Capitolo I-V-3

2005 Parole
Senza rispondere, Paolo si nascose la faccia fra le mani, ed un singhiozzo ferì gli orecchi di Ulrico. - Voi piangete, - soggiunse questi con dolcezza. – Vi è dunque qualche cosa di grave nella vostra vita o in quella dei vostri, che vi rechi affanno e non osate rivelarmi? Paolo scoperse il viso bagnato di lacrime, rispondendo: - Sì, generale, avete indovinato: io debbo la mia esistenza ad un delitto: volete saperlo? - Lo voglio, perché comprendo che di un tale delitto, non siete responsabile: narrate. III “A circa un chilometro di distanza da un ameno paesello della Toscana, al di là di un antico cimitero ormai chiuso ed abbandonato, perché minacciava rovina, a cagione di alcuni smottamenti di terreno, vivevano in un povero casolare, ventidue anni prima, madre e figlia, le quali traevano il loro sostentamento dai lavori di paglia, che eseguivano per conto di un commerciante del paese. Beppa la Bigherinaia, così chiamavano per soprannome la ragazza, era la più bella, come la più virtuosa dei dintorni. Essa non viveva che per la madre, la quale, dalla morte del marito, che aveva amato di grandissimo affetto, non era più stata in salute e trascinava a stento la vita, fra letto e lettuccio, lamentandosi sempre, indifferente ai conforti della figlia, alle sue premure, alle sue carezze. Ma la Beppa non si arrabbiava per questo. Lavoratrice instancabile, sempre serena, sempre servizievole, era l’angelo di quel triste focolare. Sapeva d’esser bella, ma non ci teneva affatto; non era punto civetta, e se qualche giovinetto del paese cercava di farle la corte, lo metteva presto a posto. - Sono troppo povera, - diceva – per pensare a prendere marito, e mettere al mondo dei disgraziati. Le mie braccia mi servono appena, perché io e la mamma non si muoia di fame. In quanto poi a fare all’amore, è tutto tempo perso per me, ed io non voglio, dover rendere conto a Dio del tempo perduto. Una sera d’autunno, l’inferma aspettava la sua figliuola che tornasse dal paese, ove era andata a riportare un lavoro, del quale il commerciante aveva premura. La sera era triste e pioveva: l’inferma seduta accanto al fuoco, al chiarore di una lucernina d’ottone, recitava a bassa voce il rosario, facendo scorrere tra le dita tremanti i grani della corona. La Beppa le aveva preparata la cena prima di uscire, ma la madre non si sentiva volontà di mangiare. Le ore passavano, la ragazza non si vedeva. - Eppure a quest’ora dovrebbe esser tornata, - borbottava la vecchia fra una posta e l’altra del rosario. – Che si trattiene a fare? Già le ragazze sono tutte le stesse: quando cominciano a chiacchierare non la finiscono più, e alla Beppa la lingua sta bene in bocca… Ma dovrebbe pensare che io sono qui che aspetto e senza lei non ceno. Che potrei sentirmi male ad un tratto e non ho un cane per soccorrermi… Noi preghiamo per i poveri morti, Gesù Cristo li conforti… - pregava la donna. E poi continuava: - Quando torna voglio farmi sentire; già, che le importa? Dirà che la colpa è mia… perché non mi sono voluta decidere di andar a stare in paese… ma Beppa lo farà alla mia morte, che non potrà tardare; adesso no,… in questa casa ha chiuso gli occhi il mio uomo e li chiuderò anch’io… Requiem eterna, dona ei domine. Così, alternando la preghiera coi borbottamenti, cercava di calmare la sua inquietudine, che si faceva sempre più viva, a mano a mano che le ore scorrevano, quando un passo precipitoso al di fuori la scosse, le fece sollevare bruscamente il capo. - Ah! eccola! – disse – ora mi sentirà… La chiave girò nell’uscio, che si aprì con violenza, ma quando la Beppa fu entrata, la madre rimase a bocca aperta, senza pronunziare una parola, fissando con spavento la figlia, che quasi non riconosceva più. La giovane aveva il viso stravolto, le chiome scarmigliate, gli abiti a brandelli, le mani macchiate di sangue, il respiro anelante, soffocato. - Sono io, - disse con voce alterata, strana, lasciandosi cadere quasi di schianto sopra una seggiola – eccomi qui… La vecchia ritrovò la parola. - Da dove vieni, mio Dio. Che ti è successo? Cos’è quel sangue?... La Beppa per alcuni minuti