2.

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2. Quando hanno demolito Santa Maria delle Grazie a Porta Angelica, suppergiù nel ’39, perché dopo i Lateranensi l’area tra Borgo Pio e Borgo Vittorio non era più del Vaticano e il regime era ansioso di costruire di testa sua, c’erano state polemiche fra tanti entusiasti del nuovo e alcuni sdegnati censori che non mandavano giù la distruzione della chiesetta cinquecentesca. Vista l’aria che tirava allora, è difficile dire se i tanti entusiasti fossero davvero tanti e i pochi censori fossero realmente così pochi… Fatto sta che il tempietto è stato buttato giù e l’icona della Vergine delle Grazie con parte degli arredi sacri sono stati trasferiti nella nuova Santa Maria delle Grazie al Trionfale, eretta in due anni a guerra cominciata dalle parti di Piazzale degli Eroi. Che ci fosse già la guerra si capisce dall’architettura modesta che la Guida di Roma del Touring Club qualifica con un po’ di enfasi “neorinascimentale”. Ma sarebbe andata peggio e forse neanche sarebbe stata fatta la chiesa al Trionfale, se si fosse atteso ancora un anno, smorzato il goffo slancio per “spezzare le reni alla Grecia”, congelato ogni impeto fra i ghiacci in Russia, bruciate come un prospero le velleità imperiali in terra d’Africa. E tutto sommato il modesto tempio, pur con il campanilotto tozzo che si sforza di distinguersi tra i palazzoni un po’ fascisti un po’ democristiani, conserva almeno l’aspetto della chiesa, a differenza di altri sproloqui spuntati dopo il Concilio su progetti di architetti poco inclini al sacro. È il 25 aprile e fa freddo. Marietta avrebbe voluto indossare solo il vestito per la Prima Comunione di Anita e invece s’è rassegnata a metterci su una redingote. Io ho l’impermeabile e il maigrettiano Borsalino. Qualcuno, vedo sul sagrato, ha addirittura il cappotto. E non è da biasimare! Anita è in sagrestia per la foto ufficiale vicino alla statua della Madonna, ci avverte Elisabetta. I genitori hanno i posti riservati ai lati dei banchi dove siederanno i comunicandi. Noi nonni, parentame vario, amici e conoscenti dovremo trovar posto dietro. C’è tutta la fauna dei dì di festa in semiperiferia. Invitati fasciati nei vestiti buoni comprati alla Standa, alla Upim o cacciati dall’armadio con due-tre giorni di anticipo per farli spuzzolire dall’odore di canfora e di naftalina. Qualcuno, si capisce dai cappelli e dalle stoffe, viene dall’entroterra: quello che Marietta definisce con ironica anglofilia Buriland! Visi cotti dal lavoro nell’orto o nella vigna. Poi ci sono nonne, zie e cugine sovrappeso stordite dall’ipossia per i tailleur giusti giusti allacciati fino all’ultimo bottone. Maschi a disagio nelle giacche con la cravatta e la camicia bianca tenute in serbo per le grandi occasioni: matrimoni, comunioni… o funerali, compreso il proprio. Alcune mamme, forse consigliate da amiche che in fondo in fondo non devono essere tanto amiche, sono abbigliate come andassero all’Opera o al veglione di San Silvestro, malferme su tacchi inadatti alla loro stazza e alla loro schiatta… Basta così, sennò finisce che devo confessarmi un’altra volta! L’interno della chiesa non è male. Classico. Purtroppo l’abside è tutta nascosta da un’impalcatura: s’imponeva un restauro, ed è stato allestito un altare provvisorio. Presiede la cerimonia il vecchio parroco. Se ho capito bene, si chiama Don Fausto. Faccia di uno che deve essere stato severo ma a cui le rughe hanno intenerito il cuore. Anita e gli altri bambini entrano dal portale centrale. Prima le femminucce, belle con i loro abiti bianchi, qualcuno magari troppo fastoso, poi i maschietti quasi tutti con i vestiti spezzati come va di moda adesso. Ai tempi nostri portavamo i calzoni corti. Marietta si emoziona. Io mi sforzo per non andarle appresso. Il bianco, d’una bimba o d’una sposa, tocca l’anima unito alla