2
Vince
Mi annoio a morte, dannazione. Non ho combinato un cazzo per tutto il giorno. Mi metto comodo sulla panca e allungo le gambe. Al ristorante mi piace stare seduto nel separé, il mio, per rilassarmi. Ma solo quando me lo sono guadagnato. Oggi, non ho guadagnato un bel niente. Potrei dover fare un salto alle banchine di carico per assicurarmi che tutto sia pronto per procedere senza intoppi, ma a parte questo la lista delle cose da fare è breve. Tiro fuori l’iPhone dai jeans e sospiro. Almeno posso controllare l’andamento delle azioni.
Joe si china per guardare il telefono e ride. «Pensavo che stessi di nuovo dando un’occhiata a quelle foto di nudo, non a queste cazzate». Gli faccio un sorrisetto, non mi prendo il disturbo di rispondergli e torno al portafoglio azionario. Prima di tutto, le immagini di Leah non sono più sul telefono, e non avrebbero mai dovuto esserci. Questo stronzo ficcanaso del cazzo le ha viste non appena sono arrivate. Le ho cancellate senza nemmeno guardarle, ma lui non le ha dimenticate.
Lei sapeva che era solo per una notte. A nessuno piace sapere di non avere speranze e non sono il tipo di uomo che si fa coinvolgere. Aggrotto la fronte pensando a come avrebbe dovuto avere più rispetto per se stessa. Le ho detto che non volevo una relazione. È stata una scopata veloce e sporca ed è finita lì. È successo mesi fa. Per fortuna, alla fine ha lasciato perdere ed è passata a qualcun altro.
In secondo luogo, le azioni non sono una stupida cazzata. È un modo per fare soldi. Un modo davvero buono che rivaleggia con quello che ricevo dalla famiglia, cazzo. Ma Joe non ci arriverà mai. La maggior parte di questi ragazzi non capirà mai. Non desiderano alcuna responsabilità o ambizione. Vogliono un lavoro facile per il quale non devono imparare un cavolo di niente, solo eseguire degli ordini. Ed è per questo che il secondo in comando sono io e non uno di loro. Se non hai fame di successo non l’otterrai mai.
Un sorriso mi si allarga sul volto quando vedo la porta aprirsi e una bella bionda entrare come se fosse di casa. Questa è una piccola città e non l’ho mai vista in giro prima. Faccio vagare uno sguardo di assoluto apprezzamento lungo il suo corpo. Indossa una canotta leggera color crema e dei pantaloncini di jeans attillati. Irradia una dolce innocenza. La vita è stretta ma i fianchi sono larghi. Ha proprio un piccolo e grazioso corpo a forma di pera. Un corpo che potrebbe essere scopato con forza. L’uccello mi diventa duro al solo pensiero di aggrapparmi a quei fianchi.
Mi sistemo il cazzo e mi guardo in giro. Gli altri ragazzi la osservano, ma non lo danno a vedere. Adesso ci siamo solo noi e la dolce biondina. Tecnicamente questo ristorante è un luogo pubblico. La gente viene qua per dare un’occhiata all’interno, ma non è qui che facciamo davvero certe cose. Non usiamo quasi più nemmeno la cella frigorifera. Quasi. Al momento nella stanza sul retro c’è qualche casino ed è per questo che sono costretto a stare seduto qui e assicurarmi che la faccenda non sfugga di mano. Non è che i miei cugini non siano in grado di gestire il lavoro da soli. So che possono farlo, ma devo aspettare finché non finiscono.
Lei sorride guardandosi intorno e le si illuminano gli occhi mentre procede rapidamente a sedersi di fronte a me. La cosa mi suscita una risatina. È ovvio che trae piacere dalle piccole cose. Mi piace.
Le persone in questa città ormai non vengono più molto spesso. Sanno che papà è il boss. Tutti lo sanno, ma nessuno può provarlo. Guardo a sinistra e vedo Joe sorridere mentre osserva la dolce biondina affrettarsi verso il separé di fronte a noi. Joe può togliersi dalle palle, quella fica è mia.
