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2032 Parole
1 Era quasi mezzanotte e Alex Parker sedeva al buio. Edgar Paul Meacher se n’era andato tre ore prima alla guida del furgoncino bianco che utilizzava esclusivamente per un unico scopo. Avrebbe scambiato le targhe lungo qualche stradina solitaria, prima di proseguire nella sua piccola battuta di caccia personale. Alex aveva ispezionato il casolare e trovato abbastanza prove che confermavano che quel tizio era il loro uomo, ma nient’altro che potesse interessarlo. La sua sedia era nell’ombra, posizionata in direzione della porta. Il rumore di un motore rombò nel vialetto. Non era nervoso. Aveva smesso di essere nervoso dal suo primo incarico nel duemilacinque. Il casolare si trovava a circa due chilometri dalla cittadina di Fleet, in North Carolina; i muri erano impregnati dell’odore di zolfo di cavoli andati a male, proveniente dai campi che circondavano la proprietà. Nessun vicino nei dintorni che potesse assistere ai party selvaggi che si tenevano nella residenza di Meacher. E nessun passante che potesse sentire le urla. La cosa andava bene anche per Alex. Picchiettò il dito contro il freddo metallo della sua semiautomatica SIG SAUER P229 dotata di canna filettata 9mm e silenziatore, ascoltò il suono di una porta che si chiudeva e di un’altra che si apriva. Un grugnito da sforzo, come se qualcosa di pesante venisse trascinato e sollevato. La porta sul retro si aprì. Alex puntò la pistola, pronto a metter fine a tutto ciò in quel preciso istante. Ma Meacher proseguì dritto verso il seminterrato, accecato dall’eccitazione di scartare quell’ultimo regalo avvolto in una vecchia coperta sporca. Alex si alzò in piedi. Avanzò silenziosamente sui pavimenti secolari dell’edificio e scivolò lungo le scale come un fantasma. Il seminterrato era buio e polveroso, il vago odore di decomposizione aleggiava nell’aria. Classico covo da serial killer. Un’unica lampadina illuminava l’angolo in cui era sistemata una brandina, comoda e confortevole, tranne che per lo spesso telo di plastica che l’avvolgeva. Il pavimento e le pareti erano dipinte di grigio, con alcuni sprazzi di vernice color ruggine. Solo che non si trattava di vernice. Era sangue. Il sangue di vittime che avevano dai diciannove ai trentacinque anni. Donne la cui unica colpa era di essere entrate nel campo visivo di Meacher. Dieci erano quelle di cui l’FBI era a conoscenza; molte di più quelle di cui le autorità non sapevano niente. Non ancora. C’era un canale di scolo posizionato in modo strategico in mezzo al pavimento. Un secchio, un tubo di gomma e alcuni grossi flaconi di candeggina, ovviamente acquistati all’ingrosso. Diversi rotoli di plastica erano appoggiati alle pareti e pile di nastro adesivo erano ammassate di fianco alla caldaia. Esperto e pragmatico, questo tizio era un professionista nell’uccidere. Come Alex. Meacher era impegnato ad assicurare la sua ultima vittima al letto. Le manette erano in bella mostra, pronte all’uso e in attesa della prossima fortunata destinataria. Il pezzo di merda – un insegnante di matematica del liceo locale – di solito teneva le donne in vita per circa una settimana, prima di mettere fine alla loro agonia. Alex allontanò dalla mente il pensiero delle vittime passate. Ormai erano morte e sepolte, e pensare a loro non faceva che aggiungere altri incubi a quelli con cui già conviveva. Meacher fece scattare le manette, richiudendole strettamente intorno ai polsi della donna: il rumore metallico risuonò forte nella quiete mortale del seminterrato. Il fatto che fosse immobilizzata era perfetto per Alex, così lasciò che Meacher terminasse l’opera. Non voleva che lei avesse la possibilità di muoversi. Non voleva che finisse nella linea di tiro. L’uomo non si voltò mai, non distolse mai lo sguardo dalla brunetta. Si sarebbe potuto pensare che una persona abituata a dare la caccia a una preda potesse percepire la presenza di un altro predatore nella propria tana. È ovvio che non sia così. Meacher si leccò le labbra e strappò la camicetta della donna. I bottoni tintinnarono spargendosi sul pavimento. La repulsione di Alex nei confronti dell’uomo cresceva ad ogni atto deprecabile che questi commetteva. «Edgar» sussurrò dolcemente. Meacher si voltò; le sue labbra formarono un cerchio per la sorpresa quando intravide Alex sulle scale. L’uomo non ebbe il tempo di scappare o combattere mentre Alex gli disegnava un altro cerchio tra agli occhi. Doppio colpo. Il cosiddetto “Rapitore” crollò a