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«E anche se domani non fosse bello» disse la signora Ramsay, alzando gli occhi per guardare William Bankes e Lily Briscoe che passavano «sarà per un altro giorno. E ora,» disse, pensando che il fascino di Lily fossero proprio quegli occhi cinesi, messi di traverso in quel faccino pallido e grinzoso, ma che ci sarebbe voluto un uomo in gamba per notarlo «e ora alzati, e fammi misurare la gamba» perché dopo tutto forse sarebbero riusciti ad andare al Faro, e lei doveva vedere se allungare il calzettone di qualche centimetro nella gamba.
Sorridendo, perché un’idea eccezionale le era venuta in mente proprio in quel momento — William e Lily avrebbero dovuto sposarsi — prese il calzettone color dell’erica, con il suo intrecciarsi di ferri d’acciaio all’imboccatura, e lo misurò contro la gamba di James.
«Tesoro, stai fermo» disse, perché James, geloso, non volendo fare da modello al figlio del guardiano del Faro, faceva apposta resistenza; ma se si dimenava così, come faceva lei a vedere se era troppo lungo o troppo corto? gli chiese.
Alzò gli occhi — quale demone lo possedeva, il suo piccolo, il preferito? — e vide la stanza, vide le sedie, pensò che erano terribilmente malandate. Le interiora, come aveva detto Andrew l’altro giorno, erano tutte sul pavimento; ma a che cosa serviva, si chiese, comprare sedie buone per lasciarle marcire lì tutto l’inverno quando la casa, cui badava soltanto una donna anziana, gocciolava per l’umidità? Non importava: l’affitto veniva precisamente due penny e mezzo; i ragazzi erano affezionati a quella casa; e a suo marito faceva un gran bene essere a tremila — o per essere precisi a trecento — miglia dalla sua biblioteca, dalle sue lezioni e dai suoi allievi; e c’era anche spazio per gli ospiti. Materassi, lettini da campeggio, spettri pazzi di sedie e tavoli che avevano terminato il proprio servizio a Londra, andavano più che bene in quella casa; e un paio di foto, e libri. I libri, pensò, crescevano spontaneamente. Non aveva mai tempo di leggerli. Ahimè! neppure i libri che le avevano regalato, neppure quelli con la dedica scritta di pugno dal poeta: «A colei i cui desideri sono ordini»… «Alla Elena più felice dei nostri tempi»… si vergognava a dirlo, ma lei non li aveva mai letti. Però Croom sulla Mente e Bates sulle Usanze Selvagge della Polinesia [8] («Amore mio, stai fermo» disse) erano libri che non si potevano mandare al Faro. Un bel giorno, immaginò, la casa si sarebbe ridotta in condizioni tali che avrebbero dovuto rimediare. Se solo fosse riuscita a insegnare a tutti a pulirsi i piedi e a non portare in casa la spiaggia, sarebbe già stato qualcosa. I granchi aveva dovuto permetterli, dato che Andrew aveva la passione di dissezionarli, e se Jasper era convinto che si potesse fare una minestra di alghe, non si poteva certo impedirglielo; così come non si poteva dire di no agli oggetti di Rose, conchiglie, canne, sassi; perché i suoi figli erano dotati, anche se tutti in modo diverso. E il risultato di tutto questo era, pensò sospirando e avvolgendo con lo sguardo l’intera stanza dal pavimento al soffitto, mentre teneva il calzettone contro la gamba di James, che le cose si rovinavano sempre di più a ogni estate. Il tappeto era scolorito; la carta da parati scollata. Davvero non si riconoscevano più se quelle stampate sopra erano rose. D’altronde, a furia di lasciare sempre tutte le porte aperte, perché in tutta la Scozia non si trova un fabbro capace di riparare una serratura, le cose per forza si rovinano. A cosa serviva lasciare uno scialle di cachemire verde sul bordo di una cornice? In due settimane sarebbe diventato del colore della minestra di piselli. Ma ciò che le dava più fastidio erano le porte: ogni porta veniva lasciata aperta. Rimase in ascolto. La porta del salotto era aperta; la porta dell’ingresso era aperta; dal rumore sembrava che le porte delle camere fossero tutte aperte; e di sicuro la finestra sul pianerottolo era aperta, perché l’aveva aperta lei stessa. Le finestre dovevano rimanere aperte, e le porte chiuse: era talmente semplice, perché nessuno se ne ricordava? Se di notte andava nelle camere delle cameriere le trovava chiuse come forni, tranne quella di Arie, la ragazza svizzera, che piuttosto rinunciava a fare il bagno, ma di sicuro non all’aria fresca. A casa sua, aveva detto, «le montagne sono così belle»: l’aveva detto la sera prima guardando fuori dalla finestra con le lacrime agli occhi. «Le montagne sono così belle.» Suo padre stava per morire laggiù, la signora Ramsay lo sapeva. Li stava lasciando orfani. Brontolando e mostrando in modo pratico (come si fa un letto, come si apre una finestra, con le mani che si chiudevano e si aprivano come fanno le donne francesi) tutto si era ripiegato piano su di lei, quando la ragazza aveva detto così, come quando dopo un volo nella luce del sole le ali di un uccello si ripiegano piano e il blu del suo piumaggio da color dell’acciaio diventa viola tenue. Era rimasta lì ferma in silenzio perché non c’era niente da dire. Aveva il cancro alla gola. A quel pensiero, al pensiero di come era rimasta immobile, di come la ragazza aveva detto «A casa mia le montagne sono così belle» no, non c’era speranza, nessuna speranza, ebbe una contrazione per il nervoso e in tono brusco disse a James: «Stai fermo. Non essere noioso» tanto che lui si rese subito conto che quella sua severità era reale e allungò la gamba e lei prese la misura.