Le sorrido perché è così dannatamente carina e timida. È ovvio che non ha idea di essere entrata nel quartier generale della mafia. Una risatina bassa e profonda mi fa vibrare il petto mentre arrossisce e si copre il viso. Dolce. Senza dubbio è un tesoro e l’appellativo mi piace. Tesoro.
Si guarda intorno come se una cameriera dovesse farsi vedere e darle un menu. Guardo verso Brant. Sa cosa fare. Dovrebbe alzare il culo e recitare la parte. Gli ci vuole un momento per posare il telefono e avvicinarsi a lei con un sorriso forzato. Piccola merda. Ha solo diciassette anni e per ovvi motivi non fa molto per la famiglia, quindi dovrebbe essere entusiasta di servire una donna come quella. Forse i suoi cazzo di ormoni non sono ancora attivi.
Le concedo un minuto per sistemarsi. Quasi rido quando vedo la sua espressione delusa mentre osserva lo schermo del portatile. Poi guardo i suoi occhi perlustrare il locale. È sconcertata per il WI-FI. Ma quanto è carina. In pratica riesco a sentire tutti i suoi pensieri. È così espressiva, così facile da leggere. Scommetto che sarebbe così anche a letto. A quel pensiero mi alzo e vado verso di lei. Chi ha tempo non aspetti tempo. So che la interromperò, ma non attendo. Sono uno stronzo impaziente, quando voglio qualcosa vado a prendermela. E di certo voglio lei.
«Cosa stai facendo qui, tesoro?». La mia piccola preda si raddrizza e la mano le vola al petto. Mi trattengo dal ridere, scivolo sulla panca davanti a lei e la guardo in faccia per accertarmi di essere il benvenuto. Lei sorride appena e quel bellissimo rossore le sale di nuovo sulle guance. Emana un’aura d’innocenza che mi fa desiderare di toccarla. Poggio il braccio sullo schienale della panca abbastanza lontano da lei. Non voglio sembrare troppo aggressivo. Non ancora.
Sono sorpreso che il mio tesoro non stia sbavando. È ovvio che le piace quello che vede. Il che mi rende dannatamente felice e ancora più desideroso di entrarle nelle mutande. È passato un po’ di tempo dall’ultima volta e il bisogno di scoparla fino a farle perdere i sensi mi sta sopraffacendo. Le labbra imbronciate mi implorano di essere mordicchiate. In pratica posso sentirla ansimare mentre la scopo tra le gambe. Il petto le si alza e abbassa mentre gli occhi trovano i miei e un’espressione imbarazzata le attraversa il viso. Non dovrebbe essere assolutamente mortificata. È ovvio che è una donna con dei bisogni e io potrei prendermene cura. Cazzo, sarebbe un piacere.
«Devo studiare». Sembra nervosa come se stessi per divorarla. È intelligente, perché è proprio quello che farò. Ovviamente è una brava ragazza che pensa di saperne di più. Ma ho imparato che alle brave ragazze capita di adorare i cattivi ragazzi. Ed è esattamente quello che sono, quindi avrà una bella sorpresa.
«Come ti chiami?», le chiedo ignorando del tutto la sua affermazione.
«Elle», risponde in fretta. Mi piace.
«Io sono Vince. Cosa stai studiando, tesoro?». Mi lecco il labbro inferiore di proposito e guardo i suoi occhi guizzarmi sulla bocca mentre le sue labbra si dischiudono leggermente. So come giocare a questo gioco. È proprio quello che mi piace fare per capire chi ho davanti, anche se lo faccio di rado. E in realtà lei non sembra quel tipo di ragazza.
Le prendo il libro di testo e corrugo la fronte alla vista della copertina. È davvero molto intelligente. «Biologia?». Mantengo la voce piatta mentre lo rimetto a posto, però la fiducia in me stesso subisce un piccolo colpo. È una brava ragazza e studia. A giudicare dal libro, sta frequentando dei corsi molto difficili, cazzo. Non ho mai intrapreso questa strada. Non come mio fratello Dom. Voglio dire, due o tre cazzate le conosco comunque. Non ho mai desiderato stare seduto in classe e cercare di essere il cocco dell’insegnante. Però, sono maledettamente sicuro che questa ragazza non voglia un uomo come me.
