Il fanciullo cresceva delicato, pieno d’intelligenza, d’amore, di timidezza, ma non aveva compiuto ancora i due anni, quando perdette la madre… al letto di morte di lei, lo zio le aveva promesso di tenere il fanciullo con sé, e di avviarlo più tardi al sacerdozio.
La Beppa gli consegnò una busta, che egli doveva dare al nipote quando fosse in età da comprendere, e che conteneva la confessione della disgraziata.
- Sì; - aveva detto la misera madre – io non debbo nascondere la verità a mio figlio, perché egli solo, dovrà giudicarmi. Ed in questo supremo momento perdono a suo padre, e prego il Signore che gli usi misericordia.
Il curato aveva mantenuta la promessa, ma non poté effettuare interamente il suo desiderio di compiere l’educazione di Paolo, perché un morbo crudele, contratto nell’assistere un infermo, l’aveva spento quando il nipote non aveva più di quattordici anni.
E Paolo si era trovato solo al mondo, costretto ad andare in cerca di lavoro per guadagnarsi la vita, con una funesta e terribile memoria di sacrifici e di bontà, il delitto del padre…
IV
Tutto ciò aveva raccontato semplicemente Paolo al suo benefattore, generale Cherinton, che in apparenza non pareva così commosso, conturbato, come effettivamente lo era, e non l’aveva interrotto mai.
Solo quando il giovane ebbe finito, in attesa della sua sentenza, temendo con quel racconto di essersi alienato l’animo del gentiluomo, ma sollevato al tempo stesso per aver compiuto il proprio dovere e per aver detta la verità, il vecchio gli stese, con un gesto nobilissimo, la mano.
- I delitti dei padri non debbono ricadere sui figli, - disse. – Voi siete un giovane onesto, Paolo, come vostra madre è stata una santa donna: essa può riposare tranquilla nella sua tomba, perché a voi non mancherà, d’ora innanzi, più nulla. Io ho appunto bisogno di un cuore semplice e fidato vicino a me, di un giovane a cui poter confidarmi, e che sappia comprendermi; credo di averlo trovato in voi, Paolo; volete venire con me? Sarete il mio segretario, il mio giovane amico… ed il segreto della vostra nascita sarà seppellito con coloro che vi hanno dato la vita.
Paolo credeva di sognare: piangeva e rideva al tempo stesso. La sua bellezza morale gli nobilitava le fattezze, aggiungeva grazia ai suoi gesti, alle sue parole commoventi.
- Oh! generale, sarebbe mai possibile? Ho capito bene?... Mi accogliete presso di voi, benché sia un misero operaio… un povero bastardo…, Dio solo può ricompensarvi del bene che mi fate, e la mia vita è vostra… tutta vostra… Potete chiedermi a goccia a goccia il mio sangue… io ve lo darò…
Ciò detto gli cadde dinanzi in ginocchio.
Ma Ulrico lo sollevò fra le braccia e lo strinse al petto, baciandolo come fosse suo figlio…
- Bando alle commozioni, che vi fanno male, - disse. – Andiamo.
- Come, mi conducete via con voi?
- Sono venuto apposta per prendervi: c’è abbasso la carrozza che ci aspetta.
Paolo credeva di sognare. Ringraziò macchinalmente i medici, le suore, gl’infermieri, che si erano affollati attorno a lui, volevano salutarlo, stringergli la mano. Salì in carrozza come rapito, pazzo di gioia e di felicità, che non avrebbe saputo esprimere a parole. Come gli parevano belle le strade che percorreva accanto al vecchio signore, in quell’ora del tramonto, così deliziosa!...
Di quando in quando, Ulrico gli chiedeva:
- Avete freddo? Volete che faccia chiudere il landò?
- No… generale… sto benissimo.
- Siete contento di venire con me?
- Sono troppo felice!..
Arrivarono nel viale, ed Ulrico mostrò al giovane il luogo nel quale era caduto vittima del suo eroico slancio.
Paolo arrossì vivamente.
- Oh! è stata una gran fortuna per me, - disse – perché a quella sventura debbo la gioia presente; Dio sa quello che fa!
- E fa sempre bene, - aggiunse con gravità il gentiluomo – anche quando a noi pare che non sia giusto.
No appena la carrozza si fermò dinanzi alla villa Fata, il cuore di Paolo batté con violenza, e il suo volto divenne pallidissimo.
Egli stava per trovarsi vicino a quella fanciulla divina, che era il suo primo sogno d’amore, ma di un amore puro, ideale, di cui neanche un angelo avrebbe potuto offendersi, e che sarebbe rimasto sempre chiuso nel suo cuore, come in una tomba.
Paolo non chiedeva nulla da quell’amore: nulla!
