Capitolo Cinque
Molte cose accadono contemporaneamente.
Il mio collo e le mie orecchie prendono fuoco, mentre il mio viso diventa più rosso della bandiera sovietica. Con gesto automatico, spengo le mutandine vibranti e lascio cadere tutto ciò che tenevo nella mano sinistra. Nello stesso tempo, tiro fuori di scatto la mano destra dai pantaloni e mi asciugo le dita sulla camicia. Che classe!
Il cioccolato negli occhi del russo non è fuso come al solito. Si è solidificato in shock, mentre mi fissa. “Chi sei e cosa diavolo stai facendo?”
La sua voce profonda con l'accento dell'Europa dell'Est è talmente sexy che quasi raggiungo il mio climax interrotto. Ma non lo faccio. Perché, nonostante lo shock, mi rendo conto di quanto orribile sia questa situazione.
Il mio cuore danza un intricato balletto nel petto, mentre blatero: “Non è come sembra.”
Lui stringe gli occhi. “Quindi non avevi la mano dentro i pantaloni?” Lancia un'occhiata al perizoma sul pavimento. “E non stavi annusando il mio sospensorio?”
Mi asciugo una goccia di sudore dalla fronte: un errore, perché sento l'odore del mio sesso sulle dita. “Intendo che… non sono una stalker fuori di testa.”
C'è forse dell'oscuro divertimento nel suo sguardo? “Cioè non hai fatto irruzione nel mio camerino? Non ti sei masturbata con il mio sospensorio?”
Mi sento stordita, con la testa leggera, il che dovrebbe rendere più semplice per il pavimento inghiottirmi sul posto.
Niente.
Sono ancora qui.
Deglutendo per mandar giù un groppo in gola di dimensioni tali da spezzarmi la mascella, ci riprovo. “Ho fatto irruzione, sì, ma avevo un buon motivo.”
Un sorrisino gli contorce le labbra. “Sono ansioso di sentirlo.”
Porca puzzola! Ha fiutato il mio bluff. E adesso cosa faccio? I miei pensieri sono troppo confusi per escogitare una valida bugia (o una bugia qualsiasi, in effetti). Se solo avessi Gia all'auricolare in questo momento! Lei saprebbe cosa dire. I maghi mentono di professione, quindi è bravissima in questo, o forse è diventata una maga perché…
Aspettate un attimo. Pensare a Gia mi ha dato un'idea (appena in tempo!). Il russo sembra sul punto di chiamare la sicurezza.
“Era una sfida” sbotto.
Il suo sorrisino evapora. “Una sfida?”
“Sì” rispondo tutto d'un fiato. “Le mie sorelle mi hanno costretta a farlo.”
Ehi, avrebbero potuto, almeno quando eravamo più giovani. Gia, in particolare, era perfida quando si trattava di cose del genere. Una notte, mi mise le dita nell'acqua calda per testare la leggenda metropolitana della pipì a letto… che si rivelò vera. Inoltre, doverle un favore si traduceva spesso in una valanga di umiliazioni, pari a quella che sto provando ora.
“Le tue sorelle?” Lui sposta lo sguardo da me al suo perizoma. “Di confraternita o biologiche?”
Le bugie migliori sono quelle che affondano radici nella verità; quindi, per quanto mi piacerebbe fargli credere che sono abbastanza giovane e alla moda da far parte di una confraternita, ammetto che si trattava di sorelle biologiche. Poi aggiungo: “Ho un'avversione per la maggior parte degli odori, quindi loro hanno pensato che sarebbe stato divertente indurmi a masturbarmi mentre annusavo il tuo perizoma.”
Ecco fatto. Adesso che l'ho detto ad alta voce, sembra effettivamente un po' più credibile della verità.
Lui aggrotta la fronte. “È un sospensorio, non un perizoma.”
“Certo, un sospensorio” rispondo. Non c'è una gran differenza, ma non sono nella posizione di fare la pignola in questo momento.
Lui inclina la testa. “Quindi, sostieni di essere stata costretta a farlo?”
Annuisco.
“Perché avresti dovuto detestarlo?”
Annuisco di nuovo, con meno sicurezza.
Il suo sorrisino è tornato ed è troppo sexy per la mia sanità mentale. “Da quanto ho visto e sentito, non sembrava che detestassi quello che stavi facendo.”
Sentito?
Quindi ho fatto rumore?
Mi alzo con gambe traballanti. “È meglio che vada.”
“Non così in fretta.” Avanza verso di me.
Oh, cazzo! Starà per strangolarmi? O baciarmi? Mentre immagino il secondo scenario, provo una fitta di quell'orgasmo mai raggiunto.
In un istante, lui è nel mio spazio personale. Non posso evitare di sentire il suo odore… ed è tanto delizioso quanto quello del suo perizoma, solo leggermente diverso perché più diluito. Percepisco anche note di pere fresche e di patchouli, che mi comunicano che debba aver usato dell'acqua di colonia. Dev'essere stato parecchio tempo fa, però, perché l'odore è così tenue che mi piace.
