II

1909 Parole
II Gli arrivi in hotel si succedono con precisione cronometrica. Noi arriviamo sempre il 5 o il 6 di luglio. Verso notte, perché il direttissimo 72 da Roma Termini parte poco dopo le quattordici e impiega quattro ore per arrivare a Falconara Marittima. Qui si cambia: c’è da aspettare l’acceleratoper Rimini e un’altra ora abbondante di viaggio. Da Rimini, il taxi che percorre la litoranea passando attraverso Rivabella, Viserba, Viserbella, Torre Pedrera, Igea Marina e, finalmente, Bellaria. Ad accoglierci c’è Mario Ricci, proprietario dell’hotel che tutti, chissà perché, chiamano Fefè. Cinquantenne, ma sembra un po’ più grande. Sempre attivo, immancabili pantaloni di terital grigio chiaro e camicia bianca a maniche corte. Lui somiglia davvero a Cervi-Maigret! Corpulento, baffi folti, viso squadrato, occhi vigili e… tanti capelli. Cordiale, da buon romagnolo, ci dà il benvenuto e chiama il figlio adolescente o uno dei camerieri per portare i bagagli su, alla 16A. Vedo che… accidenti!... Si è messo pure lui a fumare la pipa, così la somiglianza con Maigret è perfetta! Manca solo il fido Lucas a fargli il verso! Con i clienti Ricci è disponibile e mattacchione, ma sa come far rigare dritto familiari e dipendenti. La signora Maria, sua moglie, è praticamente un’entità astratta: dall’alba al tramonto in cucina a dare ordini, ma pure lei a tagliare, bollire, friggere, arrostire, rosolare, lavare, sgrassare, per la colazione, il pranzo e la cena dei clienti. Raramente vede il sole, così ha colorito pallido, ma cucina ogni pietanza con rara perizia. I lavoratori stagionali, come in tutti gli esercizi del litorale, sfacchinano al limite, a volte superato, del collasso. La mattina successiva all’arrivo, Marietta mi sveglia con il caffè appena fatto. Il soggiorno comprende la pensione completa, ma il caffè casalingo è un’altra cosa! Mi lascio destare volentieri dall’aroma che riempie la stanza e trangugio avidamente l’espresso. Poi apro la finestra per respirare l’aria impregnata di altri caffè, salsedine e materassini di gomma: l’odore delle vacanze. Quindi scendiamo per la colazione. “Ben ritrovato, dottore! Signora, i miei ossequi!” Ecco un’altra istituzione: il frate! Ottantenne. Affabile. Faccione sornione da vecchia lenza, frate Pericle Zappetti, dice che il medico gli ha ordinato i soggiorni estivi al mare. Ha poco del frate, a parte il breviario, chiuso a un angolo del tavolino, vicino al portacenere triangolare col marchio Cinzano. Non veste il saio ma calzoncini corti, canottiera e un camicione da spiaggia sbottonato. Grosso come un tacchino, occhi allegri nascosti dietro occhiali affumicati, viso furbo di chi la sa lunga. Fuma un buon numero di Esportazione e ha preso i voti a sessant’anni… Insomma: ha vissuto e sa vivere. Al mattino va in spiaggia, si toglie il camicione e resta in canottiera bianca. A una cert’ora guadagna la battigia e, sollevando l’orlo dei calzoncini da bagno come una sposa solleva il velo, entra in acqua fino alle ginocchia. A mezzogiorno, in questo è proprio frate, si affretta in sala da pranzo. In barba al peccato di gola, qualche volta passa prima in cucina, dalla signora Maria, e come un invasato divora decine di cozzole - così chiama i mitili - succhiandole rumorosamente dai gusci. La sera fa capannello con gli ospiti dell’albergo e li intrattiene con storie e barzellette piccanti. Amico di frate Pericle è il dottor Dalmasso, medico cuneese anche lui habitué con moglie e figlio adolescente. Io e Marietta lo chiamiamo il Rospo,perché dell’anfibio il dottor Dalmasso ha tutti i tratti somatici e la voce. Una sintesi fra Aldo Fabrizi e Louis Armstrong. A occhio e croce, non è un luminare: il giorno che la signora Maria Ricci è svenuta in cucina, sopraffatta dal calore e dalla fatica, è stato chiamato, ma è parso a disagio. Per sua fortuna la forte tempra della signora l’ha tolto dai pasticci: la donna si è riavuta, ha bevuto un bicchiere d’acqua ed è tornata alle seppie e alle patatine fritte che i tedeschi aspettavano con ansia. La moglie del Rospo, signora Caterina, è una donnetta senza velleità, che vive all’ombra del marito. E di ombra ne ha… vista la mole di lui! Le sue attenzioni sono rivolte al coniuge, ma soprattutto al figlio Virginio. Brufoloso e occhialuto sedicenne che si dà un sacco di arie. Porta i capelli un po’ lunghetti e si atteggia a conoscitore della musica del momento. Sostiene di ballare il twist come pochi, però nessuno l’ha visto in azione, e ostenta gli autografi di varie celebrità: Nico Fidenco, Little Tony, Rita Pavone, Jimmy Fontana… Sulla spiaggia non toglie la camicia, infilata dentro i calzoncini da tennis bianchi, né le scarpe di corda e i calzini. Afferma di non sopportare il sole e il contatto con la sabbia. Marietta, mordace, giura che questa stravaganza nasconda piuttosto la volontà di celare il corpicino secco, acerbo, punteggiato dall’acne. Anche per la collezione di firme celebri la mia signora ha una spiegazione: pazienti, magari occasionali, del padre a cui il dottore chiede la foto con dedica per il figlio! Poi c’è la famiglia Pugliese, da Milano. Il dottor Armando, che già supera il mezzo secolo, lavora presso un’importante industria chimica. Ha sul viso la luce lattiginosa dei laboratori in cui passa la vita e del nebiùn padano. La signora Maria, classica lombarda con i capelli biondi tendenti al rame, alta, decisa, non ha ancora raggiunto i cinquanta. I figlioli, Guglielmo e Cristina, anche loro pelle di luna come i genitori, hanno rispettivamente diciassette e tredici anni. “Ecco le mozzarelle!” commenta Marietta, facendomi di gomito quando i Pugliese scendono dal taxi, carichi di valige. Mentre Ricci si dà da fare per i bagagli e l’assegnazione delle stanze, il dottor Armando, che per darsi un tono vacanziero si è ficcato in testa un cappellicchio di paglia troppo piccolo, saluta il frate, il Rospo, e noi… “Han fatto buon viaggio?”domanda Marietta alla signora Pugliese. “Sì, sì,” risponde la diafana, “per fortuna non ci son stati ritardi!” “Certo,” si inserisce il chimico, “bisogna dire che viaggiare in aereo è tutta un’altra roba! Io, qualche mese fa, sono stato a un convegno a Roma, per lavoro… in meno di un’ora ero nella Capitale. Al ritorno, poi, sono partito alle sei del pomeriggio e all’ora di cena ero già a tavola a casa mia!” “Accidenti! Davvero un gran risparmio di tempo e fatica!” Mia moglie ci cade in pieno. Io, invece, mi immergo nella lettura, schermandomi con una nuvola di Trinciato forte. “Ma poi la comodità, signora, la comodità!” attacca Pugliese. “Ti siedi, sei servito e riverito, ti danno anche la merenda, le bevande… Io ero seduto accanto a una bella ragazza che aveva paura, ma l’ho rassicurata: deve sapere, le ho detto, che l’aereo oggi giorno è il mezzo più sicuro, più del treno, dell’auto…” “Armando, noi saliamo su! Le stanze sono pronte…” La signora Pugliese deve avere ascoltato molte volte l’entusiastico resoconto del volo Roma-Milano. Cristina è cresciuta. La bambina dell’anno precedente si è trasformata in una ragazzetta. Aggraziata, rivela una interiore timidezza. Come se il fisico mutasse a una velocità maggiore rispetto alla mente e al cuore, sembra impacciata in un corpo che è, benché ancora in erba, quello di un’adulta. Il fratello, invece, non è cambiato. Si è allungato un po’, ma dietro gli occhialoni alla Jimmy Fontana sembra sempre un piccolo gufo. “Per quest’anno non cambiare/ stessa spiaggia stesso mare/ per poterti rivedere/ per tornare per restare insieme a te/ e come l’anno scorso/ sul mare col pattino…” Finalmente i frequentatori della Puerta del sol hanno cambiato disco. La canzone di Mina accompagna alla perfezione il succedersi degli arrivi. Dopo pranzo gli ospiti dell’Hotel *** prendono il caffè ai tavolini presso l’arenile