Non desidera il cattivo ragazzo che le farà solo fallire i progetti. Al massimo, mi prenderebbe forse in considerazione per uscire con qualcuno di classe inferiore. Ma quello che sono riuscito a comprendere di lei non mi trasmette questa sensazione. Non è il tipo di donna che per avere un orgasmo andrebbe in una bettola alla ricerca di una sporca scopata per poi raccontare alle amiche cos’ha fatto. I suoi dolci occhi azzurri mi fissano di rimando con lussuria, ma si sta trattenendo. Lo vedo. E trovo che la sfida sia allettante.
«Sì! Biologia». La voce le esce come un piccolo squittio e mi fa sorridere. Mi piace farle quest’effetto. So che pensa che questa sia una cattiva idea e ha ragione. Proprio come pensavo, è una ragazza intelligente. «Io…», inizia a parlare, ma la interrompo.
«Vuoi diventare una biologa o un’insegnante?», le chiedo, sapendo che potrebbe essere troppo educata per parlarne con me. Lei sbatte le palpebre un paio di volte dimostrandomi che ho ragione. «Lo chiedo solo perché mio fratello ha studiato, ma ha deciso di insegnare». Prendo un respiro profondo, poi mi appoggio allo schienale mentre mi passo una mano tra i capelli. «Sembra un affare di merda, però. La laurea costa molto e insegnare non paga un cazzo».
Mi schiocca la mandibola quando mi rendo conto che mi scappano un po’ di parolacce. Non so perché mi dà fastidio. È quello che sono ed è così che parlo. L’unica cosa che cerco è una scopata veloce e credo che la mia boccaccia volgare potrebbe piacerle. O almeno le piacerebbe sulla fica. Ma qualcosa nel dire le parolacce di fronte a lei sembra sbagliato. È troppo dolce per essere contaminata.
«Maledizione, non ne ho idea a essere onesta», risponde, e io sogghigno. Mi piace l’atteggiamento indifferente e che la sua dolce boccuccia dica brutte cose. Mi sono sempre chiesto perché le persone trascorrono gran parte della propria vita a fare cose che non le appassiona. Io ho bisogno dell’entusiasmo che mi trasmette il mio lavoro. Non capisco la gente che lavora senza sosta per qualcosa in cui il cuore non è coinvolto.
«Allora perché lo fai?», chiedo e voglio davvero saperlo. La sua esitazione mi fa pensare che non sa come rispondere. Poi abbassa gli occhi sul tavolo e piega le labbra in una smorfia.
Dannazione, non è quello che mi aspettavo. Mi sento uno stronzo per averle causato quell’espressione triste sul viso. «Non volevo turbarti, tesoro». Lei scuote la testa e mi guarda con espressione addolorata. Deglutisce e prende un respiro profondo. È così facile da leggere e adesso l’unica cosa che proviene da lei è il dolore. Non mi piace. Non è ciò che ho colto in lei quando è entrata.
«Sono solo stanca», replica mentre le labbra si stirano in un sorriso triste. È una bugia. Potrebbe anche essere stanca, ma non è quello che la sta rodendo. Questo è il punto in cui di solito sposto la conversazione di nuovo sul mio uccello o me ne vado. Ma le cazzo di parole mi escono di bocca senza filtro e con preoccupazione. «Dimmi cosa succede», replico in modo imperioso. Più che chiedere pretendo una risposta perché non voglio darle la possibilità di non confidarsi con me. Voglio sapere. Una parte di me, malata e contorta, si sente come se potesse sistemare le cose.
Stringe gli occhi come se non volesse che ficchi il naso. Lo capisco, e a essere onesto sono sorpreso che la domanda mi sia uscita di bocca. Alla fine, risponde. «Non sono contenta delle scelte fatte a causa di alcune persone che non le apprezzano». La risposta è vaga, ma lei è invasa da un certo sollievo, come se fosse felice di essersi tolta un peso dallo stomaco. Abbastanza sorprendentemente, seguita a confidarsi.
«Continuo a far girare la vita intorno a mia madre, la quale sembra uscire solo con degli stronzi di merda che prendono, prendono e prendono fino a quando non si esaurisce. E poi corre da me quando non ha più nulla».