Ma la vita della fanciulla lo avrebbe avvolto in un’atmosfera gioconda e pura.
Lo staffiere aveva aperto rispettosamente lo sportello della carrozza; Paolo scese per il primo a terra e si volse per porgere la mano al gentiluomo.
Questi sorrise.
- Mio giovane amico, - disse, mentre entravano nel vestibolo dell’elegante palazzina – ora siete voi, che avete bisogno di aiuto e di appoggio, perché non vi trovate perfettamente stabilito.
- Oh! signore, non sono mai stato così bene in vita mia!...
S’interruppe: alzando gli occhi, aveva scorta una bionda visione, che volava giù per le scale. Era Adriana. Ella si gettò al collo del vecchio, gridando con voce argentina, in puro accento italiano:
- Oh! papà, papà, finalmente sei qui.
- Sì, Adriana mia; ti ho condotto il nostro salvatore guarito, ed egli non ci lascerà più.
- Oh!, quanto sei buono, papà!
E volgendo con adorabile espressione il suo angelico viso verso il giovane, mentre gli tendeva la mano, gli disse:
- Sono felice di vedervi, e sapere che farete parte della nostra piccola famiglia: Io non dimentico quanto vi debbo, evi considero, fin d’ora, come un fratello.
- Oh, signorina…
Egli non poté pronunziare altra parola, tanto era commosso; ma la sua commozione non passò inosservata alla fanciulla, che la trovò più eloquente di qualsiasi ringraziamento.
I domestici, già prevenuti dell’arrivo del giovane, consapevoli del suo atto di eroismo e della parte che stava per assumere presso il generale, gli fecero u’accoglienza non solo rispettosa, ma quasi entusiastica.
Paolo si accorse appena di tutto il lusso che lo circondava, tanto era inebriato. Ulrico condusse egli stesso il giovane nel piccolo appartamento che gli aveva destinato. Era accanto al suo, e le vetrate si aprivano sopra una loggia, circondata da tralci di rose, lillà, tuberose; pareva un angolo di paradiso.
L’appartamento era composto di una camera da letto, di un salotto da uno studio e di uno spogliatoio.
Nel salotto da studio, v’era una biblioteca composta di libri italiani e stranieri.
- Io spero di avervi accontentato, - disse sorridendo Ulrico – del resto ho un’altra biblioteca più copiosa, in cui potrete attingere a vostro piacimento. In questa stanza, non disturbato da alcun rumore, potrete riprendere i vostri studi preferiti, perché il lavoro che io vi darò, come mio segretario, non sarà né molto, né di premura. Io voglio che non vi stanchiate troppo, e che siate felice…
- Come potrei non esserlo signore? – balbettò Paolo, non sapendo più come esprimere la sua riconoscenza.
Quella notte dormì poco, oppresso da tante e diverse emozioni, credendosi sempre in preda ad un sogno, dal quale temeva di venire svegliato.
Nei primi giorni, Paolo si mostrò invero molto confuso nella nuova dimora; ma rinfrancato dall’amabile espansione, dalla cordialità del generale e della figliuola, sentì come ravvivarglisi il sangue nelle vene, dileguare la tristezza, che prima non l’aveva mai abbandonato; tornò semplice, fiducioso, lieto, e poté dimostrare tutta la cultura del suo spirito, le delicate emozioni del suo cuore. Ulrico Cherinton gioiva a quel risveglio, comprendendo come egli e sua figlia avessero rotto l’incanto perverso, che fino allora aveva tenuto avvinto il giovane, il quale rinasceva nuovamente alla vita
Paolo, vicino ad Adriana, testimonio della tenerezza della fanciulla per il padre, della sua grazia, intelligenza e bontà, l’adorava ogni giorno di più. Ma la sua adorazione, pura come quella degli angeli, non aveva altro ideale che la felicità della giovinetta, che non ne poteva certo rimanere offesa, perché non l’avrebbe mai conosciuta.
Una sera Adriana si era ritirata in camera sua, e Ulrico era ancora in giardino con paolo, fumando una sigaretta, quando il gentiluomo, che ormai trattava familiarmente il giovane, gli chiese:
- Che ne pensi della mia Adriana?
Paolo sentì battersi con violenza il cuore, ma ripose calmo:
- Penso che non vi può essere sulla terra una fanciulla più bella, più buona, e che meriti di essere più felice di lei.
- Hai ragione Paolo; per questo temo per il suo avvenire, e non vorrei chiudere gli occhi prima di vederla moglie di un uomo degno di possederla.
