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1284 Parole
«Non voglio pensare, Cipriani, voglio vedere! Voglio vedere quello che c’è, rendermi conto di quello che non c’è e possibilmente capire perché non c’è! Mi spiego? Forza, chiami De Gennaro… Se non c’è lui, ci sarà Fioretti.» Cipriani fa per alzarsi. Lo congelo: «Chiami da qui» gli allungo il telefono interno. De Gennaro dalla sua fossa chiede mezz’ora per la ricerca. «Gli dica che ha dieci minuti.» Di minuti ne passano otto. Li ho contati fissando l’orologio da tavolo. Muto. Ho visto che Cipriani mi osservava. Forse voleva dire qualcosa. Ho fatto finta di niente. Quando non si sa cosa dire è meglio stare zitti. «Il fascicolo che ha richiesto, dottore» dice l’agente sull’attenti. Deve aver fatto le scale di corsa perché nonostante i suoi vent’anni o poco più ha il viso congestionato e la favella spezzata. «Riposo, agente. Può andare.» Scorro, sempre muto, le pagine del dossier. Ci sono le foto di Rossi, le dichiarazioni dei testimoni. Fra questi c’era pure l’attore Fiorenzo Fiorentini. Ecco i verbali degli arresti. Capo d’imputazione: omicidio volontario e rissa aggravata. Tutti missini della sezione di Viale delle Medaglie d’oro: Cavallari Gabriele, Briguglio Ilio, Renda Claudio, Romagna Giancarlo, Leoni Alberto, Leoni Silvio, Accolla Dario, Durante Luciano, Pasquali Alberto, Bragaglia Riccardo, Ferdinandi Ferdinando, Aronica Luigi, Macrì Antonio, Andriani Germana, Perina Flavia. Arrestati nella notte tra il 30 settembre e il 1° ottobre 1977, dopo che Walter Rossi, colpito alla nuca da un colpo di pistola, era morto prima di arrivare all’ospedale e il benzinaio, che non c’entrava niente né coi neri e né coi rossi, era finito pure lui all’ospedale, raggiunto da un proiettile vagante… «Mancini non c’è.» Guardo Cipriani. «No» conferma dopo aver scorto rapidamente la lista. «Perché?» «Non lo so capo. Posso immaginarlo, ma vorrei tanto sbagliarmi…» «Chiamiamo Ciarravano. Se vuole, resti pure…» «Non c’è bisogno, capo. A quattr’occhi parlerete più liberamente.» In altra circostanza ci avrei fatto una battuta sui quattr’occhi che da parte di Cipriani potrebbe essere pure una presa per il culo, dato che sia Ciarravano che io davanti agli occhi portiamo un bel paio di fondi di bicchiere… ma ho il sangue in ebollizione e mi rode davvero tanto, perché se le cose si metteranno come penso stiano per mettersi sarà difficile risolvere questo caso! Ecco Ciarravano. È stato al Campidoglio fino all’alba e a casa neanche è rientrato. Tipo sui generis, quasi più di me. L’anno venturo andrà in pensione, ma non ne vuol sentir parlare. Trasteverino pure lui, è l’unico collega a cui do del tu. Marietta lo chiama “quadro antico” perché sembra uno degli anni Trenta. Capelli ancora neri, impomatati stile sorca intinta all’olio. Scapolo. Vive per il lavoro. È di quelli tutti d’un pezzo, anche se la solitudine e la lotta quotidiana contro i mali di una società sempre più immorale, insensibile e corrotta lo stanno minando. Già da tempo alza troppo il gomito e la cosa è trapelata qui in ufficio. L’epilogo della faccenda Moro, l’anno scorso, l’ha messo letteralmente in ginocchio. Per la prima volta s’è accorto che la guerra al terrorismo non è una guerra convenzionale, quella con le trincee una di fronte all’altra: qui noi, i buoni, dall’altra parte il nemico… In quei cinquantacinque giorni, e pure dopo, il nemico ce lo siamo sentito alle spalle, a fianco, ovunque… Le telefonate e i volantini dei brigatisti con gli ultimatum deliranti erano quasi un sollievo perché almeno in quel momento sapevi chi era l’avversario… ma subito dopo tornava la brutta sensazione che il destino di quel poveretto non fosse solo in mano alle BR… Spiego a grandi linee quanto è successo da stamattina fino al dossier in cui sembra esser stato scritto con l’inchiostro simpatico il nome della vittima, Alfredo Mancini, portinaio sessantenne, scapolo, solo al mondo, un po’ sporcaccione e un po’ fascista. Le mani di Domenico, nodose e arrossate, tremano più del solito mentre scorre i fascicoli e sul viso si dipinge il disgusto per il mondo che si guasta ogni giorno di più e ha il sapore del fiele che sente in bocca la mattina quando si sveglia dopo le notti sole con il vino amico del giaguaro. «Forse una risposta è nel prosieguo della cronistoria giudiziaria di questi signori…» Legge a voce alta i nomi degli