III-1

2007 Parole
III Il generale Ivàn Fedorovic Epancin stava in piedi in mezzo al suo studio e guardava con una curiosità straordinaria il principe che entrava, anzi fece due passi verso di lui. Il principe si avvicinò e si presentò. - Bene, - rispose il generale, - in che vi posso servire? - Faccende urgenti io non ne ho; lo scopo mio era solo di far conoscenza con voi. Non vorrei disturbarvi, dato che non so né il vostro giorno di ricevimento né le vostre regole... Ma io vengo adesso dal treno... sono arrivato dalla Svizzera... Il generale era lì lì per sorridere, ma rifletté e si contenne; poi rifletté ancora, socchiuse gli occhi, esaminò un’altra volta il visitatore dalla testa ai piedi, quindi rapidamente gli indicò una sedia, sedette anch’egli un po’ di sbieco e, aspettando impaziente, si voltò verso il principe. g***a era in piedi nell’angolo dello studio presso la scrivania e metteva in ordine delle carte. - Per far conoscenze di solito ho poco tempo, - disse il generale, - ma poiché voi, certo, avete un vostro scopo, così... - Lo presentivo, - interruppe il principe, - che non avreste mancato di vedere nella mia visita un qualche scopo particolare. Ma, in fede mia, oltre al piacete di far la vostra conoscenza, io non ho scopo personale alcuno. - Il piacere, certo, è grandissimo anche per me, ma non tutto, nella vita, è passatempo; qualche volta, sapete, capitano anche gli affari... E poi non riesco a vedere, finora, qualcosa di comune tra noi... per così dire, una ragione... - Una ragione non c’è, d’accordo, e di comune, certamente, c’è ben poco. Perché, se io sono il principe Myskin e la vostra consorte è della nostra famiglia, questo, s’intende, non è una ragione. Lo capisco benissimo. Nondimeno il mio scopo è tutto lì. Per quattr’anni e più non sono stato in Russia; e come n’ero partito? quasi privo di discernimento! Anche allora non sapevo nulla, e adesso ancora meno. Ho bisogno di conoscere delle brave persone; ho perfino anche un affare, e non so dove dar di capo. Fin da Berlino pensavo: “Quelli son quasi parenti, comincerò da loro: forse potremo esserci utili a vicenda, loro a me ed io a loro... se son brave persone”. E io ho sentito che siete brave persone. - Vi sono gratissimo, - rispose meravigliato il generale, - permettete una domanda: dove vi siete fermato? - Non mi sono ancora fermato in nessun posto. - Siete dunque venuto qui direttamente dal treno? E... col bagaglio? - Di bagaglio non ho che un piccolo involto di biancheria e nient’altro; di solito lo porto in mano. Una camera farò in tempo a prendermela anche stasera. - E così avete pur sempre l’intenzione di prendervi una camera? - Oh, sì, certo. - Dalle vostre parole avevo quasi supposto che veniste dritto filato da me. - Questa era una cosa possibile, ma solo se mi aveste invitato. Ma io, ve lo confesso, non sarei rimasto nemmeno se invitato, non per niente, ma cosa... per carattere. - Ho fatto bene dunque a non invitarvi, come non v’invito. Permettete ancora, principe, tanto per chiarire ogni cosa: poiché siamo venuti or ora alla conclusione che non è il caso di parlare di parentela tra noi, - benché per me, s’intende, sarebbe una cosa assai lusinghiera, - di conseguenza... - Di conseguenza, devo alzarmi e andarmene? - e il principe si alzò, mettendosi perfino a ridere allegramente, nonostante l’evidente difficoltà della sua situazione. - Ecco, in verità, generale, benché io non abbia pratica alcuna né degli usi né della vita di qui, pensavo appunto che saremmo venuti proprio a questo ch’è successo. Ebbene, forse così doveva essere... E del resto anche allora non m’avevano risposto alla mia lettera... Be’, addio, e scusate se vi ho disturbato. Lo sguardo del principe era così benevolo in quel momento, e il suo sorriso così scevro d’ogni traccia di qualsiasi sentimento ostile, sia pur dissimulato, che il generale a un tratto si fermò e improvvisamente parve considerare il visitatore con altri occhi; tutto questo mutamento nel suo sguardo si compì in un attimo. - Ma sapete, principe, - disse quasi con tutt’altra voce, - è pur vero che non vi conosco, e anche Elizaveta Prokòf’evna forse vorrà vedere una persona che porta il suo nome... Aspettate un po’ se volete, se