Paolo sentì mancarsi il respiro: il generale proseguì:
- La prima scelta di una fanciulla, spesso decide di tutta la sua esistenza, ed io non vorrei che la mia Adriana scegliesse male…
Paolo mormorò:
- È così bambina ancora, ed io sono persuaso che il suo vergine cuore non prova altro affetto che quello per suo padre…
Ulrico sospirò:
- Perché non ha ancora incontrato l’uomo che risponda ai suoi ideali, ma verrà, pur troppo, il giorno in cui la fulgida divinazione di un amore molto diverso da quello che prova per me, conquisterà intera la sua anima, me la toglierà per sempre. Quella fulgida divinazione, la provai anch’io il giorno in cui m’incontrai con la mia Fata…, che amai come mai donna al mondo fu amata… ella è stata la madre della mia Adriana, ed a lei prometto, ogni notte di spendere la mia vita per rendere nostra figlia felice. Ma raggiungerò questa mia speranza?
La voce del vecchio si era fatta commossa, e sotto il suo bel volto pallido si leggeva una di quelle energie sovrumane che sostengono un padre finché la figlia ha bisogno di lui.
- Oh1 sì, la raggiungerete, esclamò con voce grave Paolo.
- Speriamolo figliuolo mio, tuttavia in alcuni istanti vengo assalito da neri presentimenti, mi sembra che io debba morire, senza aver raggiunto il mio intento… Ascoltami, Paolo: io ho fede nel tuo cuore e nella tua devozione per me e per mia figlia. Promettimi che, se io venissi a mancare, tu veglieresti su di lei come un fratello…
Il volto del gentiluomo, pronunziando queste parole, aveva un’espressione di affannosa mestizia, mentre gli occhi di Paolo si empivano di lacrime.
- Voi vivrete a lungo, generale, per vedere felici anche i figli di vostra figlia – balbettò – ma se Dio avesse disposto altrimenti, vi giuro che veglierò sulla signorina Adriana, pronto a versar tutto il mio sangue per risparmiarle una lacrima ed un dolore…
- Grazie, figlio mio, il tuo giuramento mi rende tranquillo. Così Adriana avrà vicino un altro cuore devoto, disposto a sacrificarsi per la sua felicità…
- Potete contarci, generale.
Quel colloquio fece su Paolo una forte impressione: gli produsse un senso così acuto, invincibile di pena, che lo rese triste per qualche giorno.
Per la prima volta, pensò che la fanciulla potesse amare un altro in modo diverso da quello che amava lui ed il padre.
Ella aveva diciott’anni; e sebbene l’innocenza trasparisse da ogni suo sguardo, da ogni parola, pure poteva bastare un incontro, lo sguardo di un incognito, per cambiare tutta la sua vita.
Adriana si era accorta dell’adorazione di Paolo, ma quell’adorazione non la turbava più di quella di suo padre, non le toglieva il sorriso dalle labbra, la serenità degli sguardi.
Ella considerava il giovane come un amico, come un fratello, e Paolo sarebbe stato degno di lei col suo silenzio, col sacrificio di tutto se stesso. No, giammai la fanciulla avrebbe letto il vero nel suo cuore, nell’anima sua!
Paolo si contentava di raccogliere, di nascondere, di baciare, come tante reliquie, i fiori che essa, sfogliava con le sue manine, o che gettava dal balcone, ridente come se fosse stata una bimba!
Intanto i giorni trascorrevano; venne l’inverno, ed Adriana doveva fare in quell’anno il suo ingresso in società!
V
In una delle più splendide ville che sorgono sul declivio degli stupendi colli che circondano Firenze, aveva preso dimora una signora inglese, che dicevano miliardaria.
Lady Norland era un tipo oltremodo eccentrico, originale, che sfogava in opere di carità, o in feste regali, il dispiacere sofferto per la morte del marito, i cui gusti erano stati uniformi ai suoi, e col quale aveva vissuto in pace più di trent’anni. Lady Norland non toccava ancora la cinquantina, ma ne dimostrava di più, tanto era sottile, sparuta, grinzosa, coi capelli radi e grigi; però conservava la vivacità degli occhi cerulei e dei denti bianchi e sani, che il labbro superiore di lei, un po’ sporgente, scopriva ad ogni istante.
Di lady Norland si raccontavano mille aneddoti straordinari, fra cui quello che in un giorno rigidissimo d’inverno, incontrata una povera donna che tremava dal freddo, con un bimbo in braccio, in una delle vie più frequentate della città, non trovandosi quattrini in tasca, le aveva gettato sulle spalle il proprio mantello di pelliccia, che costava diecimila lire, e si era subito eclissata, salendo in una carrozza che passava di là per caso. Un’altra volta, sempre volendo fare la carità ad un povero vecchio e trovandosi vuota la borsa, gli regalò uno stupendo mazzo di orchidee, acquistato allora allora nello stabilimento Scarlatti e che costava duecento lire, dicendogli: “Vendetelo!”