del signor Ramsay, vedeva sempre un tavolo da cucina tutto rovinato. Ora era collocato nell’inforcatura di un pero, perché erano appena arrivati nel frutteto. E con un doloroso sforzo di concentrazione mise a fuoco la mente non sulla corteccia piena di bozzi argentei e sulle foglie a forma di pesce dell’albero, ma su un tavolo da cucina fantasma, uno di quei tavoli fatti di assi di legno tutte rovinate, con venature e nodi, la cui muscolatura è una virtù rivelata con gli anni, un tavolo che se ne stava lì, con le quattro zampe in aria. È ovvio che se uno passa le giornate a guardare queste essenze angolari, se riduce le belle serate, con tutte le loro nuvole rossastre e blu e d’argento, a un tavolo di assi bianche con quattro zampe (ed è segno di mente eccelsa far così), è ovvio che uno non può essere giudicato una persona qualunque. Al signor Bankes piacque quel «pensi al suo lavoro». Lui ci aveva pensato, molto spesso. Innumerevoli volte aveva detto: «Ramsay è uno di quegli uomini che danno il meglio di sé prima dei quarant’anni». Aveva dato un contributo importante alla filosofia in un libretto scritto a venticinque anni; quel che era venuto dopo era stato più o meno amplificazione, ripetizione. Ma è davvero esiguo il numero degli uomini che danno un contributo importante a qualche cosa, disse, fermandosi vicino al pero — ben spazzolato, scrupolosamente preciso, perfetto nei giudizi. All’improvviso, come generato dal movimento della mano di Bankes, il peso delle impressioni che Lily aveva accumulato sul suo conto si sollevò e si rovesciò come una poderosa valanga portando con sé tutto quel che lei provava per Bankes. Quella fu una sensazione. Poi tra i vapori si sollevò l’essenza stessa di lui. Questa fu l’altra. Lily si sentì trafitta dall’intensità della percezione; era la severità di lui, la sua bontà. Io la rispetto, signor Bankes (si rivolse a lui in silenzio) per ogni suo atomo; lei non è vanitoso; lei è completamente distaccato; lei è migliore del signor Ramsay; è l’essere umano migliore che conosca; non ha né moglie né figli (senza nessuna emozione sessuale, lei desiderava alleviare quella solitudine), lei vive per la scienza (involontariamente, davanti agli occhi le si pararono sezioni di patata); per lei la lode rappresenterebbe un insulto; uomo eroico, generoso, puro di cuore! Ma allo stesso tempo, si ricordò che si era portato un cameriere fin lassù; che non sopportava i cani sulle sedie; che dissertava per ore (finché il signor Ramsay usciva dalla stanza sbattendo la porta) sul sale nelle verdure e l’iniquità dei cuochi inglesi. Come funzionano queste cose, allora? Come si fa a giudicare la gente, cosa si pensa della gente? Com’è possibile fare due più due e concluderne che si prova simpatia o antipatia? E a tali parole, dopo tutto, quale significato bisogna dare? In quel momento, in piedi accanto al pero, apparentemente paralizzata, su di lei si riversavano impressioni di quei due uomini, e seguire il suo pensiero era come seguire una voce che parla troppo in fretta perché la penna riesca a fissarla sulla carta, e la voce era la sua voce che diceva senza suggerimenti cose indiscutibili, eterne, contraddittorie, cosicché perfino le fessure e le gobbe sulla corteccia del pero venivano irrevocabilmente fissate per l’eternità. Lei possiede la grandezza, continuò, al contrario del signor Ramsay. Lui è meschino, egoista, vanitoso, egocentrico; è viziato; è un tiranno; logora la signora Ramsay fino alla morte; ma possiede ciò che lei (si rivolgeva al signor Bankes) non ha: un fiero disprezzo dalle cose mondane; lui non si cura delle sciocchezze: ama i cani e i suoi figli. Ne ha otto. Lei invece non ne ha. E l’altra sera non è sceso con due giacche e si è fatto tagliare i capelli dalla signora Ramsay con in testa uno stampo da budino? Tutte queste cose danzavano su e giù, come uno sciame di moscerini — ciascuna separata dall’altra, ma tutte meravigliosamente controllate in una rete elastica invisibile — danzavano su e giù nella mente di Lily, dentro e intorno ai rami del pero, dove era ancora appesa l’effigie del misero tavolo da cucina, simbolo del profondo rispetto di Lily per la mente del signor Ramsay, finché la mente prese a girare sempre più in fretta fino a esplodere per l’intensità; si sentì sollevata; uno sparo partì poco lontano e subito arrivò, in fuga dai frammenti, sconvolto dalla paura, tumultuoso, uno stuolo di storni. «Jasper» disse il signor Bankes. Si voltarono nella direzione in cui erano volati gli storni, sopra la terrazza. Seguendo il disperdersi nel cielo degli uccelli che volavano via veloci, passarono attraverso il varco nell’alta siepe e s’imbatterono nel signor Ramsay, che tuonò tragicamente verso di loro: «Quale funesto errore!». I suoi occhi, appannati dall’emozione, ardenti di tragica intensità, incontrarono i loro per un attimo, e tremarono, a un passo dal riconoscerli; ma poi, sollevando a mezz’aria la mano sul volto come per respingere, cancellare, in un’agonia di vergogna stizzita, il loro sguardo di sempre, come se li pregasse di trattenere per un momento ciò che sapeva essere inevitabile, come se facesse loro capire il proprio risentimento infantile per l’interruzione, e tuttavia anche nel momento della scoperta non se la lasciasse strappare, ma fosse deciso ad aggrapparsi a qualcosa di quella emozione dolcissima, quella rapsodia impura di cui si vergognava, ma nella quale esultava, si volse di scatto, chiuse la sua porta privata su di loro; e Lily Briscoe e il signor Bankes, guardando a disagio il cielo sopra di loro, notarono che lo stuolo di storni che Jasper aveva stanato con il fucile si era posato sulla cima degli olmi.
Lettura gratuita per i nuovi utenti
Scansiona per scaricare l'app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Scrittore
  • chap_listIndice
  • likeAGGIUNGI