voce dell’organo che soffia eternità, alla danza dei ceri, al mistico aroma dell’incenso… “Dov’è carità e amore Qui c’è Dio…” Non disturbano le impalcature, non importano i poveri mattoni, le stoffe burine… La festa è nel cuore. Manca solo si metta a piovere! Il cielo è chiuso. È primavera solo sul calendario. Elisabetta mi passa la sua macchina per le foto post cerimonia. C’è una Madonnina, guardando il sagrato a destra, e dinanzi alla scultura scatto varie istantanee prima di restituirle l’apparecchio per entrare io nel gruppetto famigliare. La piazza è incasinata da lavori in corso e lo sfollamento dei partecipanti al sacro rito degenera subito in un macello perché nessuno ha potuto parcheggiare proprio nei pressi, ma tutti pretendono di caricare ragazzini comunicati e parenti a due metri dalla scalea. Forse hanno paura che i nuvoloni neri decidano di porre in atto adesso la loro oscura minaccia. Non ho mai visto gente tanto terrorizzata dall’idea di bagnarsi quanto i romani delle ultime generazioni! Basta una previsione di “variabilità” da parte di Bernacca, la presenza di qualche nube, un mezzo tuonetto sfiatato perché tutti prendano l’automobile per minimi spostamenti. Come se uscire con l’ombrello o rincasare con il soprabito inzuppato fosse un’insostenibile ammissione di povertà: Te pare che io che c’ho la machina me vado a fracica’?!... Risultato: manco s’è spenta l’eco dell’ultima nota d’organo che già vola qualche vaffa e qualche anima-de-li-mejo per questioni di viabilità. Sulla 130, oltre la consorte si capisce, carico mia cognata e il cugino Aldo con moglie e figlioletto della stessa età di Anita che, invece, sta in macchina con i suoi e con gli altri nonni. Per fortuna non siamo tanti, – meno siamo, meglio stiamo! – c’è solo un’altra auto, quella di Mimmo e Betta che portano una coppia di amici di famiglia. Destinazione: ristorante Nino alla Camilluccia. Non distante, per fortuna. Non ho idea se i lavori in corso qui riguardino le fogne o la nuova metropolitana che, se Dio vorrà, dopo vent’anni di lavori, ostacoli archeologici e geologici, ostruzioni burocratiche, quattro Papi contato quello regnante, sette sindaci, cinque presidenti della Repubblica e ventidue governi, aprirà l’anno venturo. Comunque bisogna fare il giro di peppe per arrivare a Piazzale degli Eroi e salire Viale delle Medaglie d’oro. Mi va la coda dell’occhio al portoncino dove c’era la sezione del MSI, quella da dove sono usciti i facinorosi che hanno sparato a Walter Rossi. Quella frequentata da Alfredo Mancini che c’era pure quella triste sera del 30 settembre ’77. Tutti assolti. Che sarebbe come ammettere che le pallottole possano partire da sole dalla canna di una pistola, oggetto metallico inanimato, senza bisogno di un essere in carne, ossa e volontà che la impugni e la azioni! Tutti assolti, sì, ma almeno schedati. Tutti, meno lui: il portinaio scapolone e pipparolo, adesso morto ammazzato con l’uccello strappato, per il quale a suo tempo qualcuno s’è esposto e adoperato per mondarlo da ogni traccia di colpa… Supero Piazza della Balduina e proseguo su. Queste parti mi rammentano pure il caso Moro, giusto un anno fa di questi tempi, e la triste storia di quella studentessa strangolata all’università 2. Non c’è traffico. “…Nuove sensazioni giovani emozioni si esprimono purissime in noi La veste dei fantasmi del passato cadendo lascia il quadro immacolato e s’alza un vento tiepido d’amore di vero amore…” Arriviamo al ristorante in meno di venti minuti. Forse ci siamo già stati una decina di anni fa, ma non ricordo con sicurezza e pure Marietta dice di non esserne certa. C’è una bella terrazza panoramica che affaccia su Monte Mario. D’estate dev’essere uno spettacolo. Ma hanno fatto bene a prenotare il tavolo all’interno perché il cielo continua a brontolare. «Quelli stavano in chiesa» mi fa notare Marietta indicando