ne avete tempo. - Oh, io ne ho di tempo; sono perfettamente padrone del mio tempo, - (e il principe posò subito sulla avola il suo cappello floscio, a larga tesa). - Contavo appunto, lo confesso, che Elizaveta Prokòf’evna si sarebbe forse ricordata che le avevo scritto. Or ora il vostro servo, mentre vi attendevo di là, sospettava che io fossi venuto a chiedervi un sussidio; io me ne sono accorto, e in casa vostra a questo riguardo ci debbono essere istruzioni severe; io però, davvero, non son venuto per questo, ma, davvero, solo per conoscer qualcuno. Solo che ho un po’ l’impressione di avervi disturbato, e questo mi rincresce. - Vedete, principe, - disse il generale con un sorriso allegro, - se voi siete in realtà quello che sembrate, sarà magari un piacere far la vostra conoscenza; soltanto, vedete, io sono una persona occupata, e ora devo subito rimettermi a esaminare e firmare qualcosa, poi dovrò andare dal principe, poi all’ufficio, di modo che, pur accogliendo con gioia la gente... perbene cioè... ma... Del resto, sono così sicuro della vostra eccellente educazione, che... E quanti anni avete, principe? - Ventisei. - Oh! E io credevo molto meno. - Già, dicono che ho un viso giovanile. Quanto a non disturbarvi, imparerò presto, perché anche a me non piace disturbare... E, del resto, mi sembra che siamo persone d’aspetto così diverso... per una quantità di circostanze, che forse non possiamo nemmeno aver molti punti di contatto; ma sapete, quest’ultima è un’idea alla quale io stesso non credo, perché assai spesso sembra solo che non ci siano punti di contatto, e ce ne sono invece parecchi... Dipende dall’umana pigrizia se la gente si raggruppa così a occhio, e non trova nulla di comune... Ma forse ho cominciato un discorso noioso. Mi pare che voi... - Due parole sole: possedete almeno qualche cosa? O avete intenzione di dedicarvi a qualche occupazione? Scusate se sono così... - Vi pare, la vostra domanda io l’apprezzo molto e la comprendo. Per il momento non posseggo nulla, per il momento non ho nemmeno un’occupazione; eppure ne avrei bisogno. Il denaro che ho avuto finora era d’altri: me l’ha dato Schneider, il mio professore, in casa del quale sono stato curato e istruito in Svizzera, per il viaggio, e me l’ha dato giusto giusto, sicché adesso, tanto per dire, mi sono rimaste poche copeche. Ho un affare, è vero, e ho bisogno di consiglio, ma... - Dite, con che cosa vi proponete di vivere nel frattempo? e che intenzioni avevate? - interruppe il generale. - Volevo lavorare in qualche modo... - Oh, ma voi siete un filosofo; e del resto... sapete di avere delle attitudini, delle capacità, almeno qualcuna di quelle, cioè, che procacciano il pane quotidiano? Scusatemi di nuovo... - Oh, non vi scusate! Nossignore, non credo di avere attitudini né capacità speciali, credo anzi il contrario, perché sono una persona malata e non ho fatto studi regolari. Per quanto poi riguarda il pane, mi sembra... Il generale tornò a interromperlo e tornò a fargli delle domande. Il principe narrò daccapo tutto quanto è stato già narrato. Venne in chiaro che il generale aveva sentito parlare del defunto Pavliscev e l’aveva anzi conosciuto personalmente. Perché Pavliscev si fosse interessato alla sua educazione, il principe stesso non seppe spiegarlo: del resto, forse solo per l’antica amicizia verso il defunto padre. Rimasto orfano che era ancora un bambinello, il principe era vissuto e cresciuto sempre in campagna, anche perché la sua salute richiedeva l’aria dei campi. Pavliscev lo aveva affidato a certe vecchie proprietarie sue parenti; per lui avevano assunto prima una governante, poi un precettore; egli dichiarò tuttavia che, pur ricordandosi di tutto, poteva dare ben poche spiegazioni soddisfacenti, perché di molte cose non si rendeva ragione. I frequenti accessi del suo male avevano fatto di lui quasi un idiota (così appunto disse il principe: idiota). Raccontò infine che una volta, a Berlino, Pavliscev si era incontrato col professor Schneider, uno svizzero, che curava proprio quelle malattie, aveva una casa di salute in Svizzera, nel Canton Vallese, e curava secondo un suo metodo, con l’acqua fredda e la ginnastica, l’idiotismo e la pazzia, insegnando in pari