arrestati. Quelli che prima ho letto pure io. «Quattro giorni dopo, il 4 ottobre, prendemmo quel tale Lenaz che poi fu scarcerato nel giro di due settimane e…» «Dome’, non darmi dello scemo proprio tu! Lo so bene che ’sti fascisti nel giro di due mesi sono usciti tutti. Ben in tempo per passare il Santo Natale con mamma e papà! L’unico che se l’è preso in quel posto e che da allora il Natale lo passa coi vermi è stato il povero Walter Rossi… Voglio capire perché i nomi di tutti questi cazzoni stanno ancora scritti qui mentre quello di Alfredo Mancini, un pipparolo qualunque senza parenti intercessori, sia sparito dai documenti! Tu as compris?!» «Io… non c’ero a quell’epoca! Te lo ricordi, no? Stavo all’ospedale…» «Me lo ricordo, Domenico! È stato neanche due anni fa, dopo tutto! Ricordo pure che gli arresti li fece Pavesi, il tuo vice che dopo un mesetto è diventato commissario, a gennaio’78 è stato trasferito a Firenze e in luglio è stato promosso commissario capo… più veloce della luce!» «Però… non credo che Pavesi c’entri… Ci siamo meravigliati tutti per la sua carriera, ti ricordi? Tanto più perché qui aveva fama di essere un quasi comunista…» «E che vuol dire? Anzi… le sue idee potrebbero persino spiegare i suoi salti in alto: promoveatur ut amoveatur! Lo dicevano ieri i latini, lo fanno oggi i preti al Vaticano… Funziona sempre!» Domenico mi guarda in silenzio. Il sole che ci ha tenuto compagnia con assaggini di primavera all’ora di pranzo s’è eclissato. Ha ricominciato a piovere. Assaggini… in effetti la primavera ormai dovrebbe essere il piatto forte, visto che siamo ad aprile inoltrato! Ma la grandine che martella i vetri e il livido compatto del cielo fanno pensare a novembre… «Quale giudice si occupa di questa indagine?» chiede Domenico. «Formica.» «Non lo conosco.» «È uno giovane. Pure io l’ho visto oggi per la prima volta. Davanti al cadavere è quasi svenuto e ha vomitato per mezz’ora…» «Annàmo bene!» «Mica è colpa sua, poveraccio! È la legge! Il garantismo del ca… che ha voluto trasformare i magistrati in poliziotti da un giorno all’altro! Solo che quelli all’università continuano a studiare commi, codicilli e basta, niente che li abitui al sangue, al dolore, alla gente sbudellata nella vasca di casa o strozzata nelle pensioncine da quattro soldi…» «Per non parlare degli studenti che si spaccano il cranio nei cortei!» «Appunto.» Altro silenzio. Ancora grandine. Un tuono. Il respiro fischiato di Domenico. «A volte… – riprende – uno giovane potrebbe aver voglia di smuovere un po’ il pantano a Piazzale Clodio. Che ti è parso di questo…» «Formica.» «Eh, Formica… ce l’avevo sulla punta della lingua. È capace che venga da fuori, che non si sia impiastrato ancora con la pece di Roma! Mettilo a parte di questa faccenda del nome sparito, delle tue congetture… Chissà non gli venga voglia di fare il magistrato d’assalto… Fagli capire che potrebbe essere la svolta per la sua carriera…» «O… la fine!» «Ogni causa c’ha i suoi martiri!» «Dovresti chiamarti Cinico di secondo nome, Dome’!» Comunque ha ragione. Avevo pensato pure di chiamare Pavesi, ma riflettendoci meglio non ne caverei molto: se è davvero il sinistrorso che sembrava, promosso per tenerlo buono, rischio di dovermi sorbire una filippica farcita di maoismo; altrimenti potrei scontrarmi con l’omertà di uno che ha mandato affanculo l’ideologia e ha fatto in due anni la carriera che altri fanno in quindici! Domenico torna nel suo ufficio. Gatte da pelare non gli mancano. Io chiamo la Pretura per chiedere un appuntamento con Formica. Mentre attendo sento nella cornetta gli scrocchi e i ticchettii delle microspie. Nessuno lo dice, salvo a volte L’Espresso o qualche deputato di Democrazia Proletaria con la vocazione del Don Chisciotte, ma tutti sanno che siamo controllati. Per questo dal giudice voglio andarci di persona. «Il dottor Formica è in malattia. Lo troverà forse lunedì.» Forse… L’antiemetico non è bastato, evidentemente. Mi sa che quello è tutto meno che un “magistrato d’assalto”! Con il segretario stabilisco l’incontro per lunedì alle 10 “salvo imprevisti”. Dopo che ha riattaccato faccio la solita pernacchia e aspetto il click dello spione di turno che chiude la comunicazione. Chissà chi era stavolta? Il SISMI? Il SISDE? I Carabinieri… la Finanza? Forse tutti… O qualcun altro in barba a tutti!
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