due tavolate. Una di lato, poco più numerosa della nostra; l’altra di una dozzina di persone. Per quelli del quartiere questo ristorante dev’essere rinomato perché le due famiglie che stanno qui sono indubbiamente più raffinate della media che affollava la chiesa delle Grazie. Nella tavola con meno gente il comunicato è un maschietto e i genitori, il padre con la barba bruna alla Umberto Eco, mi pare di averli già visti, ma non so dove… Marietta sposta la mia attenzione sull’altra tavolata, quella più numerosa con un’altra bambina in veste bianca, compagnuccia di Anita. Fra gli invitati c’è una coppia a dir poco strana che farebbe la sua figura in un giallo di Agatha Christie. «O in un film di Dario Argento…» affonda la consorte! Li avevo notati in chiesa, di sfuggita, ma ancora non mi ero accorto che fossero qui. Lui pare scappato da un film muto. Alto e allampanato, c’ha pure le ghette sulle polacchette di coppale a punta che deve aver sfilato a un defunto del Pincetto Vecchio. Abito fumo di Londra con i calzoni a tubo, panciotto con catena d’oro, foulard al posto della cravatta e camicia con il colletto inamidato alto e punte arrotondate alla D’Annunzio. Fin qui gli indumenti. Il peggio è la faccia: tagliata con l’accetta, nervosa, occhi cerulei sporgenti, bocca a dindarolo, taglio di capelli da ufficiale delle SS… ecco: nell’insieme ’sto fusillo ha l’aspetto di un nazista. Di contro, la moglie è l’immagine della sottomissione. Secca più di lui, sembra una deportata. Due gambette da sedia stile Liberty, collo Modigliani, pelle diafana, trasparente, che lascia vedere i reticoli delle vene. Due occhioni da cagnolona affamata, bastonata e abbandonata sull’Autosole sempre rivolti in supplica al marito che di rado la degna d’uno sguardo, riservandole perlopiù la visione della nuca rasata e della testa impomatata. Fettuccine paglia e fieno al ragù mi distraggono dalla strana coppia. Ci butto gli occhi di tanto in tanto mentre si succedono le pietanze fino a uno strepitoso Saint-Honoré. Non sfigurerebbero nei romanzi della Christie, è vero, ma sembrano pure una comica di Ridolini… Due anni di catechismo e una famiglia praticante non sono riusciti del tutto a inculcare nella testolina di Anita che i regali che si appresta a scartare con malcelata ansia sono la cosa meno importante di questo giorno! Ma forse, a pensarci bene, è giusto così! Benedetti i suoi dieci anni e l’entusiasmo che le bolle nelle vene. Ne avrà di tempo per scoprire che le cose materiali significano poco, che la felicità viene da dentro… Tutte le belle verità che si svelano quando la vita, dopo che ti ha preso a schiaffi, ti rinfaccia che non sei più bambino ed è ora che impari a tenerti stretti gli affetti, la salute, gli amici dato che lei, la vita, presto o tardi comincerà a sottrarteli uno a uno e se non sarai in grado di affrontare la solitudine e le difficoltà con uno straccio di giudizio rischierai di ritrovarti al manicomio! Dai genitori ha ricevuto l’orologio d’oro, di quelli piccolini proprio da donna, che le rammenterà per la vita questa giornata con i più cari. Noi nonni le abbiamo regalato la macchina fotografica. Ci tenevo a fargliela, visto che ho trasmesso la passione prima a mia figlia e che adesso pure lei è interessata. Guido Sabatini, da cui mi servo da anni per tutto quanto riguarda il mio hobby, mi ha consigliato la Yashica MG-1. Semplice nell’uso, «adatta al principiante evoluto» ha detto. Anita la gradisce. Ci si divertirà, sono sicuro. La mamma di Sabrina, l’altra comunicata che studia pure alla Vico, simpatica e affabile quarantenne, viene a salutarci e a far gli auguri ad Anita. «E così… stanno un’altra volta con la supplente» commenta. «Già. Ne parlavo giusto ieri con la signora Di Stefano. Pare che la maestra Soldi abbia la flebite, poveretta!» «Per lei mi dispiace, povera donna, però la classe ne