terra, troppo morto per dissanguarsi. Nonostante il silenziatore, il rumore dello sparo fece pulsare le orecchie di Alex, ma lui ignorò il fastidio. Soffriva di emicranie da quando era finito in una prigione del Marocco, ma era stato fortunato a uscirne vivo e aveva cominciato a considerare quei mal di testa come parte della sua pena. Questa era l’altra parte. Raccolse entrambi i bossoli con un fazzoletto e li ripose in un astuccio di silicone che si era fatto costruire su misura. Rimosse il silenziatore e fece scivolare la SIG nella fondina a spalla. Poi si diresse verso il punto in cui l’ultima vittima del Rapitore giaceva legata alla brandina. La testa della donna ciondolava da una parte all’altra mentre gli effetti della ketamina, la droga scelta da Meacher per i rapimenti, andavano dissipandosi. Per quanto Alex volesse toglierle le manette e liberarla, la vibrazione che sentì nella tasca gli disse che era ora di andarsene. I cavalieri dalla splendente armatura stavano per fare irruzione nel seminterrato. Le toccò i capelli e le parlò con dolcezza. «I federali stanno arrivando. Andrà tutto bene.» Un attimo dopo era fuori dal casolare, dissolto nell’oscurità mentre alcuni veicoli procedevano a forte velocità nelle strade circostanti. Una volta, l’FBI aveva stimato che ci fossero all’incirca duecentocinquanta serial killer attivi negli Stati Uniti in ogni momento. Il lavoro di Alex era di ridurre quel numero, un bastardo assassino alla volta. * * * L’agente speciale dell’FBI Mallory Rooney si accovacciò tra i suoi colleghi e gli agenti delle forze dell’ordine tenendo la Glock 22 d’ordinanza contro la coscia – colpo in canna, dito lontano dal grilletto. Aveva il TASER allacciato alla cintura e la Glock 21 di riserva fissata alla caviglia. Il pesante giubbotto antiproiettile la riparava un po’ dal freddo di novembre e l’adrenalina faceva il resto. La testa le pulsava a causa di una precedente colluttazione, ma un paio di compresse di un antidolorifico potente e un trucco esperto avevano mascherato il problema abbastanza da permetterle di unirsi alla squadra. Col cavolo che si sarebbe persa tutto questo perché un teppistello di una g**g aveva pensato bene di colpirla in faccia. La SWAT era impegnata a Charlotte in un altro salvataggio di ostaggi, dove la situazione stava precipitando velocemente. Se avesse detto che la cosa le dispiaceva, sarebbe stata una bugia, dato che ora aveva l’opportunità di partecipare in prima persona all’operazione. C’erano alcuni agenti con grandissima esperienza e con loro poliziotti della zona. Gli uomini dello sceriffo presidiavano il perimetro. Era l’unica agente al primo incarico nella squadra. Due umiliazioni in un giorno solo avrebbero potuto essere un record per una recluta. Il sudore le gocciolava lungo la schiena in una striscia fredda. Il cuore prese a martellarle nel petto, ma continuò a respirare regolarmente, costringendo così le pulsazioni a calmarsi. Si era esercitata per questo tipo di situazione almeno un milione di volte; aveva anche spaccato diversi culi giocando a Hogan’s Alley. Ma dare la caccia a un serial killer che aveva macellato almeno una decina di donne non le permetteva di scacciare del tutto quel piccolo brivido di paura che teneva i suoi nervi tesi. Di certo non avrebbe mostrato agli altri agenti quella debolezza. O la fiera determinazione che le scorreva nelle vene di acciuffare questo tizio, qualunque fosse il prezzo personale da pagare. Fingiti disinvolta. Porta a termine il lavoro. Si sfregò furtivamente il palmo sinistro sulla gamba dei pantaloni neri, tutti i sensi in allerta per ciò che stava succedendo dietro le porte del casolare dimesso. Era così vicina all’agente che le stava davanti che poteva sentire l’odore del detersivo della sua biancheria. Il suo migliore amico e mentore, l’Agente Speciale Lucas Randall, si rannicchiò dietro di lei. Doveva aver avvertito l’odore dell’inquietudine che nessun deodorante riusciva a coprire. Altri quattro agenti delle forze dell’ordine imitarono i loro movimenti di fronte all’edificio. Avevano studiato le planimetrie e conoscevano la struttura base del casolare. Lei e Lucas si sarebbero occupati del seminterrato, mentre due poliziotti locali coprivano le controporte. Le porte esterne e le serrature erano un bel casino ma, nel caso, avevano un agente con un ariete pronto a sfondarle. Mallory non si mosse. Invece, si concentrò. Stavano aspettando il segnale per entrare nella casa del sospetto serial killer, Edgar P. Meacher. Soprannominato