non poté rispondere: tremava, era divenuta pallidissima, e chiuse gli occhi come se svenisse. Lo spavento della madre fu al colmo; si alzò barcollando, andò alla madia, prese un bicchierino, lo empì di vino vecchio, ch’era riserbato a lei, ed avvicinatasi alla figlia: - Bevi, Beppa, - le disse quasi piangendo- ti rimetterai… La giovane riaprì gli occhi, guardò sua madre ed obbedì macchinalmente. L’effetto fu istantaneo: il colore ritornò sulle sue guance, e la Beppa parve riacquistare coi sensi, la propria energia. - Basta, sto bene,… grazie, - disse. La vecchia posò il bicchierino sulla tavola, e sedutasi di nuovo: - Ora, per l’amor di Dio, dimmi, figliuola, che ti è accaduto?... La Beppa si scosse, ebbe un gesto quasi violento; i capelli, le cadevano scarmigliati sulla fronte, e pronunziò con voce cupa, ma ferma: - È accaduto, che ho ucciso un uomo… perché mi ha violentata… E tutta di un colpo, raccontò l’orribile scena. Era da lungo tempo che un certo Capaldi, detto il Biondo, un manesco, un prepotente del paese, uno di quegli uomini che hanno fatto tutti i mestieri senza impararne alcuno, capace di qualsiasi bassezza, come di qualsiasi delitto, le teneva dietro, esortandola a dargli retta, a divenire la sua amante. Ed essa l’aveva sempre respinto con disprezzo… Ma quel miserabile giurava che l’avrebbe avuta a qualsiasi costo. Già una volta l’aveva pedinata, mentre tornava dal paese sul far della notte. Ed è per questo che avrebbe desiderato di non essere costretta tanto spesso a dover percorrere quella strada solitaria, specialmente nei pressi del camposanto, di dove essa, malgrado il suo coraggio, non poteva passare senza essere colta da un fremito di spavento. Quella volta aveva potuto sfuggirgli, perché mentre il Biondo stava per afferrarla, si erano sentite delle voci, dei passi di persone, e perciò poté svincolarsi da lui, gridandogli: - Vigliacco! Ed egli aveva risposto: - Me la pagherai! Era passato quasi un mese, e la Beppa, non avendolo più riveduto e avendo sentito dire in paese che il Biondo, immischiato in certi affari loschi, per non andare in carcere si era fatto uccel di bosco, non ci aveva pensato più. E quella sera, mentre tornava casa, rabbrividendo sotto la minutissima pioggia, provando un senso strano di freddo, di paura, perché non v’era un’anima viva per la strada, proprio dietro le mura del camposanto, nel punto più deserto, aveva visto drizzarsi ad un tratto dinanzi a sé il Biondo, con un coltello in mano, che le disse con voce beffarda: “Ora tu non mi sfuggirai più!” Ella, gettato un grido, aveva tentato di fuggire; ma il miserabile, lasciato cadere il coltello, si era scagliato come una belva su di lei, l’aveva rovesciata a terra, le aveva chiusa brutalmente con una mano la bocca, mentre coll’altra la tempestava di pugni sul petto, così che ella si vide passare la morte dinanzi agli occhi, e poi non comprese più nulla, perché era svenuta. Rinvenuta, si trovò sempre stesa, con gli abiti scomposti e vide il miserabile, che rideva sgangheratamente, seduto vicino a lei. - Ebbene, Beppa mia bella, - disse – sarai ora così crudele da respingermi? Pensa che ormai mi appartieni, che nessun altro ti vorrebbe, che sei mia di diritto. Acconsenti a seguirmi lontano da qui… io ho bisogno di una donna; se non mi obbedisci, domani sapranno tutti che ti ho avuta… Ella si era sollevata, mentre lo sciagurato parlava, e i suoi occhi furono attratti da un oggetto che luccicava, fra le pietre. Era il coltello che il Biondo aveva lasciato cadere poco prima. Afferrarlo, gettarsi a sua volta sul manigoldo, colpirlo più volte, inebriata dal sangue che sgorgava dalle ferite, col desiderio di punire, fu per lei la cosa di un lampo. Il Biondo non aveva avuto tempi di porsi sulla difesa, aveva gettato un debole grido, un rantolo e nulla più. Ella lo vide cadere, contorcersi, non dare più segni di vita; eppure continuò a conficcargli il coltello nelle carni con una specie di voluttà, dicendo: - Prendimi ora, va’ a vantarti del tuo delitto, e dire che sono stata tua: tieni, tieni! La Beppa aveva gettato il coltello, ed era fuggita a casa come una pazza. La