risente… Da settembre, è la quarta volta che arriva una supplente e mai che fosse la stessa!» «Tra l’altro, pare che pure questa non sia il massimo…» «Quella dell’altra volta si arrabbiava sempre e strillava come una matta!» interviene Anita. La signora Soldi dev’essere quella che ha ruttato l’altro giorno. «È cominciato l’ultimo trimestre e la Soldi ci sarà stata in tutto sì e no due mesi…» «Ma resta titolare…» Istantanea statale! Dov’è la novità?! Pure il sostituto procuratore Formica, dopo aver vomitato i vermicelli di Natale per aver visto di venerdì il portiere spisellato a mozzichi, s’è messo in malattia fino al lunedì! E il lunedì, quando sono andato a Piazzale Clodio per incontrarlo, ho saputo che stava ancora male. Ovviamente nessuno s’è preoccupato di avvisarmi che l’appuntamento sarebbe saltato perché, si sa, ubi maior minor cessat: un giudice è un giudice e pure se ha la stessa laurea in Legge che hanno tanti commissari, a fine mese si becca tre o quattro volte lo stipendio del commissario che se ne sta per strada a farsi gambizzare, se gli dice bene che non lo pigliano in testa, mentre lui se ne sta al calduccio in Pretura servito, riverito e quando gli viene l’influenza o la cagarella resta a casa e chi s’è visto s’è visto! Dopo che qualche lacchè deve averlo avvertito che lo avevo cercato, s’è degnato di telefonarmi, solo per raccomandarmi di non esulare dalla routine dell’indagine fino al suo ritorno… Ho cercato di spiegargli in maniera quanto mai sintetica, per non sconvolgerlo dato che giaceva malato con tanto di certificato medico che raccomandava “giorni 5 (cinque) di riposo e cure”, la faccenda del nome del portinaio scomparso dal fascicolo in cui doveva figurare tra gli arrestati per l’omicidio Walter Rossi. «La prego di attenersi alla mia richiesta» ha detto per tutta risposta. E io mi attengo, sarvognuno! Mancini se ne starà in frigo fino a nuovo ordine e con lui il sacchetto di plastica con il malloppetto di ciccia che è stato il suo membro. La coppia di soggettoni continua a ignorarsi. O meglio: lui continua a ignorare lei che, invece, seguita a implorarlo in silenzio con gli occhioni incavati da denutrita. Quasi non scambiano parola con i commensali. Lei mangia a bocconi piccoli, sminuzza il cibo nel piatto come gli inappetenti, lo porta alla bocca e subito torna a volgere lo sguardo al marito incontrandone invariabilmente la nuca o al più il profilo concentrato sulla pietanza con i muscoli e le vene delle tempie che seguono le mascelle. Il maschietto dell’altro tavolo ha ricevuto pure lui una macchina fotografica. Se la rigira tra le mani, incredulo. Comunque, da qualche parte i genitori già li ho veduti… Adesso il tipo antico ha smesso improvvisamente di mangiare, ha appoggiato le posate sul tavolo e dopo essersi nettato le labbra con il tovagliolo s’è alzato di scatto, senza degnare la moglie di una fugace occhiata manco a dirlo, e s’è diretto a passo veloce verso l’uscita del ristorante. La donna lo ha seguito con lo sguardo fino a che è uscito, poi s’è guardata intorno smarrita, con un po’ di vergogna forse. Ha mandato giù con sforzo un altro boccone poi pure lei ha deposto coltello e forchetta, ha bevuto un sorso d’acqua ed è rimasta ferma, lontana da tutti, cercando continuamente l’uomo oltre le vetrate che danno sul giardino. «Sarà andato a fumare?» domanda Marietta. «Boh! Da qui non lo vedo…» «Indaga, allora! Sei o non sei il commissario capo Soccodato?» L’ironico incitamento non ha seguito, però, perché il bel tomo rientra. Se sia andato a fumare, a prendere una boccata d’aria o a fare qualunque altra cosa non lo sapremo mai… È certo, però, che gli occhi supplici della consorte ritrovano luce. Luce, non gioia: quella deve mancare da tempo nelle sue iridi acquose. Ha preso a cadere una pioggerella uggiosa e gelata.
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