Il cuore mi fa dannatamente male per questa ragazza intelligente, bella e dolce. Eppure, sta soffrendo in questo modo a causa di sua madre? È davvero un peccato. «Perché lo fai?», le chiedo. Io di certo non lo farei. Non che Mamma mi metterebbe mai nella posizione di doverlo fare.
Lei scuote la testa e di punto in bianco le sue mura si innalzano. Le dita mi prudono dalla voglia di toccarla. Desidero alleviare quel velo di tristezza. In precedenza, non mi era mai successo di sentirmi così, come se potessi renderle la vita migliore. Come se volessi renderle la vita migliore. La cosa mi mette a disagio, ma non riesco a contrastarla, cazzo.
«Perché è mia madre». Mi rivolge un sorriso teso e allunga la mano per prendere il drink sul tavolo che non ho nemmeno visto arrivare. Almeno Brant è bravo a tenere un basso profilo.
Qui sono davvero fuori dal mio cavolo di elemento. Sono molto bravo a fare sesso e questo di sicuro non lo è.
Alzo le sopracciglia e prendo un profondo respiro. «Posso capire che tu voglia aiutare tua madre, credo». Dovrei darle un po’ di tempo per studiare e liberarsi dallo stato d’animo in cui si trova. «Vuoi che ti lasci in pace per studiare?».
Mi sento un idiota mentre pongo la domanda come una femminuccia. Preferirei che non sprecasse tempo a fare cose che la rendono infelice quando potrei piegarla a novanta e farla gemere per l’estasi. Dovrei soltanto trascinarla nella stanza sul retro e darle ciò di cui ha bisogno. Ho il cazzo così dannatamente duro per lei. Non prendo un culo da un bel po’ e un lembo di pelle nuda dei seni spunta dalla canotta schernendomi.
Ma se vuole seppellirsi nello studio per dimenticare tutta questa merda posso aspettare finché non finisce e assicurarmi che poi abbia ciò che desidera davvero. Inoltre, so che mi può leggere come il palmo della mano. È sveglia. Se ora faccio una mossa capirà le mie intenzioni e mi respingerà. Se le do questa possibilità, è più probabile che tra poco possa avere quel bel culo. Posso aspettare. Di solito non lo faccio, ma sono disposto almeno per un po’ a sopportare le palle blu.
«Sì, grazie. Mi dispiace essere così deprimente». Le parole grondano delusione e sarcasmo. Che cavolo significa? Mi sta scaricando? No, non succederà, cazzo. Sembro una cattiva compagnia, perché sono una cattiva compagnia. È davvero carino che pensi che passerò oltre e la lascerò lavorare dopo questa risposta saccente. Non sono quel tipo di uomo, però.
«Non mi piace come parli di te stessa», rispondo duramente con una punta d’ira nella voce, perché non mi piace davvero, cazzo. Come minimo ci vuole coraggio per essere onesti e sinceri in questo modo. Non dovrebbe mortificarsi. Non mi piace nemmeno il suo atteggiamento. Neanche un po’. Mi sta forzando.
Lei raddrizza le spalle e mi guarda dritto negli occhi. Parla con calma, ma la voce è salda. «Faccio quello che voglio». La sua audacia mi fa eccitare e desidero ardentemente ribaltarla proprio qui davanti a tutti e farle provare quel tipo di scopata dura di cui ha bisogno in questo momento. «E adesso vorrei studiare», aggiunge. Mentre il sangue mi ribolle e l’agitazione aumenta, lei digrigna i denti e mi volta le spalle congedandomi in modo efficace.
«Avresti proprio bisogno di uno sfogo, tesoro». Non riesco a trattenermi dal dirlo. Non dovrei. Dovrei lasciare che finisca di studiare e di sicuro non dovrei farmi coinvolgere nei suoi problemi. Ma il fatto che con me sia così brusca e sprezzante mi fa venire voglia di sculacciarla e scoparle la fica stretta. È così tesa, cazzo. «Una scopata veloce ti farà bene». Picchietto il bicchiere del drink con le dita. «Molto meglio di questo».
La osservo mentre si agita sulla panca. So che la sto eccitando. Mi vuole tanto quanto la voglio io.