Il calzettone era corto di almeno un centimetro, anche tenendo conto del fatto che il bambino di Sorisole era più esile di James.
«È troppo corto,» disse «davvero troppo corto.»
Mai nessuno ebbe l’aria così triste. Triste e scura, a metà strada, nelle tenebre, nel canale che conduceva dalla luce del sole all’abisso, si formò una lacrima, forse; cadde una lacrima; le acque si agitarono da una parte e dall’altra, la accolsero, e si placarono. Mai nessuno ebbe l’aria così triste.
Ma era solo apparenza? si chiedeva la gente. Che cosa c’era dietro, dietro la sua bellezza, il suo splendore? Non si era sparato in testa, si chiedevano, non era morto la settimana prima che si sposassero — quell’altro, il suo primo amore, di cui qualcuno aveva sentito parlare? O non c’era niente? Niente altro che una bellezza incomparabile dietro la quale lei viveva e che niente pareva turbare? Perché avrebbe potuto facilmente dire — in qualche momento di intime conversazioni, quando le capitava di sentirsi raccontare storie di grandi passioni, di amori calpestati, di ambizioni frustrate — come anche lei ci fosse passata o avesse conosciuto o provato sensazioni di quel tipo, non aveva mai parlato. Era rimasta sempre in silenzio. Lo sapeva, lo sapeva senza averlo imparato. Nella sua semplicità coglieva cose che le persone più intelligenti non capivano. La sua unicità di pensiero faceva sì che piombasse giù dritta come un sasso, oppure si posasse leggera e precisa come un uccello; le dava, così, naturalmente, quel movimento a picco che possiede uno spirito che piomba sulla verità per appropriarsene, che deliziava, metteva a proprio agio, confortava — forse a torto.
(«La natura non ne ha molta» aveva detto una volta il signor Bankes sentendo la sua voce al telefono, commosso da quella voce che gli stava semplicemente dicendo qualcosa di un treno «di quell’argilla con cui ha plasmato lei.» La vide all’altro capo del telefono, greca, con gli occhi azzurri, il naso dritto. Sembrava incongruo telefonare a una simile donna. Le Grazie riunite sembravano si fossero prese per mano in un prato di asfodeli per comporre quel volto. Sì, avrebbe preso il treno delle 10.30 a Euston.
«Ma non è consapevole della sua bellezza più di quanto lo sia un bambino» disse il signor Bankes, riagganciando il ricevitore e andando dall’altra parte della stanza per vedere a che punto erano arrivati gli operai con l’albergo che stavano costruendo dietro casa sua. E pensava alla signora Ramsay mentre guardava l’andirivieni tra i muri non terminati. Perché sempre, pensava, c’era qualcosa di incongruo, da accordare, nell’armonia del suo volto. Si metteva sulla testa un cappello da cacciatore; correva su un prato con le galosce per salvare un bambino da qualche pericolo. Cosicché se uno pensava solamente alla bellezza, doveva ricordarsi per forza di quella parte vibrante, e viva (stavano portando mattoni su un’asse mentre li guardava), e metterla nel quadro; oppure se uno pensava a lei semplicemente come a una donna, doveva attribuirle qualcosa di unico e peculiare; oppure presupporre un desiderio latente di scuotersi di dosso la regalità di forme come se la bellezza e tutto quello che gli uomini dicono della bellezza la annoiasse, e volesse soltanto essere come gli altri, insignificante. Non sapeva. Non sapeva. Doveva tornare al suo lavoro.
Sferruzzando il calzettone peloso bruno-rossastro, con la testa assurdamente contornata dalla cornice d’oro, lo scialle verde che aveva appoggiato sul bordo della cornice e il capolavoro autentico di Michelangelo, la signora Ramsay addolcì ciò che di aspro c’era stato nei suoi modi di qualche momento prima, sollevò la testa del suo bambino e lo baciò sulla fronte. «Cerchiamo un’altra figura da ritagliare» disse.