tempo ai malati e, in genere, occupandosi del loro sviluppo spirituale; Pavliscev lo aveva mandato da lui in Svizzera circa cinque anni prima ed era poi morto improvvisamente di lì a tre anni senza aver lasciato detto nulla; Schneider lo aveva ancora tenuto con sé e curato per un paio d’anni; lo aveva, se non guarito, migliorato moltissimo, e alla fine, secondo il suo stesso desiderio e per un caso sopravvenuto, adesso lo aveva spedito in Russia. Il generale si meravigliò assai. - E in Russia non avete nessuno, proprio nessuno? - domandò. - Per ora nessuno, ma spero... inoltre ho ricevuto una lettera... - Almeno, - interruppe il generale, non avendo sentito della lettera, - avete imparato qualche cosa, e la malattia non v’impedirà di occupare, per esempio, un posto non difficile, in qualche ufficio? - Oh, non me lo impedirà di sicuro. E in quanto al posto, lo desidererei anzi molto, perché io stesso vorrei vedere di che sono capace. Gli studi poi li ho sempre continuati per tutt’i quattro anni, anche se non del tutto regolarmente, ma così, secondo il suo sistema speciale, e intanto ho avuto modo di leggere moltissimi libri russi. - Libri russi? Dunque sapete leggere e scrivere senza errori? - Oh, altro che! - Benissimo; e la calligrafia? - La calligrafia è eccellente. Ecco, in questo ho forse anche del talento; sono un vero calligrafo. Date qua, vi scrivo subito qualche cosa per saggio, - disse il principe con calore. - Volentieri. Questo è perfino necessario... E mi piace questa vostra prontezza, principe, siete davvero molto gentile. - L’occorrente per scrivere che avete qui è così bello, e quanti lapis, quante penne avete, che bella carta consistente... E che bello studio! Ecco, questo paesaggio lo conosco: è una veduta svizzera. Son sicuro che l’artista ha dipinto dal vero, e questo posto son sicuro di averlo veduto: è nel Cantone di Uri... - È possibilissimo sebbene sia stato comprato qui. g***a, date al principe della carta; ecco penne e carta; ecco, favorite a questo tavolino. Che è questo? - disse il generale rivolgendosi a g***a, che intanto aveva tratta fuori dal suo portafogli una fotografia di grande formato e gliel’aveva porta: - Ah, Nastas’ja Filippovna! Te l’ha mandata lei, proprio lei? - domandò animatamente e con viva curiosità a g***a. - Me l’ha data poco fa, quando sono stato a farle gli auguri. Gliel’avevo chiesta già da un pezzo. Non so, ma non sarà poi un’allusione da parte sua, perché io sono andato là a mani vuote, senza un regalo, in un giorno simile? - soggiunse g***a, sorridendo sgradevolmente. - Ma no! - interruppe il generale in tono convinto: - e che modo di pensare è il tuo, davvero! Farebbe mai delle allusioni... e poi non è interessata per nulla. Inoltre, che le potresti regalare? perché lì sono le migliaia che ci vogliono. Forse un ritratto? Ma, a proposito, il tuo ritratto non te l’ha ancora chiesto? - No, non me l’ha ancora chiesto; e forse non lo chiederà mai. Voi, Ivàn Fedorovic, certo vi ricordate di stasera? Perché siete fra quelli espressamente invitati. - Me ne ricordo, me ne ricordo, certo, e ci sarò. Ci mancherebbe altro, il suo giorno natalizio, venticinque anni! Uhm,.. E sai, g***a, ormai, tanto vale, te lo confido, preparati. Ha promesso ad Afanasij Ivànovic e a me che questa sera, a casa sua, dirà la sua ultima parola: essere o non essere! Sicché pensaci. Ganja si turbò a un tratto, e a tal punto che impallidì perfino un poco. - È sicuro che l’ha detto? - domandò, e la sua voce ebbe come un tremito. - Ci ha dato la sua parola ier l’altro. Noi due abbiamo tanto insistito, che gliel’abbiamo strappata. Ha pregato solo di non dirti nulla prima del tempo. Il generale osservava fisso g***a; si vedeva che il turbamento di g***a non gli piaceva. - Ricordatevi, Ivàn Fédorovic, - disse g***a agitato e titubante, - che è stata lei a lasciarmi piena libertà di decisione fino a quando lei stessa non decida la cosa, e anche allora sarò ancor sempre padrone della mia parola... - Forse che tu... forse che tu... - disse a un tratto il generale, spaventandosi. - Io... nulla. - Ma scusa, che vuoi farci fare? - Io non rifiuto mica. Forse non mi sono espresso bene...
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