il “Rapitore” dai media, quest’uomo era riuscito a sfuggire alle autorità per quattro lunghi anni, aggredendo le vittime non solo per strada, ma anche nelle loro case, instillando il terrore nel cuore di ogni donna del North e South Carolina e degli stati limitrofi. Mallory capiva quella paura viscerale meglio della maggior parte della gente. Vi aveva convissuto ogni giorno negli ultimi diciotto anni. Tutta la sua vita ruotava intorno alla domanda: perché qualcuno aveva preso sua sorella e non lei? Cos’era a determinare che una persona fosse una preda e un’altra fosse al sicuro? I cattivi come sceglievano le loro vittime? Ma in quel momento non aveva tempo di pensarci. L’Unità di Analisi Comportamentale del Bureau – che faceva parte del Centro Nazionale per l’Analisi dei Crimini Violenti – con base a Quantico, in Virginia, aveva sviluppato un sofisticato profilo del Rapitore. Questo tizio, Meacher, vi corrispondeva perfettamente. Una soffiata anonima era arrivata tramite una telefonata ai loro uffici, proprio nel momento in cui Mallory aveva terminato di compilare il rapporto riguardo agli arresti della mattina. Un cittadino l’aveva informata che l’uomo che stavano cercando era un certo Edgar Paul Meacher di Fleet, in North Carolina. Ciò non significava che Meacher fosse il loro uomo, ma una donna che corrispondeva al profilo delle vittime ideali di quel Soggetto Ignoto era stata rapita poco prima e loro non avevano certo il tempo di starsene seduti a discutere su quale fosse il miglior approccio all’azione. Sarebbero entrati. Non avevano scelta. Le dita di Mallory strinsero la presa sulla pistola. Attraverso la radio, l’Agente Speciale Supervisore Petra Danbridge diede loro l’ordine di entrare. Un’ondata di adrenalina prese a scorrerle nelle vene. L’agente preposto sfondò la porta con l’ariete e dopo il forte schianto tutti irruppero all’interno. La velocità era essenziale, dato che l’opzione segretezza era stata bruciata quando avevano sfondato la porta. Mallory e Lucas presero le scale che portavano al seminterrato. Il sudore le imperlava la fronte, nonostante l’aria fredda che risaliva dalla tromba delle scale. Avvertì l’odore del sangue e una debole eco di morte. Si preparò mentalmente per ciò che l’attendeva. E nonostante tutto, rimase comunque scioccata. Meacher giaceva in una piccola pozza del suo stesso sangue. Nessun’arma in vista. «Soggetto a terra, nel seminterrato!» urlò lei. Sopra le loro teste, il rumore forte di passi, mentre la casa veniva perquisita in maniera sistematica. Lei e Lucas si avvicinarono cautamente alla figura prona che mostrava un foro di proiettile grosso come una moneta da un centesimo proprio in mezzo agli occhi. Mallory osservò ancora più da vicino. In realtà i fori di proiettile erano due, così vicini l’uno all’altro da essere quasi indistinguibili. Chiunque avesse ucciso quell’uomo, o era stato molto fortunato, oppure era un cecchino con le palle. Tenne la pistola puntata contro il sospettato, mentre Lucas si chinava verso Meacher e controllava se ci fossero pulsazioni. Lo sguardo di Mallory si spostò brevemente sulla vittima, che giaceva del tutto immobile sul letto. Era Janelle Ebert, la donna di cui era stata denunciata la scomparsa. Era viva, o erano arrivati troppo tardi? «È morto» confermò Lucas. Mallory raggiunse immediatamente la donna e le toccò il collo con due dita, cercando segni di vita. Un’enorme ondata di sollievo la investì quando sentì la pelle calda e il battito forte alla base della gola. «È viva. Non vedo alcuna ferita evidente.» La sua voce si spezzò e lei incespicò nei suoi stessi incubi. Ricacciali via, Mal. Osservò le manette. «È anche ammanettata. Chi diavolo ha sparato a Meacher?» Tornarono in stato di massima allerta e lei e Lucas si mossero in tandem per mettere in sicurezza il resto del seminterrato. Non era grande. C’era un enorme freezer verticale: Mallory avrebbe potuto aspettare anche tutta la vita per ispezionare quel coso. Sulla destra, alcuni scalini portavano alle controporte. C’era anche un piccolo stanzino ricavato nell’angolo, con la porta ben chiusa. Una caldaia si mise in moto all’improvviso, facendoli sobbalzare entrambi. Lei e Lucas si scambiarono un’occhiata, annuirono in una specie di conversazione silenziosa e si posizionarono su ciascun lato della porta che dava sullo stanzino. Lucas abbassò la maniglia e tirò verso l’esterno. Mallory entrò furtivamente, ma non c’era nessuno là dentro.
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