madre aveva ascoltato questo racconto con gli occhi spalancati dal terrore, battendo i denti, stringendosi le tempie fra le mani. E quando la Beppa ebbe finito, cacciò quasi un urlo e cadde in avanti, balbettando: - È colpa mia, colma mia: perdono! La Beppa la ricevette inanimata fra le braccia. Il giorno dopo, due lugubri notizie erano corse nel paese. Nei pressi del camposanto si era rinvenuto il cadavere del Capaldi, crivellato di ferite. In casa, la Beppa piangeva inginocchiata presso il cadavere della madre, morta improvvisamente durante la notte. Tutti compiansero la buona ed onesta ragazza, ed a nessuno passò per la mente il sospetto che quella morte avesse rapporto coll’assassinio del Biondo. Nelle tasche di costui si trovarono dei biglietti di banca falsificati, un passaporto falso per l’estero, delle missive amorose, delle lettere che mostravano come il Biondo facesse parte di un’associazione di ladri, di falsari. Fu quindi attribuito l’assassinio ad una vendetta di qualche compagno, per gelosia di donne o di mestiere: nessuno rimpianse il prepotente, che fu in breve dimenticato. Ma la Beppa non poteva dimenticare: da quella notte non fu più vista sorridere: Ella continuò ad abitare la casetta solitaria, a lavorare, ma pareva invecchiata ad un tratto, e le sue spalle si curvavano sotto il peso di un dolore, che non doveva più abbandonarla. Un giorno si accorse di essere madre, sentì palpitare nel suo seno il frutto del delitto. Ciò che avrebbe formato l’orgoglio di un’altra donna, fu per lei fonte di una nuova vergogna, di un nuovo dolore. Eppure non maledisse all’innocente creaturina che doveva venire al mondo, non pensò di sopprimerla. Prima che la sua vergogna fosse palese, essa abbandonò quei luoghi per andare in cerca di consiglio, di aiuto. La Beppa, durante le sue lunghe ore di triste meditazione, aveva pensato che lontano di lì, in un piccolo paese di montagna, viveva un povero curato, fratello di sua madre, che era venerato da tutti per la sua carità o per la sua santa vita, tutta dedicata alle pratiche religiose e al sacrificio. Egli solo poteva salvarla in quella tristissima circostanza, salvarle la creatura che non aveva chiesto di venire al mondo, e che le destava pensieri crudeli, profondi, nel timore che portasse in sé, nascendo, gli istinti terribili e i vizi del padre. Beppa giunse una sera presso suo zio, che da due anni non l’aveva veduta, e non la riconosceva più, tanto era magra, cambiata, con l’aspetto miserabile e smagrito. Inginocchiata ai piedi di lui, ella volle fargli subito la sua confessione generale. Il dabben prete la ascoltò immobile, ma col cuore gonfio di lacrime, gli occhi fissi sopra un crocefisso che pendeva alla parete. Quando la Beppa ebbe finito, il sacerdote posò le mani tremanti sulla testa di lei, e con voce lenta, a stento, cercando trattenere il pianto, le disse: - Io ti assolvo in nome di Dio, povera vittima! Quell’uomo ha avuto la fine che si meritava per il suo delitto, ma il figlio innocente non deve portare la pena per la colpa del padre: tu devi vivere per crescerlo onesto, buono, ed io ti aiuterò con tutte le mie forze. Oh! di quale balsamo furono queste parole al cuore ulcerato dell’infelice! Come pianse di sollievo ai piedi di quel degno uomo! Egli non si contentò intanto di confortarla a parole: la condusse presso una vecchia a lui devota, che menava vita austera in una casetta isolata, a poca distanza dalla sua, e le affidò la nipote, non nascondendo la verità sul suo stato, su quanto era avvenuto. La vecchia la compianse, l’accolse come figlia, e in quella casetta venne al mondo il frutto del delitto, un grande fanciullo che fu battezzato col nome di Paolo Ardenti. Quando la povera Beppa ne udì il primo vagito, lo strinse fra le braccia, ebbe una crisi di singhiozzi e di lacrime… e sentì risvegliarsi in lei potente l’istinto materno. Allorché poi vide che Paolo non ritraeva nulla dei lineamenti del padre, ma ricordava lei, lei soltanto, ne ringraziò con fervore Dio, perché non avrebbe potuto sopportare la vista di quel volto ripugnante, odiato…
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