Lui allunga la mano, come per toccarmi.
Ok. Sono pronta per quello che accadrà dopo.
Forse ansiosa che accada (persino lo strangolamento).
Con mia grande delusione, lui mi oltrepassa.
Mi volto e lo vedo aprire un piccolo cassetto, da cui tira fuori un cellulare.
Oh. Dev'essere per questo che è tornato qui. Per il suo telefono.
Significa che non mi metterà le mani addosso?
Aspettate. Forse c'è ancora una possibilità. Si infila il dispositivo in tasca, ma rimane vicino a me.
Fissando il suo collo forte e virile, mi inumidisco le labbra.
Tende la mano verso di me.
Sì! Voglio dire: come osa?
Oh, aspettate. Di nuovo, non mi tocca.
Ma che diavolo?
Infila il braccio nella mia borsetta e, prima che io possa urlare qualcosa di adeguatamente indignato, ha già in mano il mio portafoglio.
Provo una stretta al petto. “Ehi! Cosa stai..?”
Poi capisco il suo intento. Tira fuori la mia patente di guida e la fotografa con il suo cellulare.
Gulp! Ora nel suo sorriso c'è decisamente un oscuro divertimento.
Rimette il documento nel mio portafoglio. “Se hai intenzione di uccidermi e cannibalizzare i miei resti, dovresti sapere che c'è una tua foto nel cloud.” Stringe gli occhi sull'immagine nel proprio telefono. “Ti chiami davvero Lemon Hyman?”
Il cuore mi martella nelle orecchie. “Ti stai prendendo gioco del mio nome?”
Mi rimette il portafoglio in borsa. “E se anche fosse?”
Raddrizzo la spina dorsale. “Ti direi: fottiti.”
Lui sbuffa e guarda le dita che tenevo dentro di me appena un minuto fa. “Fottersi è davvero un argomento di cui vuoi parlare?”
Provo un'ondata di calore in tutto il corpo, ma non solo per la sua vicinanza o per il mio imbarazzo. È anche un calore dovuto alla rabbia. Una rabbia tale che lo scoperei con odio, se potessi.
“Posso andare ora?” chiedo a denti stretti.
“No” risponde imperiosamente.
No?
Maledizione! Starà ancora pensando di chiamare la sicurezza?
“Perché no?”
Mi porge il suo cellulare. “Dammi il tuo numero.”
Faccio un passo indietro e sbatto contro la sedia. “Il mio numero?”
Inarca un sopracciglio. “Tu sai il mio?”
“N-no” rispondo balbettando. A dire il vero, sì. Me l'ha dato Blue. Non lo userei mai, però, e dirgli che ce l'ho confermerebbe la sua teoria della stalker fuori di testa.
Con un gesto aggraziato, piazza il cellulare tra le mie mani instabili. “In tal caso, mi serve il tuo. Ora.”
“Perché?” riesco a chiedergli, con i pensieri che turbinano, mentre digito con dita tremanti il mio numero di telefono tra i suoi contatti.
È un ricatto? Mi costringerà a fare qualcosa? Qualcosa di sporco? Ora lui possiede del materiale compromettente su di me, o kompromat, come lo chiamano nel suo paese.
È sbagliato sperare che mi chieda favori sessuali in cambio?
Si riprende il telefono. “Ci vediamo domani sera a cena.”
Lo fisso a bocca aperta. “Che cosa?”
Mi rimira da capo a piedi, con un'espressione che lascia intendere che forse sarò io il pasto. O il dessert. “Ci siederemo uno di fronte all'altra a un tavolo. In un ristorante. Mangeremo. Parleremo.” Sorride. “Hai presente?”
Sbatto le palpebre con aria stordita. È evidente che il mio cervello non funzioni. “Ehm, ok. Cena. Come vuoi. Ora devo andare.”
Lui si scosta e fa un gesto che mi ricorda una delle sue mosse di danza. “Buona serata.”
Faccio un passo avanti, aspettandomi che lui mi afferri e chiami la sicurezza.
Non lo fa.
Avanzo di un altro passo. Sono a un metro dalla porta.
Sì! Forse sono salva. La faccenda della cena è domani e…
“Aspetta!” mi ordina.
Maledizione! Mi ero illusa troppo presto. Con riluttanza, mi volto verso di lui. “Che c'è?”
“Un souvenir.” Si china per raccogliere il sospensorio.
Lo osservo, ammutolita.
Mentre solleva l'indumento simile a un perizoma, il telecomando che controlla le mie mutandine vibranti cade a terra.
Lui borbotta qualcosa in russo e raccoglie anche quello. Si raddrizza e mi guarda con un cipiglio. “È tuo questo?”
Reprimo l'impulso di placcarlo e strappargli il telecomando dalle dita forti. “No. Non so cosa sia.”
“Strano.” Preme il pulsante “On”. “Sembra una specie di aggeggio elettronico.”
Oh, cazzo.
Le mie mutandine iniziano a vibrare.