Si morde il labbro e deglutisce rumorosamente prima di dire: «Almeno adesso stai mettendo le cose in chiaro. Sapevo che volevi solo scoparmi». La voce alla fine le si incrina e tradisce la sua convinzione. Mi piace, cazzo. Dannazione, è così innocente. Scommetto che in precedenza l’ha fatto solo nella posizione del missionario con qualche ragazzo nerd e conservatore. Non è mai stata scopata come una donna merita di essere scopata. Cerca di negare il suo desiderio spostando il libro più vicino al bordo del tavolo e fingendo di ignorarmi. Questa cosa non succederà. Sono duro e ne abbiamo bisogno entrambi, le chiudo il libro e aspetto che mi guardi. «Perché sei così stronzo?», sbotta. Reprimo un sorriso.
«Perché continui a negare te stessa. Fai un favore a entrambi e smettila di cercare di respingermi». Non capisco la sua rabbia, ma almeno è qualcosa su cui posso lavorare. Occorre passione per essere arrabbiati, quindi farò in modo che accada, cazzo. «Mi perdonerai quando affonderò nella tua fica stretta fino in fondo. Ne hai bisogno tesoro, smettila di dire cazzate e lascia che mi prenda cura di te».
Il respiro le accelera. «Ne ho bisogno?». Sbotta in una risata priva di umorismo. «Ho bisogno solo che tu smetta di molestarmi».
«Tesoro, non ho mai visto nessuno che necessita di una buona scopata tanto quanto te. Dimmi che non mi vuoi. Se riesci a guardarmi negli occhi e dirmi di andarmene, lo farò. Croce sul cuore, cavolo». Mi piego in avanti sfidandola a rimproverarmi. So che mi vuole così come so che ha bisogno di tutto questo. Spero solo che non mi deluda. Mentre mi fissa negli occhi in cerca di qualcosa, una sensazione sgradevole mi si annida nel petto. Farà meglio a non respingermi.
«Chi ti credi di essere?». Sta ancora giocando a fare l’offesa, ma so che lo vuole. «Non sono una puttana». Quelle parole mi fanno stringere i denti. Non mi piacciono. Prima deprimente e poi puttana. Non parla proprio bene di se stessa.
«Non l’ho mai detto, tesoro, e non l’ho mai pensato neanche per una volta. Quindi, mi stai dicendo che te ne vai o che sei pronta a venire via con me?». Lei distoglie lo sguardo e guarda il computer.
Risponde con gli occhi ancora puntati sullo schermo. «Non ho la macchina». Le parole ansimanti mi riempiono di una profonda soddisfazione. Il mio tesoro è proprio dove lo voglio.
«Non ne hai bisogno. Possiamo andare sul retro». Mi guarda a bocca aperta per la sorpresa, ma poi spalanca gli occhi per la rabbia. «Rilassati tesoro, questo posto appartiene alla mia famiglia. Nessuno ci darà fastidio qua». Le si infiammano le guance e gira la testa dall’altra parte. Merda, è imbarazzata. Forse pensa che lo faccio sempre, ma non è così. Non ho mai scopato nessuna qua ma, cazzo, ho bisogno di entrare dentro di lei il più presto possibile. È così dannatamente indecisa che non posso darle la possibilità di cambiare idea.
«Nessuno lo saprà». Le dico mentre la vedo dibattere internamente su quello che dovrebbe fare. Dovrebbe permettermi di aiutarla ad alleggerire la tensione. Ecco cosa dovrebbe fare.
«Okay». Un bisogno primario accompagna quella parola disperata. Si alza e inizia a mettere via la sua roba, ma appoggio la mano sulla sua per fermarla.
«Faccio io, tesoro». Infilo le sue cose nella borsa il più in fretta possibile e con una mano afferro i manici. Con l’altra la prendo per mano e l’attiro più vicina a me accompagnandola sul retro. Durante il tragitto non mi guardo intorno e sono contento che non lo faccia neanche lei. I ragazzi possono anche vedere, ma non sanno con certezza cosa sto pensando di fare. E anche se lo sapessero, farebbero meglio a non dirle una dannata parola. Non voglio che si penta.