antistante l’ingresso. Noi il caffè ce lo facciamo in camera, ma prima ci godiamo la brezza. Il cielo è di un nitore infantile. Più azzurra solo la striscia di mare che scintilla dietro le file di ombrelloni verdi e blu del Bagno 36. L’aria profuma di caffè, salsedine e materassini di gomma: l’odore delle vacanze. Sull’orizzonte abbacinato si materializzano altre figure note: l’avvocato Pinnavaglia con la famiglia. Devono essere arrivati da poco anche loro. Forse il giorno prima. Alloggiano in un altro albergo, loro. L’avvocato sostiene che il vitto sia migliore lì, dove paga sì e no mille lire in più rispetto a noi. Piccola differenza che lo fa sentire un possidente. Quarantadue anni, avvocato del Foro di Roma, Marcello Pinnavaglia è quasi completamente calvo. Solo una coroncina di capelli neri impomatati evita che la sua testa possa essere scambiata per un… ginocchio. La moglie, Filomena, è scura di capelli e di carnagione, con un vistoso neo sulla guancia sinistra. I tratti rivelano origini ebraiche quanto il cognome, Di Nepi. Anche le figliole dell’avvocato, Elena e Anna, sono cresciute. L’anno precedente la grandicella, Elena, ha cominciato a dare da fare: si interessava ai giovanotti in maniera un po’ indiscriminata. La signora Filomena, più volte, è intervenuta con risolutezza. L’avvocato delega alla moglie i rimbrotti. Probabilmente pensa che fra donne si intendano meglio. Però una notte, affacciati alla finestra - io a godermi l’ultima pipa della giornata, Marietta un po’ di frescura - abbiamo udito la voce concitata del legale che rimproverava la figlia per essersi attardata in giro nientemeno che con l’acneico figlio del Rospo! L’avevano aspettata ingannando il tempo giocando a briscola con i Pugliese, poi chiacchierando con il frate, con i Dalmasso e con noi. Il Rospo controllava l’orologio e diveniva ciarliero. Mascherava l’imbarazzo con la voce da radiolina sfiatata. La signora Caterina dispensava saggi sorrisi. Muta. Il Pinnavaglia si dava un contegno, ma evitava il volto livido della moglie. Non veniva loro in aiuto l’altra figliola che, a intervalli regolari, reclamava: “Mamma, ho sonno! Quando torna Elena?!” E il frate motteggiava:“State tranquilli, adesso ritornano! C’è una bella luna, guardate che serata… avranno preso la macchinetta fotografica e saranno al canale a fotofregarsi…” A ogni battuta del religioso una perlina di sudore si affacciava sulla pelata di Pinnavaglia. “Commissario, perché non ordina di cercarli con un’auto civetta?” infieriva frate Zappetti, rivolgendosi a me. “Magari stanno solo ballando il tango delle capinere!” IlRospo gracidava per coprire le parole del Frate… La signora Pinnavaglia aveva il colore di una tempesta… E la piccola Anna tornava all’attacco: “Mamma, ho sonno! Quando torna Elena?!” Mezz’ora dopo la mezzanotte il frate si era congedato: “Si è fatta l’ora di andare a dire le preghiere della sera… Auguro a tutti loro una felice notte… almeno quanto quella dei piccioncini smarriti… oops, scusate, sempre questi uccelli…” Marietta e io, poco dopo, avevamo lasciato le due famiglie al loro reciproco disagio. Alla finestra, luce spenta per evitare le zanzare, ascoltammo l’epilogo. All’una e dieci, ho controllato l’orologio, i Pinnavaglia si erano ricongiunti e tornavano all’Ambasciatori. Brutta aria per Elena! “…Che figura ci faccio!” urlava l’avvocato. “Proprio con quello lì, almeno fosse bello!!! Ci conoscono tutti… vuoi che ci ridano in faccia o, peggio, dicano che non ti sappiamo educare?! Io e tua madre, alla tua età, ammesso che si uscisse la sera, alle ventidue stavamo a casa! Una ragazza deve avere dignità: dovevi insistere per tornare prima…” Poi la paternale si era confusa con i rumori della strada e con il fischio lontano del treno. Le cittadine della riviera romagnola vivono fra due confini: la spiaggia e la ferrovia.
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